Challenge pericolose: quando i social diventano trappole.

La Notizia di una bimba di 10 anni che muore a causa di una challenge su tiktok a Palermo è l’ennesima di tutta una serie di notizie di questo tipo che caratterizzano periodicamente la nostra quotidianità. La bambina aveva partecipato ad una challenge (Black out Challenge), su TikTok, una sorta di prova di coraggio (assurda), che prevede di resistere quanto più possibile al soffocamento indotto da una corda, una cintura attorno al collo. Lei non è riuscita a liberarsi in tempo e purtroppo i genitori non sono riusciti ad intervenire prima, perché la bambina si era chiusa in bagno. Qualcosa di assolutamente assurdo.

Ci sono tante altre notizie di questo tipo, più o meno note, che in quest’ultimo anno sono passate un po’ in sordina. Soltanto nello scorso ottobre a Napoli un ragazzino di 11 anni si è lanciato dal balcone di casa.

Purtroppo la sensazione è che non venga mai trattato questo problema nella giusta maniera e che non venga mai preso troppo sul serio.

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Nel caso del bambino di 11 anni di Napoli, si riuscì a dare una spiegazione al gesto, perché il ragazzino prima di lanciarsi nel vuoto, lasciò scritto su un bigliettino, rivolto ai genitori, la causa di quel suo malessere, di quella sua paura che lo avvolgeva da diversi giorni ormai. La causa era da attribuirsi ad un “uomo con il cappuccio”. Probabilmente il ragazzino si riferiva a Jonathan Galindo un personaggio ambiguo, somigliante a un personaggio Disney, che imperversava ( e probabilmente può ancora farlo) tra i vari social, in particolare quelli più frequentati da minori. Chiedendo l’amicizia a questi bambini e ragazzini, guidava loro in un gioco perverso, con step sempre più difficili e pericolosi (il fenomeno di Jonathan Galindo fu trattato anche in un servizio delle Iene).

Nello stesso periodo, ho avuto una richiesta per una consulenza psicologica da una madre di un bambino di 7 anni. Diceva che il bambino era spaventato da qualcosa, non voleva più dormire da solo, era terrorizzato dal buio, non voleva restare da solo nella sua stanzetta (questo comportamento era anomalo e improvviso). Il bambino venuto con la madre a colloquio, qualche giorno dopo, mi raccontò attraverso dei disegni di un uomo incappucciato, l’aveva visto in qualche video o foto. Insomma anche quel bambino probabilmente aveva avuto un contatto seppur fugace, con quel personaggio virtuale.

Da un altro colloquio solo con la madre ho potuto comprendere le abitudini di quella famiglia. Purtroppo l’utilizzo dello smartphone e del tablet per intrattenere i due bambini era all’ordine del giorno e con la chiusura delle scuole e l’impossibilità delle uscite, l’unico modo per quei genitori di intrattenere i loro due bambini era di farli “giocare” con i vari dispositivi. La madre mi assicurava di aver attivato tutte le precauzioni per evitare che i figli potessero incappare in video o siti inopportuni. Il problema è che i due bambini avevano dei profili su TikTok e su Facebook e inoltre sapevano aggirare in qualche modo le restrizioni che i genitori avevano messo sui vari dispositivi.

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Le condotte a rischio, sono comportamenti attuati dai ragazzi e che pare non tengano conto delle eventuali conseguenze, dei danni fisici e del pericolo. Sono condotte comportamentali tipiche dell’adolescenza o al massimo della preadolescenza che ci fanno vedere i ragazzi che lo fanno come impulsivi, imprudenti, sfrontati nei confronti dei rischi che corrono e anche (nei casi più estremi) della morte. Un impulso smodato a sfidare le regole e il concetto stesso di pericolo e di morte, quasi a volerlo esorcizzare e/o simbolizzare. Probabilmente questo tipico comportamento adolescenziale bisogna anticiparlo a poco prima dell’età puberale. Ecco forse una conseguenza delle nuove tecnologie, dei social e dell’iperconnessione. Forse la fase fatidica dell’adolescenza si è anticipata di qualche anno e si è allungata ancora, probabilmente è così.

L’unico modo per affrontare questa deriva pericolosa dei social è la protezione dei più piccoli attraverso le regole e il controllo delle loro attività on-line. Non devono essere lasciati soli (almeno fino all’età di 13 anni). La madre del bambino, di cui vi ho parlato prima, ha facilmente ripreso il controllo della situazione, cominciando a rassicurare il bambino attraverso la sua presenza anche nei luoghi virtuali (guardando video di youtube insieme), ha eliminato i profili dei bambini e ha creato un unico profilo familiare, così da dare loro la sensazione di essere liberi di frequentare i social, ma in realtà sempre in presenza del genitore; ha inoltre preso il controllo degli smartphone, mettendo dei limiti e regole al loro utilizzo (solo per la scuola e per dialogare con i propri compagni di classe).

