Il Ritiro Sociale è una delle forme di disagio più diffuse nel mondo contemporaneo. In particolare riguarda giovani e giovanissimi. Un problema abbastanza serio che spesso si può confondere con il carattere inibito, solitario e timido delle persone che ne soffrono. In qualche modo questo “atteggiamento passivo” verso il mondo viene solitamente giustificato da familiari e conoscenti perché coerente con il modo di fare e relazionarsi che la persona ha sempre avuto. Spesso ci si rivolge ad un professionista per farsi aiutare, quando il comportamento ha già iniziato a cronicizzarsi.
Questo disagio è legato molto da vicino con quello che già da diversi anni riguarda il mondo orientale con il fenomeno degli “Hikikomori” (in giapponese il significato letterale è “stare in disparte”).
Si stima infatti che in Giappone, dove il fenomeno è più radicato, ci siano più di mezzo milione di casi. Ma a quanto pare il fenomeno è in forte sviluppo anche nei paesi occidentali. In Italia ad esempio sono stimati circa 100 mila casi (dati riportati dal sito dell’associazione Hikikomori Italia).
Le cause del ritiro sociale nei ragazzi sono difficili da schematizzare. Si possono piuttosto riscontrare degli elementi ricorrenti che caratterizzano il vissuto del ragazzo che tende ad isolarsi. Un vissuto di bullismo a scuola, il peso asfissiante della realizzazione sociale, evitamento delle responsabilità che riguardano la crescita, difficoltà nelle relazioni emotive familiari, sostegno emotivo dei genitori carente, carattere introverso e sensibile.
Negli adolescenti il Ritiro Sociale può essere ad esempio un modo concreto, veloce e sicuro per “evitare” in modo definitivo il “giudizio degli altri”, in particolare dei coetanei. Il “come gli altri mi vedono e ciò che dicono di me” può infondere nel ragazzo un senso di inadeguatezza e inutilità pesante come un macigno e difficile da scansare.
“Molti adolescenti soffrono di paure relative alla sfera sociale, quali il timore di essere rifiutati, ignorati, disapprovati, di perdere il controllo delle proprie azioni, di essere criticati di mostrarsi o di parlare in pubblico” .
(Anna Oliverio Ferraris, “Psicologia della Paura”, 2013 )
Per evitare il rischio di rimanere “schiacciati” il ragazzo rifugge all’oggetto fobico principale, gli altri ragazzi, e attua la forma di evitamento più sicura, restare nella sua stanza. Oggigiorno poi, i giovani hanno tutto il necessario nella propria stanza per poter viaggiare, scoprire e conoscere luoghi e persone (computer, tablet, smartphone…) e per avere da “osservatori privilegiati” un contatto con il mondo esterno attraverso la finestra del virtuale.
È utile però sottolineare che generalmente la dipendenza da internet e quella da videogiochi (in particolare online) è solo la conseguenza dell’isolamento sociale e non la causa. Ciò significa che le due problematiche possono coesistere, ma non sempre. Perché, può capitare, che chi cerca l’isolamento sociale nel reale lo vuole e lo ricerca anche nel virtuale. Inoltre, chi attua questo tipo di comportamento, in modo ridondante, affronta tutte le possibilità di socializzazione boicottando se stesso e facendo in modo di perpetuare la propria solitudine.
“Mi sono creato un piccolo mondo in questa piccola stanza.. un mondo mio…ho tutto quello che mi serve…Non posso aprire la porta perché se no mi viene in mente di uscire…ma io non voglio uscire”. (Tratto dal brano “Nun voglio Ascì” – Aldolà Chivalà)
Vi propongo un brano molto interessante e molto bello di un gruppo napoletano Aldolà Chivalà “Nun voglio Ascì”. Vi invito ad ascoltarlo bene perché credo che attraverso il testo e la musica concretamente l’idea del carico emotivo che caratterizza questo disagio.
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E’ triste pensare a un ragazzo/a chiuso/a in se stesso/a lontano dal mondo e dai coetanei, chiaramente, come voi addetti ai lavori ci insegnate, alla base ci può essere un malessere passeggero o anche ” qualcosa” di importante. Fa male a un genitore il rifiuto degli adolescenti a farsi aiutare, anche se a volte sono proprio i genitori che hanno bisogno a loro volta di aiuto. Sarebbe bello rivedere – come una volta – i cortili pieni di bambini che giocavano, si accapigliavano litigavano per un pallone, una biglia una freccetta e poi a sera come se nulla fosse successo si ritiravano a casa con le ginocchia sbucciate le magliette strappate ma appagati sereni e felici.
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Quello degli hikicomori è un problema complesso e anche abbastanza grave. È una patologia che i genitori non riescono ad intercettare subito. E comunque lo stare all’aperto insieme agli altri ragazzi è sempre il miglior modo di intrecciare relazioni.
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L’ha ripubblicato su ilpensierononlinearee ha commentato:
Stasera vorrei riproporvi, ispirato dalle interazioni avute nell’articolo recente” I’m my own extension” (https://ilpensierononlineare.com/2020/12/07/im-my-own-extension/ ) un post di qualche tempo fa, ma sempre molto attuale. Parlo di Ritiro sociale, un problema molto noto in Asia con il nome di Hikikomori. Da qualche tempo se ne parla anche in Europa e in Italia. Buona lettura!
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E’ sottile la linea che passa tra il chiudersi in se stesso per carattere e quella di estraniarsi completamente dal mondo non so se le cose sono interdipendenti, ma ho sempre pensato all’uomo come essere sociale e, non saprei come comportarmi di fronte a una persona così chiusa credo che per aiutarla a risalire ci vogliano sempre persone con tanto di preparazione alla base. Sempre complimenti per la delicatezza con cui trattate argomenti cosi difficili, ma che portate alla comprensione di tutti noi.
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Sono ragazzi che non hanno i mezzi per interfacciarsi con il mondo e per non rischiare di esporsi e perdere il controllo, sì chiudono nel luogo più sicuro che conoscono. Ma in questo modo perdono il contatto con il mondo e con la realtà fino a perdere il controllo di loro stessi. Grazie per il commento.
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