Archivio dell'autore: Giusy
Psicologia online
#psicologia #ilpensierononlineare #inviaggioconlapsicologia #podcastpsicologia #psicologiaonline #psicologaNapoli #podcast #autolesionismo #autolesionismoricerche #psicologiaricerche #cutting #psicologiaesocietà #colloquiopsicologicoonline
#psicologia #psicologiaonline #ilpensierononlineare #Youtubeilpensierononlineare #psicologaNapoli #dipendenza #dipendenze #SerT #SerD #serviziperledipendenze #psicologiaricerca #psicologiaesocietà #colloquiopsicologicoonline
Scusate (se non piango)
Il post di oggi si presenta come la conclusione (per un certa parte) della mia presenza su questo spazio.
Sono mesi che leggo…
Leggo interpretazioni sulla figura dello psicologo, sulla psicologia, sul disagio psicologico, sulle chiacchiere, sulla parcella, sulle diagnosi.
Tutti schifano -sono nauseati- arrabbiati, a causa dello psicologo!
(Però poi tutti leggete e argomentate come sapienti analisti! Sono sempre tutti iper-preparati sui grandi temi psy! Anche se la psy non serve).
Ho deciso per quel che concerne il mio personale spazio, che vi saranno dei cambiamenti.
Ciò che dirò riguarda me e non il mio collega a cui vanno le mie scuse.
Vorrei innanzitutto specificare qualche cosa che sarà detta, come fossero libere associazioni, in assenza di filtro cosciente (se volete chiamatele pure flusso di coscienza, sono sicura che sarete più preparati di me sulla terminologia più idonea da usare).
Il collega con cui condivido lo spazio è lo psicoterapeuta più competente che io abbia mai visto all’opera. So che qualcuno di voi ha detto che noi psy ci coalizziamo contro non so chi o cosa.. Personalmente voglio soltanto evidenziare che lavorare con le psicosi non è da tutti; restare sano accompagnando facendo luce una persona nel pieno di un delirio non è da tutti. Lavorare con gente ubriaca, dipendente, delinquente: non è da tutti.
Mi rammaricano molte cose, prima fra tutte l’ignoranza dilagante.
Dopo anni di condivisione su questo spazio* ho visto restringersi sempre di più l’apertura mentale di certe persone (le stesse, magari, che mi hanno inviato mail private).
Lo psicologo non serve, è un inutile succhia soldi certo.. però smettete di inviarmi mail o dal contenuto seducente o in cui mi chiedete diagnosi gratuitamente!
Sono piuttosto perplessa dal comportamento da bulli che certi hanno.
Siete convinti di essere simpatici e far ridere ma quando nelle vostre pseudo battute indicate la mia professione e la mia parcella come “beneficenza; gente che non si salverà; gente inutile; persone senza senso; etc..” fate come quei bulli dei vostri figli quando dicono “io l’ho strattonata solo per ridere! ma faceva ridere! era uno scherzo!”
Non fate ridere. Fate ammalare le persone così.
Altro punto: la parcella.
Sì verso più tasse di voi e sì è necessario essere retribuiti (ma voi lo sapete quanto volontariato faccio o facciamo? E non parlo dei tirocini; parlo proprio della voglia di fare qualcosa per la comunità).
Altro punto: quando le persone vi riferiscono qualcosa circa accadimenti avvenuti in terapia, vi riferiscono la loro personale versione delle cose. Le persone possono mentire o non aver capito: dare la loro personale versione. Abbiate almeno la decenza di poter dubitare e di non credere che siamo sempre persona cattive o che incolpano le famiglie.
Spoiler: lo psicologo non è un “cercatore di colpe”.
Sono profondamente dispiaciuta e – come dico sempre ai miei pazienti- gli ambienti che diventano tossici e fanno male, vanno abbandonati.
Cosa ne sarà, allora, del mio spazio?
Per il mio spazio (e non quello del collega), non ci saranno più:
-articoli su casi clinici
-approfondimenti scientifici
-pensieri sparsi o pensieri sparsi personali
Ci saranno:
-podcast
-video
Aggiornamento non cadenzato.