Ci vorrebbe maggiore informazione su questi fenomeni e più attenzione degli adulti. Non possiamo privare i bambini delle nuove tecnologie, perché ormai fanno parte della nostra realtà, ma possiamo sicuramente educarli al loro utilizzo essendo più attenti alle loro fragilità e alle loro esigenze e accompagnarli con regole ad hoc in questa crescita.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

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15 pensieri su “Challenge pericolose: quando i social diventano trappole.

  1. Paquerite

    Grazie Gennaro per questo eccellente articolo,
    Ne ho appena discusso con mia figlia che mi ha raccontato anche della “sfida Momo”, ma che orrore. Ti lascio saperne di più, è nella vena del tuo articolo …
    Buonasera Gennaro, molto istruttivo
    Baci di Gennaro

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  2. maxilpoeta

    sai che parlavamo proprio di questo in casa di mia mamma oggi. C’era mia sorella, mio cognato e il mio nipotino di 10 anni, della stessa età della bimba che si è uccisa. Mia sorella la prima cosa che ha esclamato è stata ” Ma i genitori dov’erano?” Io cercando di trovare risposte ho detto, magari erano nell’altra stanza a fare altre cose. Mia sorella ha detto che non avrebbe mai lasciato suo figlio da solo con un telefono in mano senza sapere cosa guardasse. Questo viene incontro all’argomento che hai toccato ora, ovvero, quello della responsabilità degli adulti di fronte ai bambini o agli adolescenti…

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    1. Gennaro Autore articolo

      Proprio così. I bambini devono essere accompagnati ed educati, nell’uso dei social, dagli adulti. Nel caso della bambina non si sa ancora come siano andati tutti i fatti, poi lo accerteranno una volta fatte le indagini. Quindi non sappiamo ancora se c’è stata una vera e propria”assenza” dei genitori. Resta comunque il fatto che bisogna fare molta attenzione sempre.

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  3. Ana de Lacalle

    Alarmante y complejo. La función de los padres es crucial, pero también es cierto que de difícil equilibrio. Un adolescente de catorce años empieza a exigir su privacidad y que se confie en él ¿cómo lidiar con la no infantilización de los adolescentes hasta los treinta y a la vez velar por su uso de la redes? Confío más en el diálogo continuo sobre esas cuestiones, los riesgos que comportan y que se consiga crear un clima de confianza segura para que un chaval, a l verse sorprendido por algo desconocido y tal vez sospechoso vaya presto a enseñar esa página a sus padres para que le ayuden a valorarla….eso obviamente es una labor que hay que ejercer desde que nacen, pero los tiempos que corren no facilitan la convivencia familiar para que eso sea fácil. También debo decir que, amenudo son opciones familiares. Hay algunas que pueden vivir con menos dinero pero garantizar que uno de los progenitores esté siempre cuidando de los niños cuando salgan de la escuela, Ardua tarea, y lo expreso por experiencia y agotamiento, luchas contra todos los influjos que reciben de la sociedad, prácticamente…en fin….

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    1. Gennaro Autore articolo

      Hola Ana, lo resumiste a la perfección, “alarmante y complejo”. Sin embargo, creo que se vuelve fácil gestionar el uso de internet, las redes sociales y los dispositivos tecnológicos, si se previene el problema en cuestión, mediante la simple presencia “segura” de los padres, quizás desde la infancia. Si un niño de 6/7 años, que comienza a usar varios dispositivos (tabletas, teléfonos inteligentes, computadoras, consolas) comienza a educarlo para que use conscientemente, entonces podemos tener un niño de 15 años que (manteniendo su privacidad en contexto familia) es el primero en comunicar a los padres o profesores cuando hay algo mal en la red (Cyberbullying, retos peligrosos, violencia, acoso …). Al observar mi experiencia clínica con las familias, puedo decirles que a menudo el problema está en cómo se utilizan las tecnologías. Los padres a menudo los ven como un escape de las responsabilidades o un entretenimiento fácil para los niños. Los padres jóvenes reemplazan fácilmente su relación padre-hijo (esencial para el desarrollo emocional-cognitivo) con la relación tableta-hijo. He visto a padres que, para calmar a sus pequeños (2-3 años), los dejaban durante horas con smartphones y tablets, viendo videos. Sin embargo, estoy de acuerdo con usted en que a menudo depende del estilo familiar y de las elecciones profesionales de los padres. Si un padre se queda en casa, seguramente tendrá más tiempo para dedicarle a su hijo… al menos en teoría.

