“Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro.”
Nietzsche

“Nelle sedute mi lamentavo che l’acqua – saliva, saliva e stava per sommergermi – . L’acqua era lo stato di torpore che riuscivo a dominare sempre più difficilmente..”.
Marguerite A. Sechehaye – Diario di una schizofrenica
Un mio paziente una volta mi descrisse il suo stato d’animo dei giorni precedenti dicendomi: “Dottore mi sentivo come su una scialuppa di salvataggio, solo al buio e con il mare agitato. Senza punti di riferimento e con l’angoscia di poter affogare o di potermi perdere e non tornare più”.
Guardare l’abisso senza essere bene “ancorati” alla superfice è rischioso. La psicoterapia nel caso del mio paziente è la possibilità di avere una bussola e una persona accanto che tenga la rotta. La concreta possibilità di non perdersi nello sguardo dell’abisso.
dott. Gennaro Rinaldi
bella questa definizione, spesso mi chiedo però se queste persone che si sentono smarrite, una volta finita la terapia non si sentano di nuovo in tale situazione. Anche perché per certi pazienti una persona accanto forse ci vorrebbe tutto il giorno, non solo per una seduta, almeno io da esterno la vedo così, immaginando persone effettivamente angosciate, perse, sole….
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Ciao Max, la tua osservazione è giusta. Le psicoterapie infatti sono percorsi più o meno lunghi e terminano in genere quando vi sono stati progressi importanti e il raggiungimento degli obiettivi iniziali prefissati. La fine di una terapia non è infatti stabilita a-priori, dura quanto deve durare e alla fine consente alla persona di acquisire i mezzi adatti per la risoluzione dei problemi, consente di riappropriarsi di un nuovo equilibrio e quindi di ri -costruirsi. Quindi, se la terapia è andata a buon fine, la persona difficilmente si sentirà come prima della terapia. Purtroppo capita che alcune persone interrompano la psicoterapia volontariamente e bruscamente (perché magari pensano di non averne più bisogno in vitù di qualche progresso o per meccanismi difensivi personali molto elevati ), in questi casi può succedere quello che tu hai descritto nella tua osservazione e cioè che la persona può ricadere nel malessere che precedeva gli incontri di terapia. Pensaci, se subisci una piccola operazione (tipo dal dentista) in genere ti viene prescritta una terapia farmacologica di antibiotici e antiinfiammatori o antidolorifici per cinque sei giorni (per esempio); ovviamente questa terapia farmacologica post-operazione ti garantisce di sfiammare la parte curata e previene infezioni. Se tu decidessi spontaneamente di interromperla al secondo giorno, cosa succederebbe? Probabilmente rischieresti un infezione, il dolore aumenterà e la ferita non si sanerà..la stessa cosa (con le dovute differenze) succede con la Psicoterapia.
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si, come paragone ci sta, di solito chi non è addentro al vostro campo non vede questi trattamenti come da un punto di vista medico, ma solo come colloqui atti ad ottenere una guarigione del soggetto. E’ una professione bellissima la vostra, ma vista dall’esterno appare strana, soprattutto per chi non ne ha mai avuto bisogno…
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Penso che molte persone si trovano in quella situazione, penso anche che devono solo trovare la loro strada giusta.
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Si, tante persone si trovano in quella situazione e si hanno bisogno di trovare la loro “strada”, ma tante volte a farlo da soli ci si perde e quindi servirebbe l’aiuto di una “guida esperta” che può indicarti tanti modi sicuri per trovare la strada giusta.
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Certo! Quello senza dubbio
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Condivido…
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Eh si.. ciao Stefano!
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