
Lo scorso inverno arriva una telefonata presso lo studio; a chiamare è Mattia un ragazzo di 20 anni che ha “bisogno di parlare con qualcuno”.
Il ragazzo dice di avere un pensiero ricorrente riguardo una certa questione e che vuole sapere se e come affrontare questa cosa.
Il giorno dell’appuntamento bussa alla porta un ragazzo, il suo nome è Mattia. Il primo impatto in termini estetici è la sensazione di vedere una sorta di Cristiano Ronaldo. Abbiamo davanti ai nostri occhi un ragazzone alto, pieno di muscoli (così tanti da far subito pensare che il ragazzo ricorra a qualche sostanza non proprio legale, per essere così tonico); i capelli sono sfumati e ricci; ci sono gli immancabili orecchini diamantino a entrambi i lobi, un piercing sul naso e qualche tatuaggio.
Il giovane ha una camicia bianca ben stirata e dei jeans; appare molto ordinato, pulito e “tirato”. Mattina si siede e sembra mettersi in posa.
La sensazione iniziale è di un ragazzo immagine; ciò che sembra è il fatto che Mattia si muova nello spazio come stesse improvvisando pose fotografiche,
“Mi chiamo Mattia, ho 20 anni e voglio diventare famoso”..
Mattia più che a un primo incontro di consultazione, sembra sia venuto per un provino televisivo. Alle prime domande sul motivo della sua richiesta, Mattia dice che in realtà è da diverso tempo che tutti gli dicono di “farsi vedere da uno bravo” perchè il suo desiderio di diventare famoso, è ormai una vera ossessione. Il ragazzo fin da quando aveva 12 anni, ha iniziato a guardare ogni sorta di programma televisivo come reality, reality musicali, o qualsiasi format televisivo che ricalchi anche solo alla lontana l’idea di reality show (Mattia è così ossessionato da questi contenuti che li guarda anche in altre lingue e pure se non capisce molto – come lui stesso dirà- ama vedere le star riprese dalle telecamere e ama la sensazione di fama e successo che dalla tv emerge).
Mattia è spavaldo.. così tanto da sembrare antipatico, pieno di sé e inconcludente.
Le prime sedute saranno piuttosto complesse perchè Mattia non riconosce problemi o disagi in questa sua ossessione. Telefonicamente la madre dirà che il ragazzo ha più volte, negli anni, alternato condotte alimentari sbagliate passando dall’anoressia, alla bulimia fino alla vigoressia (ossessione per l’aumento della massa muscolare); inoltre Mattia (che era molto bravo a scuola), ha smesso di studiare (tutti i professori sostenevano le grandi capacità del ragazzo).
Mattia ha sacrificato ogni sfera della propria vita (relazioni, primi viaggi con gli amici, uscite serali, birra, concerti), per dedicarsi anima e corpo a questa vita sana che ha come scopo finale quello di “bucare lo schermo”.
I giorni e le sedute passano, e Mattia sembra il solito corpo bello ma vuoto.. seduto così com’è rigido su quella sedia che rimanda l’immagine di un ragazzo più che un corpo reale e tangibile.
Un giorno Mattia sembra scosso e meno “antipatico” del solito. Racconta di aver litigato con la madre e di aver fatto un incubo in cui davanti allo specchio della sua stanza, lui si toglie la pelle dal corpo:
“Dottoressa scollavo tutta la mia pelle, partendo dal viso. Più scollavo, più vedevo cosa c’era sotto e non so.. cioè.. non so come mi sentivo. Non provavo dolore pure se mi stavo levando la pelle, ma ero incuriosito dal vedere cosa usciva da là sotto. Non ho perso sangue.. cioè non è stato un sogno splatter; non mi sono spaventato ma sono turbato”..
La terapia di Mattia poteva finalmente avere inizio.
Mattia racconta che il padre è morto con una “brutta malattia”, quando lui aveva 10 anni; trascorreva molto tempo insieme al genitore e amavano guardare la televisione. Con la madre non ha mai avuto un ottimo rapporto, mentre il padre “lo voleva bene” e gli diceva sempre che lui “era un campione”, alla madre (professoressa) interessava soltanto che lui andasse bene a scuola e diventasse medico.
Mattia ha una sorella più grande di lui; lei è una dottoressa e vive al nord.
Mattia si sente solo e rimasto senza il sostegno di un padre che gli ricorda quanto lui sia forte, comincia a vivere nel culto della propria immagine e nella incessante e tormentosa speranza che un monitor e una telecamera gli forniscano quel contenimento affettivo che tanto gli manca
“Mattia sei bello, Mattia sei forte, Mattia sei un campione”.
Mattia crolla e d’improvviso quel “Cristiano Ronaldo” tanto ostentato diventa un giovane non ancora completamente adulto ma neanche più del tutto adolescente perso tra tutti quei muscoli che gli ricoprono e ingolfano il corpo. Mattia piange a dirotto; gli manca il padre.. queste sono le uniche parole sorde ma squillanti che riesce a pronunciare un giorno quando il pianto sembrava incontenibile.
Mattia non aveva mai pianto per la morte del padre; penso che quel giorno tutte le lacrime arretrate si siano presentate squarciando il registro del reale, un reale fatto dalla labile luce del flash del telefono sempre pronto per scattare un nuovo selfie.
Le sedute successive saranno dure e volte a ricostruire un corpo tanto riempito per paura di svelare un contenuto fragile.
Verrà anche la madre in qualche colloquio e la sorella, quando possibile; servirà il supporto di tutta la famiglia per aiutare il giovane uomo.
Il termine fotografia deriva dal greco, dalle parole “luce” e “grafia” indicando con ciò una scrittura “di e con la luce”.
Mattia ha passato ore intere della sua giornata, senza dormire e/o mangiare, per fare il selfie perfetto..
Ecco.. ripenso a tutte quelle immagini e a tutte quelle foto che Mattia si è fatto, nella speranza di trovare la propria luce; nella speranza di imprimere su “pellicola”, su una superficie fotosensibile l’immagine statica di un corpo che – invece- fermo e statico non sapeva stare.
Mattia pian piano ha scoperto che di statico nella vita, non c’è niente.
Incominciando da sé stesso.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.