
“Ciao.. allora giochiamo? che mi hai portato? ..Bum… Buuuummmm…. Sbbbrrrrrr! Vola Vola! Facciamo che qua ci sta una città.. però mettiamole in ordine … Questa che cos’è? la scuola… Nooo… Di qua… lontano senza il ponte che nessuno ci arriva!”
Mio figlio, Dottorè.. è nu terremoto, non so proprio come lo devo prendere… si sbatte sempre sano sano; è iperattivo di sicuro.. boh.. Poi gioca sempre tutto confuso e senza senso.. fa sempre casino e lascia tutto in giro.
“Aspetta facciamo che mo ci sta una battaglia di questi contro a questi… Che tipo chi è più forte? Il leone o la giraffa -pppuuuuaaah!- ha vinto la giraffa! Togli il leone… no Aspè mettilo dentro qua che sennò lo perdiamo.. Aspetta metti in ordine!! Poi perdiamo i pezzi…”
No Dottoressa.. non gioca mai ordinato.. MAI! Poi boh.. a me non mi sembra che sa seguire le storie.. è inutile che perdo tempo a raccontare…
“Vogliamo inventare che tipo.. questo qua (una piccola costruzione di legno non antropomorfizzata), che facciamo che è il cavaliere viene e poi sale sopra all’aereo e va a fare la guerra con gli elefanti?”.
La signora stava descrivendo l’idea preconcetta circa il suo bambino: “Mio figlio ha qualcosa che non va; e io che c’entro? Tanto come faccio faccio quello fa di testa sua. Non fa niente, non sa fare niente, distrugge solo”
Questo bambino così distruttivo e “senza fantasia”, appare invece come molto attento e deciso, nei suoi giochi. Costruisce (con la sua linearità di bambino), storie dal contenuto fantasioso ma allettanti e coerenti. Gioca tenendo l’ambiente e lo spazio ordinato, si siede o gira per la stanza ma non in maniera convulsa, anzi.. Chiede permesso prima di fare le cose.
L’idea di bambino “rotto da aggiustare”, è un’idea che spesso ci viene posta innanzi.
Un’idea che nasce -spesso- dalla difficoltà di dover accettare o ammettere che quel “qualcosa di rotto” che stiamo proiettando all’esterno, è qualcosa che “sappiamo” di dover “aggiustare” in noi.
Se sposto l’attenzione all’esterno su qualcos’altro, decentro il centro da me, dal mio interno, catalizzando sforzi e difficoltà su altro da me.
“Io non ho fallito come genitore. Non è colpa mia. Vedi tu che devi fare”
“Ma hai gli occhi verdi, tu? No perchè fuori erano azzurrriii azzuuurriii.. mo sono veeerdi veeerdi.. Poi prima erano tipo trasparenti.”
“Sono un po’ verdi, un po’ azzurri e un po’ grigi”
“Ahhhhhhhh! Allora ci togliamo le scarpe?”
“Va bene.. ma ricordati delle regole che dobbiamo seguire”
“Lo sai… mamma a me mi veste sempre di nero. Pure lei sta sempre vestita di nero, certe volte… Mi pare che quando stiamo insieme siamo tutti neri neri che mi sento sempre tutto triste. L’altra volta tu tenevi la giacca gialla!”
“Ti ricordi il colore della mia giacca?”
“Si! prima ancora azzurra.. E oggi rosa!” Ma allora mi posso vestire pure io colorato? Pure mamma? Ci vediamo un’altra volta? Lo sai… Sei proprio la Dottoressa colorata!”
“Signora, la settimana prossima ci vediamo (lei ed io), alle 17”.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.