Non chiudo il mio spazio definitivamente perché è presente l’indirizzo sul personale bigliettino da visita e non ho intenzione di rifare i bigliettini per cancellare il blog.
Vi invito a riflettere sempre quel mezzo secondo in più, prima di dire o fare qualcosa sia mai che la società tutta ne possa trarre un beneficio.
Mi dispiace per quei pochi amici che tali si sono mostrati seppur telematicamente; sono quelle persone che aprono la mente, il campo d’azione personale che fanno girare l’energia e che sai, che dal loro spazio di vita, riescono a rendere tutto un posto migliore.
Voglio davvero ringraziare la mia famiglia per avermi permesso di studiare la scienza più bella del mondo, quella che consente di fare, agire nel concreto a stretto contatto con l’umano (per chi non ha fiducia, c’è comunque l’alternativa dei santoni, consulenti spirituali o cartomanti che aiutano sempre eh!).
E grazie ai miei pazienti.
Alla vostra straordinaria capacità di esistere.
Torno all’amore: quello per la mia vita, così imperfettamente armonica!
*Volutamente non ho mai inserito il mio CV perché l’intento era portare la psicologia tra le persone, per farla conoscere. Il risultato è stato, come sempre, la chiusura.
Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767
Giornata Mondiale del Pianoforte
Per la Giornata Mondiale del Pianoforte ho a lungo scavato nella memoria delle mie emozioni.
Il viaggio si è fatto pelle nel momento in cui, negli oltre 23 anni in cui la musica ha deciso di farsi accompagnare da me, qualcosa nella sintonizzazione dei miei tre registri di lacaniana memoria (immaginario, simbolico e reale) ha sovvertito il suo presunto ordine.
Il viaggio -come dicevo- si è fatto allora pelle e tendini (tipo quelli che sono perennemente infiammati quando suoni ore, ore e ore).
Il viaggio si è fatto ricordo: quello delle ore interminabili in cui i polpastrelli delle dita hanno sviluppato solidi ma piccoli e protettivi calli lì, proprio su quella punta sottile ed esile.
Il viaggio si è fatto, inoltre, dolcezza ripensando al primo pianoforte di quel color viola/vinaccia.
Il viaggio si fa, nel momento presente, aroma consistente e persistente: quello di quando apro il pianoforte e -nonostante gli anni- c’è un solo profumo che persiste e mi ripropone tutti gli insegnanti (i presunti maestri) incontrati, le amicizie musicali, gli amori armonizzati nel frattempo.
I tasti bianchi e neri (i neri sono più simpatici e interessanti) sanno di sudore (e anche di sciatalgia in giovanissima età).
Nell’ordine di 52 bianchi e 36 neri, melodici e armonici tasti racchiudono l’essenza della mia storia.
Che cos’è allora un pianoforte?
L’amore puro: l’unico di cui sono sempre stata disposta a sostenere la fatica, il senso di svalutazione, il crollo emotivo, i giochi di potere.
(Me le ricordo certe uscite dalle aule dei conservatori..)
Cosa sono allora questi tasti bianchi e neri..
Qualcosa che è in me (e sempre sarà) in un luogo protetto e sicuro, impenetrabile, impercettibile che suona e risuona costantemente affiancando il mio sincopato battito cardiaco.
#WorldPianoDay
Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767
Pillole di Psicoanalisi: sul senso di solitudine.

La psicoanalista austriaca Melanie Klein, nel suo lavoro incentrato sulla valutazione del nostro mondo interno, pone una riflessione sul senso di solitudine.
Quando -chi scrive- riferisce al senso di solitudine, intende non quella situazione oggettiva in cui ci si trova quando il soggetto è privo di compagnia (solo) ma riferisce al sentirsi soli indipendentemente dalle circostanze esterne (il senso di solitudine interiore) anche se si è circondati da amici e persone.
Cosa intende allora Melanie Klein?
