
I recenti eventi di cronaca -quelli che guardando all’apparenza lontano dal bel paese- mi portano in qualità di esperta di salute e benessere psicologico a compiere una riflessione/approfondimento.
La fredda sigla IGV, indica il percorso di Interruzione Volontaria di Gravidanza; attualmente una donna può, in Italia, tecnicamente chiedere di accedere a questo servizio entro i primi 90 giorni (12 settimane)della gestazione per motivi che siano di salute, economici, sociali o familiari.
Dal 1978 questo intervento è regolamentato dalla legge 194/78. All’interno della legge troviamo esplicati i diversi punti, quali ad esempio
- la possibilità di esaminare le possibili soluzioni ai problemi proposti
- offrire un possibile aiuto che porti alla rimozione delle cause che stanno portando alla scelta di interrompere la gravidanza
- certificazione
- invito a soprassedere per una settimana, in assenza di urgenza, sia entro che oltre i 90 giorni. In sostanza viene offerta alla donna una settimana di ulteriore sofferenza, nel caso abbia un ripensamento. Nel corso di questa settimana non di rado accade che la donna in questione diventi vittima di un atteggiamento da parte dei sanitari volti a colpevolizzare la donna stessa, a farla sentire un mostro.
Qual è l’obiettivo della legge?
L’obiettivo che la legge si prefigge è tutelare la maternità, la salute e il benessere psico fisico della donna (e ad ampio spettro della comunità tutta), attraverso la rete dei consultori familiari, al fine di prevenire “reti parallele” di aborti non sicuri: aborti clandestini.
Vi sono due tecniche attraverso cui è possibile ottenere l’interruzione della gravidanza:
- metodo farmacologico
- metodo chirurgico
(Non andrò nel dettaglio medico della cosa).
Per accedere all’aborto farmacologico è necessario recarsi presso un consultorio familiare, medico di famiglia, ginecologo privato o struttura che effettua l’IGV.
Cosa fa il consultorio familiare?
(La grande fortuna dell’assistenza primaria*, in Italia).
I consultori familiari (come da legge 405 del 1975) offrono un tipo di prevenzione che rientra nella “prevenzione primaria”, finalizzata alla prevenzione e il benessere psicologico, sociale e fisico della donna, dell’infanzia e della famiglia; ci si occupa, in sostanza, dei minori, della donna, della coppia (genitorialità) e della famiglia.
L’accesso all’UOMI (Unità Operativa Materno Infantile) è gratuita; non c’è bisogno di pagamento ti ticket e si accede tramite appuntamento preso, spesso, contattando direttamente il professionista richiesto.
Una donna che giunge in consultazione con lo psicoterapeuta della struttura in cui avverrà L’IGV è una donna sola; per quanto questa donna sia inserita in una rete sociale di supporto (ad esempio familiare), vivrà sempre la scelta di procedere con l’IGV come una scelta vissuta nel dolore personale.
Una donna che decide di procedere con L’IGV soffre ma soffrirà ancora di più, portando avanti una gravidanza.
Nella stragrande maggioranza dei casi, stiamo evitando che nasca un bambino (qualora siano state escluse problematiche fisiche nell’embrione) con problematiche psichiatriche/psicologiche notevoli. Un bambino non riconosciuto dalla madre potrebbe portare la donna costretta a portare avanti la gravidanza a sviluppare: psicosi puerperale, depressione, allucinazioni, psicosi, schizofrenia, disturbi del comportamento alimentare, deliri; la donna potrebbe sentire che il feto ospitato sia un alieno non di rado donne si sono aperte la pancia, con strumenti di fortuna perché sotto la spinta di deliri e allucinazioni avevano l’urgenza di rimuovere da sé l’indesiderato ospite.
Se la gravidanza procede tutto sommato bene, la donna può decidere di dare in adozione il bambino.
Pensate che la vita di un bambino istituzionalizzato, sia migliore?
Il bambino meglio cresciuto dalla famiglia adottiva, andrà incontro per forza di cose, a problemi psicologici serissimi nel corso della sua vita; per non parlare del fatto che se esposto a problemi di salute, non potrà (o difficilmente potrà), ritrovare i propri genitori biologici per un aiuto concreto.
A tal proposito penso alla piccola Elena del Pozzo uccisa poche settimane fa, a soli 4 anni, dalla sua giovanissima madre; oppure al giovane adottato che pochissime settimane fa ha ucciso la madre a coltellate.
L’elenco sarebbe fin troppo lungo.
Mi chiedo allora quando smetteremo di guardare alla maternità come un qualcosa di sacro e inviolabile; quando smetteremo di guardare alle donne come esseri atti alla riproduzione per il solo fatto di avere degli organi deputati al concepimento.
La gravidanza va ben oltre il semplice atto fisiologico della cosa e la religione o la politica ha ben poco a che vedere con la mostruosità che, il più delle volte, un pancione può assumere.
I governi si dimenticano, troppo facilmente, che il vivere sociale implica dei doveri, certo, ma implica anche -e soprattutto- dei diritti.
Diritti sempre più cancellati, spazzati via, resi traslucidi da specchietti per le allodole che portano altrove.
Allora…
E’ omicidio oppure è un mio diritto poter decidere della mia salute psicofisica?
Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767
*si intende ogni attività focalizzata sull’adozione di interventi e comportamenti in grado di evitare o ridurre l’insorgenza e lo sviluppo di una malattia, selezionando e trattando le condizioni di rischio.