
Empatia deriva dal greco Empateia; il termine è composto da en “dentro” e pathos “sofferenza” o “sentimento”, e veniva utilizzato per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore al pubblico.
Nell’ambito della filosofia una riflessione in merito la dobbiamo a David Hume e Adam Smith. Hume riteneva che in virtù della somiglianza tra le persone e tra gli eventi che queste vivono, quando si pensa o osserva una situazione che sta vivendo un’altra persona questa esperienza viene convertita in immagini mentali che evocheranno analoghe sensazioni nello spettatore.
Qualche tempo dopo, Smith indicava nell’empatia la capacità di comprendere la prospettiva di un’altra persona in associazione a una reazione emozionale.
Entrambi i filosofi vedevano nell’empatia uno dei presupposti fondamentali per la costruzione dei legami sociali.
In ambito psicologico gli studi sull’empatia risalgono a Titchener che utilizzò il termine “empathy” come traduzione del tedesco “immedesimazione” . Negli ultimi anni, in conseguenza di numerosi studi, si è arrivati a considerare l’empatia come un costrutto multidimensionale consistente nel riconoscimento e condivisione dello stato emotivo di un altro. Le componenti del processo empatico sono tre: affettiva, cognitiva e fisiologica.
Dimensione affettiva: l’empatia è una condivisione emozionale, una risposta vicaria corrispondente a quella di un’altra persona.
In termini cognitivi: l’empatia è vista come comprensione dell’esperienza di un altro, come consapevolezza cognitiva degli stati interni di un’altra persona, dei suoi pensieri o sentimenti. Questo aspetto prende il nome di “perspective taking” o “role taking”.
La componente fisiologica: riferisce al coinvolgimento di funzioni legate alle attività del sistema nervoso autonomo o substrati neurali o ormonali che operano per indurre un individuo a comportarsi o sentire in modo speculare un’altra persona.
Secondo Hoffman l’empatia è l’attivazione di processi psicologici che fanno sì che una persona abbia sentimenti che sono più congruenti con la situazione di un’altra persona piuttosto che con la propria. Ne deriva che il focus viene posto sul processo che ha luogo nel soggetto che empatizza piuttosto che sull’esito (condivisione affettiva) e sul paradosso dell’esperienza empatica per cui il soggetto sperimenta la condizione emotiva senza però averla realmente vissuta.
L’empatia è considerata da Hoffman il motore, l’origine e il processo che rende possibile prendersi cura dell’altro e quindi la convivenza tra le persone.
E’ un’esperienza emotiva universale e si ritrova anche in molte specie non umane; è alla base di molti comportamenti di aiuto poiché non si potrebbe aiutare un conspecifico senza percepirne lo stato di sofferenza che egli sta vivendo. A tal proposito, ad esempio, negli scimpanzé è diffusa la pratica di adottare un cucciolo quando questo resta orfano. L’universalità di questa esperienza è resa possibile soprattutto dalla condivisione di un substrato biologico che in presenza della sofferenza altrui, permette che si attivino meccanismi di tipo neurale, ormonali e endocrini, che inducono un osservatore a provare uno stato emotivo analogo a quello della persona osservata.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.
Allora dobbiamo all’empatia delle scimmie le avventure di Tarzan… 😀 Scherzi a parte gran bel post, dotto e ricco, come sempre….
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Credo che le scimmie siano molto più capaci di noi, su molte cose.
Grazie.
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Non c’è dubbio! Hanno il senso d’appartenenza al gruppo tanto per cominciare… noi l’empatia la dobbiamo conquistare con un lungo processo di elaborazione affettiva che non sempre riesce… Ah, Istinto e natura… persi nel caos della “Folla”
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.. la condizione umana, troppo umana o dell’umano/disumano..
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qui sfioriamo padre Nietzsche 🙂
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E il mio Fédida😊
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Davvero molto, molto interessante, Grazie!
Tempo fa ho letto molte cose sull’empatia, mentre scrivere un mio libro, perché ho voluto attribuire questa “dote” alla mia protagonista e ne sono rimasta particolarmente affascinata.
Buona serata
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ciao Sara, sono molto contenta che il post ti sia piaciuto. Sull’empatia ci sono ancora molti modelli esplicativi che un po’ per volta, condividerò. Buona serata anche a te. un abbraccio
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come dicevo di recente penso che l’empatia sia un gran dono, non solo per chi la riceve ma anche per chi la dona. Sentire le esigenze dell’altro/a, soprattutto in ambito sentimentale, penso sia la base per costruire un ottimo rapporto, e per allargare gli orizzonti della conoscenza interpersonale.
Curioso l’esperimento degli animali, non l’avevo ancora sentito…
Buona serata, un caro abbraccio.. 😉
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sull’empatia hanno fatto davvero tanti studi soprattutto con gli animali; come dicevo cercherò di condividere altri esperimenti perché sono davvero interessantissimi. Un abbraccio a te, Max.
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E’ una dote innata.
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Si😁.buona serata.
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Penso che l’empatia sia uno strumento potentissimo ma anche pericoloso. Rifletto sul fatto che empatizzare sia utile quando chi empatizza ha ben chiari i confini di sè e dell’altro, non permettendo a quest’ultimo di invaderlo, al punto da dimenticarsi della propria identità. Sono ovviamente due condizioni diverse: immagino che il terapeuta sia empatico, perchè comprende lo stato d’animo del paziente, ma lo interpreta e lo rimanda secondo il proprio modo di sentire, quindi filtrato dalla sua personalità (che ricomprende tutto, sensibilità, studi, professionalità ecc ecc). Penso poi alla coppia narcisista/empatico, in cui quest’ultimo si dimentica completamente di se stesso per lasciare spazio al primo, accogliendo tutto dell’altro, annullandosi completamente. Due situazioni totalmente diverse, in cui però il termine emaptia ritorna.
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ciao Giulia, il costrutto “empatia” comprende il mettersi nei panni dell’altro (ovvero di comprenderne ad esempio, lo stato d’animo in maniera immediata) ma, con nessuno partecipazione emotiva. Diciamo che posso ad esempio comprendere “quanto possa farti male la gamba se hai un gesso, o come ti sei sentito male quando hai avuto l’incidente con cui ti sei rotto un osso” passami questo paragone, ma non sentirò anche io dolore alla gamba oppure non “piangerò” per il dolore provato. Colui che empatizza per davvero, non ha bisogno di tracciare un confine poichè il confine è intrinseco nella capacità stessa di empatizzare. Colui/colei che prova troppo la tua stessa emozione, non ha capacità empatiche ma qualcos’altro 🙂 Idem per la coppia narcisista/empatico.. meriterebbero, loro, tutto un discorso altro 🙂
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Condivido assolutamente, ultimamente parlano tutti (nella mia bolla virtuale e fisica) di empatia in modo improprio, cioè riferendosi all’ultima situazione, quella che, come dici tu, merita un discorso altro. Un po’ come è successo per la resilienza, o anche per il narcisismo. Ad un certo punto si sono riscoperti tutti empatici, o resilienti, o narcisisti 😅
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uuhh Giulia.. lasciamo proprio perdere -.- Ho dedicato anche un post al discorso “narcisista e partner narcisista” mi raccomando eh.. che sia covert! Non se ne può più..
Dobbiamo riscoprire il senso e la funzione delle parole..
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