Secondo l’ipotesi della psicoanalista, lo stato di solitudine interna è il risultato di una aspirazione cui tutti mirano in qualche modo; una aspirazione che cela una condizione irraggiungibile ovvero la perfezione interiore.
Questa solitudine che, è bene dirlo, tutti sperimentano nasce da angosce paranoidi e depressive che derivano a loro volta da angosce psicotiche del bambino. Queste angosce sono infatti presenti in misura maggiore o minore in ognuno ma, nei casi patologici, lo sono in forme particolarmente violente.
Il senso si solitudine appare allora anche come un aspetto sia della patologia schizofrenica che depressiva.
Per comprendere come nasca il senso di solitudine, dobbiamo ritornare al primario rapporto che si instaura tra madre a bambino. Per la Klein l’Io è presente fin dalla nascita (per Freud no) anche se manca molto di coerenza ed è dominato da meccanismi di scissione.
Il pericolo, infatti, di venir distrutti dall’istinto di morte diretto contro di sé contribuisce alla scissione degli impulsi in buoni e cattivi ed è proprio in seguito alla proiezione di questi impulsi sull’oggetto primitivo che anch’esso è scisso in una parte buona e cattiva.
Ne consegue che nei primissimi stadi, la parte buona dell’Io e l’oggetto buono sono, in qualche misura, protetti poiché l’aggressività non è rivolta contro di loro.
La Klein descrive proprio questi particolari processi di scissione come la base di una relativa sicurezza nel bambino mentre altri processi di scissione (come quelli che portano alla frammentazione), sono nocivi per l’Io e la sua forza.
Nei primi mesi accanto allo stimolo a compiere la scissione è già presente un impulso all’integrazione che cresce con il crescere dell’Io.
Alla base di questo processo di integrazione sta l’introiezione dell’oggetto buono che dapprima è un oggetto parziale (il seno materno). Se l’oggetto interno buono è radicato in maniera abbastanza stabile diviene il centro di sviluppo dell’Io.
Un soddisfacente rapporto precoce con la madre (che può tranquillamente essere rappresentato dal biberon che rappresenta simbolicamente la mammella, quindi non è necessario che vi sia un allattamento al seno), implica un contatto tra l’inconscio della madre e del bambino.
Questa è la condizione fondamentale affinché il bambino possa fare in modo di avere una esperienza completa di esser compreso nella forma preverbale. Successivamente per quanto il comunicare pensieri e sentimenti a una persona amica possa essere un’esperienza gratificante, resta sempre la nostalgia per una comprensione che avviene senza l’uso di parole (il primissimo rapporto con la madre).
Questo desiderio contribuisce a creare il senso di solitudine; esso deriva dal sentimento depressivo di aver subito una perdita irreparabile.
“Finisce bene quel che comincia male”
Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767
Navigare dentro

Alcuni pazienti danno la sensazione di portarmi all’interno di un’apertura della loro pelle.
Non è una ferita, uno squarcio o un “semplice” buco.
Non è una voragine.
Alcune persone che sono innanzi a me durante le nostre terapie, sollevano completamente i lembi della pelle, li aprono e mi portano con loro tra le fibre e le terminazioni nervose.
Vedo ghiandole, follicoli e vasi sanguigni.
Alcune persone che si siedono dall’altro lato della scrivania separano i lembi della pelle e a tempo debito, mi fanno tessuto connettivo -tessuto di supporto- che unisce e protegge gli altri tipi di tessuti.
Quando esco da questa dimensione mi sento bagnata un po’ come quando ti gettano una secchiata d’acqua addosso.
Sono pronta a questo lavoro: sono formata.
Eppure persiste, per certi pazienti, la dimensione dell’inaspettato.
Talvolta sono quelli più giovani che ti portano nelle viscere del loro disagio a “bagnarmi” di più.
E’ il loro sguardo sgranato, quello di gratitudine, di vergogna e di entusiasmo a lasciarmi umida.
L’interno del nostro corpo è tutto tranne che profumato e continuo ogni giorno ad imparare che le puzze peggiori sono spesso quelle dove la terra sta fermentando.
