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Le parole che abbracciano.

“Dottoressa è capitato di tutto in questi mesi che non ci siamo visti. Quando decisi di mia spontanea volontà di non continuare il percorso perché era rientrata l’emergenza -la domanda- che le avevo fatto, con successo, sapevo che evitavo il principale ostacolo. Lei me lo aveva detto che il nostro percorso si poteva considerare giunto alla sua conclusione proprio perché io, in un colloquio appena, ho svoltato e così, nelle settimane che ci siamo visti, sono stato sempre meglio. Ho capito tante delle questioni che mi circondano -dentro e fuori- tante delle dinamiche mie, personali, e di quella famiglia infame che mi ritrovo. Lei me lo aveva detto che per “quella questione” che io lo so, lei ha capito fin troppo bene, dovevamo fare un altro percorso più lungo e profondo ma io sono stato codardo e non me la sono sentita.

In questi mesi di assenza mi è mancata una cosa…

Avevo bisogno di un abbraccio, spesso e volentieri, un abbraccio di una persona esterna cioè.. un abbraccio suo.

Mi sei mancata Doc, perché le parole, le tue parole, abbracciano e scaldano.

Le parole dette e ascoltate curano eccome”

D., 35 anni.

Parlare di sé ha una funzione terapeutica a patto, però, che il discorso avvenga in determinate -per così dire- condizioni. La funzione terapeutica delle parole può considerarsi tale quando parlare di sé avviene alla presenza di un’altra persona che sappia ascoltare; la psicoanalisi viene pertanto a connotarsi come una cura parlata (talking cure, Anna O.) ma anche ascoltata.

La qualità dell’ascolto dell’analista -naturalmente- è di importanza cruciale.

Freud raccomanda che tale ascolto avvenga in quello stato di “attenzione fluttuante” che costituirebbe la diretta controparte delle associazioni libere del paziente; e Theodor Reik suggerisce che tale ascolto debba essere fatto con quella che egli chiama “terzo orecchio”, quello cioè sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onde delle comunicazioni inconsce dell’analizzando.

Vanno fatte alcune considerazioni.

Innanzitutto nella coppia psicoanalitica non è soltanto il paziente a parlare e l’analista ad essere passivo ascoltatore ma i ruoli possono alternarsi.

L’insight ed il progresso terapeutico spesso si verificano mentre il paziente è in ascolto delle interpretazione dell’analista, alle quali poi eventualmente risponderà in forma verbale o emotiva. In secondo luogo, l’analizzando che parli all’analista, dal quale è a sua volta ascoltato, non è il solo a beneficiare da tale interazione: lo è anche l’analista.

Le interpretazioni non vanno considerate o immaginate come consigli, obblighi, emozioni fatte e dette dall’analista; si tratta di un processo terapeutico che avviene all’interno di un setting che ha regole ben specifiche.

Non si tratta -in sostanza- di dire al paziente “fa questo, questo o quell’altro” né si dice al paziente “sì hai fatto bene/no hai fatto male”.

La possibilità di creare, fare, disfare, distruggere o aggredire che offrono le parole; la possibilità di stringere, abbandonare o celare cui la talking cure apre è qualcosa di profondamente affascinante e avvincente.

D. mi ha fatto dono di una emozione incredibile quando mi ha riferito della sua sensazione circa le parole che ci siamo scambiati per un anno, in un vortice emotivo ma -soprattutto- esplorativo profondo e sincero.

Quando si incontra un collega che dà la sensazione di “dire i fatti propri” (cosa che spesso leggo) o si ha la sensazione che il dottore sia un vero incompetente, è molto probabile che non sia quella la relazione terapeutica più giusta per noi in quel momento.

Non sono le parole ad essere sbagliate, né la psicologia, né il setting.

E’ molto probabile -possiamo ipotizzare- che le parole che vogliamo usare in quel momento non riescano a fuoriuscire per tutta una serie di difese messe in atto che, anch’esse in quel momento, meritano il nostro rispetto (come per D., che in quel momento, rientrata l’emergenza non ha voluto approfondire il “suo grande dolore”.)

E io rispetto D., che rispetta le parole.

Le parole abbracciano eccome…

Caetano…

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Psicologa Clinica e Pianista. Albo degli Psicologi della Campania n 9767 Riceve per Appuntamento (per contatti visualizzare la pagina dedicata)

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