Il volto estranio/straniero: riflessioni (non) lineari.

“Dottoressa certe volte non mi ricordo nemmeno che viso ho. Certe volte penso a come era prima e com’è adesso… Sento che oltre gli occhi non c’è altro” Ragazza, 17 anni.

“Doc ma avete mai visto uno che poi si toglie la mascherina? Cioè.. oggi il prof di fisica si è tolto la mascherina ha cacciato nu barbone sotto… So rimasto sconcertato”. Ragazzo, 16 anni

“Dottorè… Ma quando si levano la mascherina so tutti diversi!! Io non capisco più con chi sto parlando!” Ragazzo, 19 anni

“Perché… com’era prima?” Ragazzina, 12 anni

“Dottoressa credo di preferire questa dimensione qui. Nessuno mi vede così non mi vedo nemmeno io”. Donna, 40 anni.

“Mi manca il viso delle donne; pure quelle che prima avrei detto -è brutta-. Mi manca la bellezza del volto” Uomo, 55 anni.

Ieri dopo una serie di colloqui stanca e -soprattutto- affamata (molto affamata), mi si sono formati dei pensieri per linee associative all’apparenza non connesse, ma si sa… la linearità non esiste (almeno in campo psy).

Per il filosofo Hans Jonas straniero indica chi proviene da un altro luogo; tale straniero per quelli del luogo in cui egli si trova ora, appare strano: non familiare.

Analogamente però, il luogo che lo straniero si trova ad abitare è per lui estraneo: non familiare. Sconosciuto.

Lo straniero vive pertanto una condizione di solitudine che lo porta a sentire -a provare- angoscia e nostalgia per la propria patria. Cosa accade allora se lo straniero conosce il luogo altro in cui si trova, diventando parte di questo luogo che diviene un luogo ex estraneo e in quanto non più estraneo, luogo conosciuto?

Lo straniero dimentica di essere straniero e vive la condizione di esser quasi schiacciato dalla familiarità (ora) di quel luogo non più estraneo, diventando così estraneo a se stesso.

In questa nuova condizione, il (non più) straniero, vive l’alienazione da sé; condizione in cui l’angoscia sparisce ma comincia la tragedia dello straniero che dimenticando la propria estraneità, dimentica anche (e soprattutto) la propria identità.

Lo straniero non può integrarsi; integrare l’esistenza dello straniero vuol dire chiedergli l’assurdo compito di lacerare le proprie origini. Non tagliare, non dimenticare.

Tagliare con coltello arrugginito le proprie origini: la propria identità.

Allo straniero si può chiedere di seguire le leggi dello stato in cui ora è giunto, certamente, ma senza che si renda egli stesso estraneo alle proprie origini.

Cosa accade se lo straniero ha bisogno di difendere la propria identità in un contesto, ad esempio, multiculturale o molto diverso dalla propria cultura di provenienza?

Accade che serve il reciproco riconoscimento: reciproco riconoscimento, reciproco rispetto.

Questo molto oltre il proprio volto che (ri)Tornerà.

“Dottorè… Uà….”

Che c’è?

“No niente… Vi ho visto senza mascherina!”

E allora?

“Niente…No è che…..”.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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