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  4. mauridibe

    La fragilità dei nostri figli è evidente, una nostra delega educativa in bianco alla ‘rete’ è stata data, anche se ci sforziamo di convincere e convincerci che non è così. Mi domando però la perversione ed il sadismo di chi organizza, gestisce questi giochi da dove viene. Perché sembra così inarrestabile ed in continua crescita?

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    1. Gennaro Autore articolo

      Sono d’accordo con te sulla questione della delega educativa. I dispositivi tecnologici e la rete rispondono perfettamente alla domanda disperata di babysitting dei genitori.. le conseguenze di questi vuoti relazionali li scopriremo tra qualche anno. Per quanto riguarda il sadismo delle menti malate, che “organizzano” e iniziano questi giochi perversi è davvero inconcepibile e assurdo. Tanto assurdo che a volte penso (forse mi auguro ) che siano mode e giochi “rischiosi” iniziati per caso e poi trasmessi agli altri e che non siano “pensati” per indurre al suicidio. Una sorta di “catene di S. Antonio” che hanno un po’ l’effetto del gioco del “telefono senza fili” con una ridondanza enorme, perché amplificata dalla rete dei social. L’effetto estremo che hanno è dovuto poi a emulazioni e passa parola distruttivi, che si alimentano della immaturità e della ingenuità dei più piccoli, o della voglia di trasgredire dei più grandi. Credo che la sensazione di inarrestabilità, invece è dovuta essenzialmente al fatto che il progresso tecnologico negli ultimi 25 anni non sia andato di pari passo con i cambiamenti sociali, culturali e psicologici. Sembra di rincorrere a fatica e in effetti è così.

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  5. 𝒢𝒾𝓈𝑒𝓁𝓁𝑒

    Queste cose mi fanno paura.
    Avevo sentito del gioco Blue Whale invece. 50 regole da seguire e l’ultima ti dice chiaramente di suicidarti. Sono basita se penso a come possano entrarti nella testa ‘sti soggetti.

    Questo capita perché si lascia la tecnologia in mano ai bambini. Vedo genitori che regalano il cellulare a bimbi di sette-otto anni. Ma come si fa?
    Alla loro età giocavo in mezzo ai campi e facevo i bagni al torrente di montagna. Il primo telefono l’ho avuto a 15 anni e non mi pare di essere morta…
    Mia figlia ha 11 anni, quasi 12, è l’unica della classe che non ha un telefono e sono fiera così.
    30 minuti al computer dopo cena, dove guarda video musicali su YouTube e basta.
    Mi dicono che sono troppo severa: io invece penso di renderla più “genuina” e meno “drogata” di tecnologia.
    Oltre al fatto che non entra in contatto con gente pericolosa…
    Cosa tra l’altro capitata a una sua compagna di classe: per una foto pubblicata su Instagram hanno poi scoperto che dall’altra parte del telefono non c’era un’amica virtuale, ma un uomo di quasi 60 anni… e ho detto tutto…

    No. È un mondo troppo pericoloso per dei bambini, prima vanno “istruiti”.
    Bambini di 6-8-10-12 anni non possono carpire il vero pericolo. Sono (giustamente) troppo buoni e ingenui per vedere il marcio virtuale.

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    1. Gennaro Autore articolo

      Ciao Giselle, le tue osservazioni e la tua esperienza è decisamente condivisibile. Hai centrato il punto, in effetti, questi soggetti (o questi messaggi veicolati dalla rete) riescono ad influenzare i più piccoli proprio perché i bambini, ma gli stessi ragazzini fino a 16 anni e più, non hanno i “mezzi cognitivi” adatti a discernere sempre elementi di pericolo da elementi di gioco. Poi in base all’età, alla famiglia, al contesto sociale e culturale, le capacità di maturazione cognitiva possono variare e incidere più o meno pesantemente sulle scelte e sulle capacità di comprendere le informazioni veicolate in rete. Comunque, si, i bambini devono essere “accompagnati” ed educati a viaggiare in rete (un po’ come quando insegniamo loro a camminare in sicurezza per strada, attraversare sulle strisce e rispettare le regole stradali). Non è facile privarli dello smartphone o del computer oggi. Bisogna (come del resto hai fatto tu) dosare bene i tempi e andare per step. Se si riuscisse a fare questo sin dall’infanzia sarebbe perfetto.

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