L’autolesionismo (in adolescenza) si potrebbe definire come una forma di aggressività auto diretta atta a “scaricare e svuotare” una sensazione di “pieno” malessere interiore che può essere legato a situazioni personali o interpersonali.
È un fenomeno comportamentale già ampiamente trattato e discusso in letteratura. Ha radici ampie e molto profonde nelle persone, nella società, nelle diverse culture e religioni.
Negli ultimi anni questo comportamento pare abbia assunto connotazioni differenti. Difatti la diffusione delle immagini e dei video degli “atti” di self injury, attraverso la rete e i social, funge da rapido “veicolo contenitore” e da amplificatore, per le nuove generazioni di adolescenti. Questi “luoghi del virtuale” raccolgono l’espressione di una collettività che vuole restare invisibile, ma che cerca la visibilità e che si serve del mezzo virtuale per trovare altri simili e limitare così la solitudine che spesso caratterizza questo comportamento.
L’autolesionismo o “Non Suicidal Self-Injury- NSSI” (come descritto nel DSM V) è un comportamento molto diffuso anche in Italia. Il “cutting” (denominazione anglofona) è la forma di autolesionismo più comune, che si manifesta in giovani dai 12 ai 22 anni in particolare. Consiste nel tagliarsi con lamette, coltelli, pezzi di vetro, chiodi. I dati non sono molti, ma si stima che in Italia siano circa 200.000 i giovani (nel 90% ragazze), che praticano il cutting. Il cutting è la forma di autolesionismo più praticata, ma ne esistono diverse; infatti l’autoferimento (self injurious) indica, più in generale, comportamenti volti al danneggiamento del tessuto corporeo, come tagli o bruciature.

Nella maggior parte dei casi gli atti di autolesionismo possono svanire con l’età, ma sono più del 30% i giovani che rischiano il cronicizzarsi. “ Uno studio compiuto su studenti tra i 13 e i 22 anni di Napoli ha riscontrato che il 42% di questi ha una precedente storia di comportamento autolesionista ed il 10% riferisce più di 4 episodi nella vita (cit. CIFRIC) (Cerutti, Manca, Presaghi e Gratz, 2010)”.
Lo stesso studio, riportato alla popolazione universitaria, stima che circa il 21% dei partecipanti allo studio ha riferito di aver avuto almeno un episodio di auto-ferimento. La maggioranza è di sesso femminile e ha iniziato a tagliarsi, la prima volta, in una età compresa tra i 13 e i 16 anni. In genere, soltanto il 15% dei minori con questo disagio chiede aiuto.
Negli ultimi anni, con lo svilupparsi rapido dell’uso delle tecnologie social tra i giovanissimi, il trend è in forte aumento, a causa anche dell’emulazione favorita da alcuni social che agevolano inevitabilmente la visibilità del fenomeno.
Le motivazioni alla base dei comportamenti di autoferimento, tendono ad essere attribuite dal self-injurer a cause legate a diverse situazioni e potrebbero essere suddivise in intrapersonali ed interpersonali. Spesso possono ricorrere a comportamenti autolesivi in seguito a conflitti con figure importanti e molto significative della propria vita come familiari, partner o amici.

Quindi le motivazioni potrebbero ricercarsi nella loro difficoltà nel regolare e gestire un certo tipo di emozioni, fermare sensazioni di vuoto, incapacità di reagire a situazioni complesse e stressanti ed altro. Difatti chi si auto ferisce spesso racconta di sentirsi senza speranza e vie d’uscita, oppresso da sensazioni negative. Raccontano, inoltre di sentirsi molto ansiosi e depressi e quindi ricorrono all’autoferimento proprio per provare a gestire questi momenti.
Pare, infatti, che il gesto dell’autoferimento, riesca in qualche modo a congelare e fermare queste forti emozioni. Ma la sensazione di “sollievo e benessere” è molto limitata. L’equilibrio è mantenuto fino alla crisi successiva; pare insomma che questo tipo di comportamento abbia caratteristiche simili e tipiche delle dipendenze patologiche.
È quindi necessario comprendere a fondo e fornire informazioni chiare sui comportamenti autolesionistici, principalmente sul significato che viene attribuito da chi li mette in atto.

Intervenire in modo preventivo su questo comportamento, potrebbe rivelarsi essenziale, soprattutto nella fascia di età compresa fra i 12 e i 16 anni. Una buona campagna informativa nelle scuole (ad esempio) potrebbe predisporre ad una maggiore sensibilità e comprensione negli adulti (genitori e insegnanti) e nei ragazzi. È importante, infatti, in tali casi, cogliere alcuni segnali caratteristici nei ragazzi che ne soffrono e predisporsi all’ascolto, alla comprensione, all’empatia e cercare quindi un aiuto professionale. Rivolgersi ad uno Psicologo o ad uno Psicoterapeuta è certamente di grande aiuto per le famiglie e per i ragazzi; “cercare di dar sostegno piuttosto che stigmatizzare, inorridire o addirittura schernire o sminuire un comportamento che, per quanto terribile possa apparire, rimane l’unica cosa che dà sollievo al self-injurer” cit. (http://www.sibric.it )
Dott. Gennaro Rinaldi
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L’ha ripubblicato su ilpensierononlinearee ha commentato:
Questa sera ripropongo un articolo di qualche tempo fa sull’autolesionismo. Un problema abbastanza diffuso tra i giovani e i meno giovani, che ha un peso specifico non indifferente nelle vite delle persone che ne soffrono. L’espressione fisica di un dolore per lo più celato, non condivisibile.. ma spesso l’impossibilità del non detto e dell’espressione emotiva, diventa emulazione pericolosa. Insomma un problema molto complesso e dalle tante sfaccettature. Buona lettura!
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Tema serio. A esto recorren muchos adolescentes-jóvenes familiarizados con la violencia que les permite traspasar límites que en otros tiempos hubieran sido impensables, de forma tan extendida. Pero, obviamente, es una conducta que manifiesta un malestar hondo…gracias
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Gracias a ti Anna. Esta autolesión es un problema muy grave. Estoy absolutamente de acuerdo contigo y añado que este tipo de síntomas e incomodidades también están ligados a un “vacío emocional y comunicativo” y a una gran dificultad expresiva, característica de esta época que vivimos. La autolesión es como una especie de ira autoinformada, pero cuyo objeto es externo, a menudo rastreable en las relaciones familiares.Buen día.
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