(Anche in assenza di ossigeno c’è una via metabolica che consente di ricavare energia)
“A me piacerebbe parlare con tante te, nella mia vita di tutti i giorni. Anche se mi capita di incontrare qualcuno che in linea generale, capisce il mio disagio, non capisce mai come mi sento davvero dentro. Certe volte vorrei portare le persone dentro di me e dire -guarda! ecco qui cos’è, questo com’è.. Guarda qua!-.
Quando vengo ai nostri incontri in effetti mi sento capito perché prima di tutto non mi sento malato. Ripenso sempre a quando mi dicevi che non sono la mia stessa malattia a quanto stessi sbagliando (sì, uso questa parola anche se non ti piace Dottorè), quando continuavo a buttare davanti a tutto le mie ossessioni.
Mi sento visto dentro e non come malato ma come persona: come Emanuele.
Ne sono convinto: la miglior cosa di tutta la mia vita resterà aver chiesto aiuto ed aver permesso che mi si navigasse dentro”
Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767
Dov’è la Biglia? Test della Falsa Credenza
Che cos’è la capacità metarappresentazionale?
E quando si sviluppa la teoria della mente? Quando siamo, in sostanza, capaci di capire che l’altro può avere sentimenti o emozioni che non necessariamente sono come quelle che sentiamo e viviamo noi?
E’ possibile che il nostro comportamento sia orientato da una falsa credenza?
Scopriamolo con il nostro approfondimento.
Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767
Il dolore del dolore
Una paziente mi chiese quando un dolore cominciasse a fare meno dolore; quando -in sostanza- avrebbe cominciato a sentire “come una volta” il piacere dell’abbraccio, il calore sul viso, il profumo di un fiore.
L’esperienza dolorosa è devastante poiché per quanto condivisa è sempre prima di tutto nel silenzio del proprio mondo interno che avvertiamo il senso devastante del dolore.
Il dolore può essere prettamente psicogeno o organico; può accompagnarsi o essere accompagnato da una specifica patologia o essere la spia di una psicopatologia.
Il dolore ha il tempo del dolore; un tempo che richiede la nostra piena attenzione e volontà.
Attenzione per se stessi, il proprio mondo interno, la propria storia personale scevri dal giudizio personale che vuole etichettare la nostra stessa storia.
Capita sempre di più (e anche qui, l’epoca social molto fa) che le persone decidano di darsi una etichetta psicodiagnostica e che si barrichino dietro questa definizione.
Ciascuno è -ovviamente- libero di vivere la propria condizione dolorosa con la delicatezza che più sente rispettosa verso il proprio processo di costruzione di sé ma va anche detto che la psicologia ha fatto tantissimo, negli anni, per distaccarsi dalla medicalizzazione del disagio psicologico arrivando -ad esempio- all’importantissima diagnosi funzionale dove più che parlare di deficit e “aspetti che non funzionano” si punta e di fa leva, lavorandoci, sviluppandole ulteriormente e valorizzando le aree funzionali della persona stessa che in questo modo, non è vista come solo “depressa, ansiosa, anoressica, disgrafica”.
Il tempo del dolore è quel tempo che serve per viaggiare tra, dentro, intorno, sopra, sotto, di fianco nel/al dolore stesso. Questo tempo terminerà quando la condizione originaria che portava il dolore stesso (la perdita, la malattia, etc..) non farà più così paura o dolore ma sarà seme per ricominciare o proseguire.
Il lutto di una persona cara, del nostro animale domestico, cesseranno di far dolore quando avremo la forza per guardare un certo oggetto o ripensare a quella cosa (ricordo, evento) senza abbandonarci più a lacrime continue ma quando quel ricordo renderà lucidi sì gli occhi, ma riuscirà ad aprire a nuove possibilità.
“Prendiamo un nuovo cane?/ Ho deciso di accettare quell’appuntamento/ Nonna faccio le polpette come le facevi tu! e che successo la cena con gli amici!”
Il tempo non ci è nemico a patto di riuscire a danzare insieme a lui (che siamo o meno, bravi ballerini!)
Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767