
Un recente colloquio mi spinge, ancora una volta, a parlare della figura professionale dello psicologo. Lo sconforto che diventa lentamente rabbia (perché sì, anche gli psy più pacifici del mondo sbroccano ), mi ha fatto venire in mente la possibilità di condividere con voi un punto che è, tra i tanti, uno di quelli che mi ha fatto capire che con la psicologia sono “nel posto giusto”.
Prima di giungere al punto in questione, non me ne vogliate, ma devo fare un piccolissimo accenno storico (lo so.. la storia è noiosa ma qualche data di riferimento è ahimè necessaria; un po’ di pazienza).
Brevemente:
La psicologia nasce nella seconda metà dell’800 presentandosi come la commistione di discipline quali la filosofia, medicina, biologia, fisiologia, e così via..
Dal 900 si assiste alla nascita di svariati filoni americani; si sviluppa -acquisendo rilevanza- la psicologia dinamica; abbiamo i lavori del Maestro Freud e dalla metà del XX secolo la pratica professionale cresce e si sviluppa (sia in ambito clinico che di ricerca).
Accade che, innanzi alla maggiore specializzazione di un sapere e di una figura professionale (cosa che a breve vedremo), cominciano a diffondersi diatribe con psichiatri e medici (sempre più convinti della bontà della sola pratica medica e dell’uso delle medicine); inizia la diffusione di una moltitudine di scuole di specializzazione e di corsi universitari che di fatto, frammentano il sapere, e .. il problema del secolo : si diffondono figure come i life coach, i motivatori, i counselor e i vari maestri di vita che, forti di avere un qualche sapere para psicologico tra le mani, sono convinti di aiutare le persone causando solo ulteriori danni.
La psicologia in Italia è passata attraverso le seguenti tappe:
1905: quinto congresso internazionale di Psicologia a Roma il quale sancisce la nascita pubblica della disciplina in Italia
1910: nasce la Società Italiana di Psicologia
1921: nasce la società Psicoanalitica Italiana SPI
1971: a Roma e Padova si aprono i primi due corsi universitari di Psicologia della durata di 4 anni
1973: viene varato il primo disegno di legge sulla professione dello psicologo: “la professione di Psicologo comprende l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, diagnosi, attività di abilitazione- riabilitazione e si sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alla comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito (…) .. “
Il ruolo professionale specifico viene definitivamente sancito dalla legge 56 del 1989 sull’Ordinamento Giuridico della professione, istitutivo dell’albo professionale e dell’ordine degli psicologi.
Il Codice Deontologico degli Psicologi è stato approvato dal Consiglio Nazionale il 28 giugno 1997 e, dopo approvazione attraverso referendum, è entrato in vigore il 16 febbraio 1998.
Il codice è costituito da 42 articoli (che impariamo a memoria) suddivisi in 5 gruppi omogeni che vanno a costituire i capi:
Capo I Principi generali
Capo II Rapporti con l’utenza e con la committenza
Capo III Rapporti con i colleghi
Capo IV Rapporti con la società
Capo V Norme di attuazione.
Nel capo I, è presente il mio articolo preferito, quello in sostanza che mi rappresenta e che da sempre, mi ha fatto comprendere che la Psy per me non è semplice lavoro ma si presenta come quei maglioncini di filo leggeri.. quelli che puoi usare in qualsiasi stagione dell’anno perché d’inverno non creano troppo volume e puoi metterci un cappottino sopra; in autunno tengono caldo (ma non troppo); in primavera riparano da qualche improvviso temporale o folata di vento e d’estate, sul mare di sera, riparano dall’umidità.
Insomma la Psy tiene e contiene la mia esistenza abbracciandomi quotidianamente senza essere invadente ma presente.
L’articolo comunque dice:
art4 “Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta le opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità.
Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.
Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto.
In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso”.
Grazie per la pazienza e per aver letto.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.