
L’incontro con una persona che presenta un disturbo da attacchi di panico può suscitare nel clinico uno stato d’animo o una risposta emotiva di intensa preoccupazione visto che, chi soffre di tale disturbo tende a proiettare sul clinico stesso la propria disperazione e la propria paura/angoscia di non esser capace di uscire da questa situazione e “trovare pace”.
Il termine panico deriva, etimologicamente, da Pan, il dio ellenico dei pastori. Il dio era per metà uomo e metà capro; aveva inoltre una duplice natura (umana e divina). Si riteneva che il manifestarsi del dio e la sua possessione potessero portare alla panolessia, un’esperienza alienante tale da privare la persona stessa delle sue caratteristiche umane.
L’attacco di panico si configura come una crisi improvvisa e di breve durata. La persona sperimenta un momento di intesa paura percependo una sensazione di morte imminente; il cuore batte all’impazzata (quasi come si stesse per avere un infarto o ictus); ci si sente impazzire e contemporaneamente si avvertono manifestazioni neurovegetative (tremori, vertigini, sudorazioni).
E’ possibile parlare di disturbi di attacco di panico se essi si manifestano più volte nel corso del tempo e se avvengono in una condizione nota come “out of blue”, ovvero senza specifici fattori causali di origini ambientale o psichica.
Il profilo clinico dei pazienti (che è stato maggiormente riscontrato) comporta che questi pazienti siano maggiormente postadolescenti con prevalenza del genere maschile.
Il panico verrebbe a rappresentare una ri-emergenza marasmatica del corporeo nel fisico in mancanza di una adeguata attività psichica che possa fungere da contenimento.
Lucio ha 34 anni; contatta lo studio una mattina con la richiesta di un appuntamento rigorosamente tra le 14 e le 16 a causa di impegni lavorativi.
Lucio arriva in studio con largo anticipo; si presenta come un giovane uomo curato e dall’apparenza un po’ démodé. Il giovane ha un vestito molto classico e piuttosto “antico”, ha degli occhiali dalla montatura snella e leggera adagiati su di un viso magro e senza barba. Lucio è inoltre molto alto e dalla corporatura abbastanza esile; gira con un portadocumenti che però appare quasi vuoto.
Entrato nello studio, Lucio, appare piuttosto formale; interagisce in maniera schematica e rigida. Racconta che da qualche tempo avverte strani sintomi fisici; spesso quando è fuori casa sente il cuore battere all’improvviso e teme di stare per impazzire. La prima volta è capitato mentre stava per entrare in una galleria, è stato così male da finire in ospedale ma “il cuore stava bene”. Da lì il calvario fatto di paura, paura che possa accadere di nuovo, il tutto condito da continui controlli sul suo stato di salute.
Ciò che Lucio sostiene è che questi episodi siano accaduti anche quando “tutto andava bene”..
Alla domanda circa la chiarificazione di “questo bene”, Lucio parla della sua relazione sentimentale. La recente conoscenza iniziata con J. sembra andare bene tanto che Lucio (che ha sempre lasciato tutte le donne precedenti che erano “storie da niente”), aveva cominciato a fare progetti con J. (progetti di cui però la donna non è a conoscenza).
Dalla storia personale del giovane uomo sappiamo che la madre è morta quando lui aveva 4 anni, da quel momento Lucio ha reagito chiudendosi in se stesso; sembra infatti che il giovane non abbia mai vissuto realmente il dolore per quella perdita decidendo – negli anni a seguire- di gettarsi completamente nello studio (era il primo della classi in ogni situazione).
Studiare non mi faceva pensare.
Lucio sembra distaccato dalle cose che racconta. Una grande passione del giovane sono i viaggi “ho sempre viaggiato sia da solo che in gruppo, e le mie città preferite sono Berlino e Istanbul”. Lucio parla della divisione di Berlino, della perfezione tedesca, del clima freddo poi parla della calda Istanbul, dei treni che partono ad orari approssimativi, della gente calorosa e accogliente.
Solo quando Lucio parla dei viaggi mostra una gioia e una fiammella negli occhi. Ciò che colpisce di questo giovane uomo così tanto fuori epoca, è proprio il suo narrare con una certa meccanicità la vita che gli passa addosso quasi come non fosse la sua; Lucio non vive gli eventi e le emozioni ma le mentalizza come input/ output di cui lui è solo un sistema di controllo che gestisce le informazioni in entrata e uscita; informazioni di cui non ha particolare cura.
Ripenso alle città che Lucio ha visitato e penso che forse, da qualche parte in lui deve esserci una piccola Istanbul, una zona felice e poco rigida dove le regole non sono fredde e “da rispettare”, dove la vita chiama, vibra e chiede.. chiede soprattutto di essere sentita e vissuta, percepita e attraversata da primo attore e non da automa…
Anche se questo implica, talvolta, provare il dolore e la possibilità di una perdita…
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio