Archivi categoria: Psicologia e Sviluppo

Dov’è la Biglia? Test della Falsa Credenza

Che cos’è la capacità metarappresentazionale?

E quando si sviluppa la teoria della mente? Quando siamo, in sostanza, capaci di capire che l’altro può avere sentimenti o emozioni che non necessariamente sono come quelle che sentiamo e viviamo noi?

E’ possibile che il nostro comportamento sia orientato da una falsa credenza?

Scopriamolo con il nostro approfondimento.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Eventi Critici e Famiglie – Psicologia familiare – PODCAST

Questa tappa del nostro viaggio ci permetterà di osservare alcuni aspetti “critici” dell’evoluzione dei sistemi familiari che durante il loro ciclo vitale possono in un modo o nell’altro incontrare eventi che ne possono scandire le diverse fasi della vita.


Gli “Eventi Critici” (matrimonio, nascita dei figli, crescita dei figli, lutti..), che possono essere Paranormativi o Normativi, scandiscono le diverse fasi del ciclo vitale di tutte le famiglie e la loro risoluzione permette il passaggio allo stadio successivo.

Buon Ascolto..!

@ilpensierononlineare

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“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Con-tatto fisico ed emotivo: l’opera di René Spitz 

Pensi sia più importante il contatto fisico/emotivo nei confronti del bambino oppure credi che possano bastare le sole cure igieniche, per esempio?

Non di rado i genitori sostengono di adempiere correttamente a tutte le cure necessarie, nei confronti dei loro bambini, e questo è assolutamente vero!

Cosa potrebbe allora mancare o essere deficitario, all’interno di una relazione calda, con i nostri bambini?
Scopriamo le straordinarie ricerche di René Spitz.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

Un po’ sorrido un po’ (tanto) mi incazzo

Capita certe volte di sentirsi quasi in difficoltà per la posizione che si riveste.

Lavorare per/con il sociale, per così dire, ti mette a stretto contatto con le assurdità della contemporaneità in una maniera molto più incisiva complice, ahimè il mio essere esperta di salute mentale.

L’introduzione che parrebbe gettata un po’ così al limite della lamentela (cosa che notoriamente, non mi appartiene), trova senso nell’odierna giornata di “festa”.

L’otto marzo porta con sé riflessioni estreme che andrebbero assolutamente estese alla restante parte dell’anno ma, essendo questo giorno, il giorno, mi sento in dovere di condividere con voi qualche riflessione che è indirizzata anche (e soprattutto) dall’esperienza clinica ovvero quella reale e non letta, immaginata o fantasticata..

Essere donna sembra quasi esser diventato un compito: un dovere.

Sei lì, dalle tue forme femminili contenuta e tutti si aspettano qualcosa da te; un qualcosa che è socialmente preconfezionato e precostituito, un qualcosa verso cui non hai particolari diritti.

La grande problematica che avverto, oggi, è l’impossibilità (e siamo addirittura nel 2023), di poter scegliere del mio corpo, del mio lavoro, della mia vita. Non posso scegliere cosa (e se) condividere online, non posso scegliere cosa indossare e come, non posso scegliere chi amare e quando. Non posso scegliere se amare, se procreare, se lavorare.

Sono obbligata (in maniera tacitamente accordata) ad essere elegante, compita e silenziosa; devo essere sensuale, felina, ammiccante. Devo darti piacere, comprensione, amore. Devo capire se mi vuoi mamma o puttana e se devo essere per te, mamma, la puttana te la trovi nell’altra che può solleticare la tua fantasia come io, non posso fare.

Devo esserti complice e farti la strada mentre tu, amore mio, sarai la stella che percorre la strada in cui io sarò dietro un lampione spento.

Mi sarà chiesto se ho intenzione, nei prossimi cinque anni, di diventare madre e questo durante un colloquio di lavoro che nulla c’entra con la mia scelta di vita personale.

Sarò giudicata perché avrò scelto la strada della passione sacrificando, nell’ottica altrui, la strada della certezza della vita domestica.

Mi sarà chiesto notte e giorno “ma un figlio quando lo fai?! ma magari il prossimo anno metti in cantiere un bambino!”

In cantiere: ma che significa?

Sarò giudicata se avrò lasciato un lavoro per dedicarmi alla famiglia perché nessuno crede che casalinga possa essere una scelta di vita; sarò parimenti giudicata se preferirò lavorare scegliendo di non procreare.

Sarò pagata di meno perché “sì”, così si fa.

Giudicata se prenderò la maternità e se mai dovesse capitare di restare incinta subito dopo il primo bambino sarò: licenziata.

Abusata dagli sguardi altrui, molestata, violata e toccata quando non hai chiesto il mio permesso oppure quando ti ho in maniera esplicita detto: NO!

Violata perché condivido una foto generica che mi rappresenta e obbligata a dover accettare squallidi e languidi commenti assolutamente non richiesti.

Eletta a ruolo di musa ma io da te non voglio belle parole: voglio il tuo sangue, la tua carne, il tuo respiro su di me. Voglio il tuo corpo, certo, ma voglio la tua presenza costante in me.

Sono grassa o troppo magra.

Avrò sempre troppa cellulite, troppo culo poco seno.

Avrò poca cellulite e niente fianchi secca come un manico di scopa.

Che seno floscio!

Oddio come sei ingrassata con la gravidanza mammamia che schifo!

Ma la pancia non si vede proprio, sei sicura di essere in attesa?

E’ faticoso. Noioso. Snervante.

Non sono proprietà di nessuno se non di me stessa.

Non sono un seno, un capezzolo, un culo.

Rigonfio le mie labbra e le riempio di filler per solleticare la fantasia di qualcuno che rivede nelle mie labbra strane associazioni sessuali.

Che imbarazzo, che vergogna.

Ascoltare ragazze di 16/17 anni desiderare di ricevere uno schiaffo così “mi dimostra davvero quanto mi ama!”

Un po’ sorrido è vero ma un po’ -tanto- mi incazzo perché lo sconforto e la paura per il modo in cui è richiesto di essere donne, alle donne, è terrorizzante. E ancora più terrorizzante è il fatto che le donne, oggi, si stiano lentamente convincendo che questo va bene!

No, non commettere il solito errore qui non c’è caccia alle streghe che tenga. Il mio riferimento non è a una persona specifica. Mi riferisco a mia madre, mia sorella, mia zia, la mia amica, mia cognata, mia nonna. Mi riferisco a mia figlia a cui auguro l’incertezza dei sogni e la delicatezza delle passioni. Con i piedi ben piantati nella terra e la mente quella sì sui tacchi, libera di esprimersi e di esistere senza insistere.

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Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

Disturbo Da Dismorfismo Corporeo (BDD) 

Una paziente non usciva più dalla propria casa perché era convinta di essere un mostro, di essere deforme, nonostante questa deformità fosse assente dal suo viso.

Un’altra paziente non riusciva a lasciare un microscopico specchio tenuto sempre tra le sue mani con cui doveva controllare, continuamente, che tutto fosse sotto controllo.

Abuso di make-up, abbigliamento strano, che cosa c’entra tutto questo con il BDD – Disturbo Da Dismorfismo Corporeo, disturbo sottostimato, tornato alla ribalta in seguito alle dichiarazioni fatte dal cantante Marco Mengoni che ha ammesso di averne sofferto.

Si tratta di un disturbo inserito all’interno del DSM5 nei disturbi ossessivo-compulsivi che si caratterizza per un’eccessiva e persistente preoccupazione per alcuni difetti fisici corporei. Questi difetti fisici possono essere presenti ma minimi, oppure totalmente assenti.

Scopriamo insieme, anche attraverso l’esperienza clinica, cos’è il BDD e come riconoscerlo.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

Le storie che ci appartengono – Psicologia della Famiglia – PODCAST

“Noi pensiamo per storie perchè siamo costituiti da storie, immersi in storie, fatti di storie”

Gregory Bateson

Le “tappe” del nostro “Viaggio nella Psicologia” che vi propongo oggi, ci faranno vivere per qualche minuto come personaggi di storie. Storie che partono da antichi miti. Perché in qualche modo noi tutti siamo parti attive nel racconto della nostra storia.

Narrazioni che partono da lontano e che in qualche modo condizionano il nostro presente e il nostro futuro.

Nel primo episodio vi parlerò più in generale del mito e della sua importanza per i contesti sociali, per le comunità, i gruppi e per i singoli individui.

Nel secondo episodio invece vi parlerò più nello specifico del “mito familiare” e dell’importanza che ha assunto nella comprensione dello studio del funzionamento psicologico delle famiglie dal punto di vista della Psicologia Sistemico Familiare e quindi dell’importanza che assume per ogni persona.

Buon Ascolto..

In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast
In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast

Storie miti e narrazioni transgenerazionali (puoi cliccare sul link per ascoltare l’episodio o potete trovarlo e ascoltarlo nella playlist del nostro podcast In Viaggio con la Psicologia. )

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“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

“Come fate?”

“Ho una domanda da farvi -Docs- ma voi, dopo che sentite tutti i problemi della gente, non vi sentite male? No davvero.. me lo chiedo sempre perché io, per esempio, quando parlo con qualche mia amica che ha qualche problema, dopo mi sento.. ceh.. mi sento proprio male. Come fate?”

Durante un colloquio in co-conduzione, una ragazzina di 11 anni -straordinariamente intelligente- ha posto questa domanda.

La sua curiosità mi ha profondamente commossa, cosa che le ho prontamente riferito, perché uno spostamento del genere nei panni dell’altro è cosa assai rara.

Potrei argomentare in molte maniere e modi ma preferisco tenere la realtà che va sempre accolta, amata e protetta, per me e per chi ha vissuto quel momento.

Non fermiamoci mai a ciò che “passa” online sui nostri giovani.

Conosciamoli -davvero- mantenendo il giudizio fuori dal nostro incontro che altrimenti, diventa scontro.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

Famiglia e separazione.

L’approfondimento odierno intende trattare un tema complesso e attuale. Nei nostri studi entriamo sempre di più in contatto con quelle che sono state delle famiglie e che adesso, nel tempo presente, si presentano come luoghi battaglia; terra di nessuno esposta all’astio, violenza e aggressività.

E’ sempre devastante incontrare lo scontro della fine di un amore ma ancor di più è devastante osservare le lacrime di bambini e ragazzini che se si fingono forti -nelle mura domestiche- dove avvengono le battaglie, crollano senza sosta tra le mura della stanza d’analisi.

Analizziamo allora cosa accade quando si passa dalla nascita del primo figlio alla separazione.

La nascita del primo figlio implica la creazione di un nuovo sottosistema (quello genitoriale) così come la creazione di nuovi legami di attaccamento e la ridefinizione dei rapporti con la propria famiglia d’origine.

Le coppie in cui i partner non hanno completato il proprio processo di individuazione dalla famiglia di origine e quindi non hanno sviluppato la capacità di ascolto e di accettazione dell’altro come persona né la capacità di cooperazione, molto probabilmente non riusciranno a “fare spazio” (emotivo, affettivo o relazionale) per il nuovo membro della famiglia.

Si tratta di coppie che sembrano bloccate in uno spazio fusionale in cui non c’è spazio per il figlio. In queste coppie, l’unico modo per riconoscere l’altro (il bambino) che diviene un elemento esterno alla fusionalità che tiene legati i membri della diade è “creare” una frattura tra i due partner per ricreare una nuova coppia fusionale: quella genitore-bambino.

Il figlio può quindi essere amato, conosciuto e riconosciuto solo dopo che è stato fatto fusionalmente proprio da uno dei due genitori.

In questo caso si può arrivare all’allontanamento fisico e emotivo dal partner essendo impegnati nella relazione fusionale con il proprio figlio: ecco che in questo caso si giunge alla separazione.

Una delle configurazioni maggiormente riscontrabili comporta che dopo la separazione, uno dei due partner rientri nella famiglia d’origine.

Questa scelta di solito è sostenuta da motivi di ordine pratico ma può essere interpretata come il simbolo della scarsa capacità del singolo di organizzare la propria vita personale.

In questa delicatissima fase, le famiglie d’origine vengono di solito altamente coinvolte nella nella vita dell’uno o altro partner tanto che spesso proprio la famiglia d’origine diviene il sostituto del partner perduto (i nonni accudiscono il figlio in luogo dell’ex partner insieme al figlio/a).

Le famiglie d’origine, inoltre, entrano a gamba tesa nel conflitto coniugale schierandosi con il proprio figlio e contro l’ex (di converso l’ex spesso accusa per esempio gli ex suoceri come i responsabili della fine del proprio rapporto coniugale).

E’ in questo momento che arriva la richiesta di separazione.

Nelle situazioni conflittuali parliamo di chiasma familiare quando il figlio è al centro di dinamiche relazionali disfunzionali quali la triangolazione e la coalizione tra le due famiglie.

Il minore della famiglia separata a relazione chiasmatica, occupa un ruolo particolare perché da un lato è simbolo dell’unione indissolubile tra le due famiglie (di fatto impossibile) dall’altro l’elemento scatenante del conflitto. Il figlio è al centro del chiasma e ciascuna famiglia ne reclama l’appartenenza al proprio clan. Ne consegue che nel corso del suo sviluppo, il bambino non potrà integrare in un’unica rappresentazione le sue radici e la sua storia a discapito del suo senso d’identità e della percezione della sua continuità.

Cosa accade quando la famiglia si separa durante l’adolescenza?

L’adolescente è impegnato dei due principali compiti di sviluppo ovvero individuazione e separazione dalla propria famiglia, ne consegue che durante questa fase del ciclo di vita si vivano continui lutti, separazioni, abbandoni e identificazioni.

Contemporaneamente i genitori, come coniugi, sono impegnati nella ridefinizione della relazione di coppia e, come individui, nell’elaborazione della crisi dell’età di mezzo.

L’adolescenza dei figli accresce, nei coniugi, il senso di perdita delle loro possibilità procreative.

Questa fase della vita familiare è delicata perché si tratta di attraversare un lutto intergenerazionale che comporta il distaccarsi da quella struttura familiare che era funzionale all’infanzia dei bambini per affrontare proprio la separazione/individuazione che ora i figli adolescenti richiedono. In questa fase così caotica si situa spesso la separazione dei coniugi tanto da comportare una doppia separazione per la famiglia.

I genitori impegnati nella fine del loro rapporto personale, sono meno inclini e propensi ad accogliere le richieste di un adolescente spaesato che ha -invece- proprio in questo momento bisogno più che mai di attenzioni; accade allora che non di rado questi adolescenti abbandonati arrivino ad attuare condotte devianti o comportamenti sintomatici che vengono poi usati da uno dei due ex partner per ottenere qualcosa in fase di separazione “E’ colpa tua se Marco ha gli attacchi di panico! voglio più soldi per pagare la terapia!”

Le famiglie con adolescenti dovrebbero presentare una maggiore demarcazione dei confini per permettere i processi di svincolo tra genitori e figli ma, in caso di separazione, i confini possono diventare confusi così tanto da impedire lo svincolo.

Il genitore affidatario può “sedurre” il figlio (per esempio promettendogli cose e viziandolo) così da portare il ragazzo alla collusione a discapito dell’altro genitore. Queste dinamiche diventano più probabili quando il figlio resta solo con un genitore formando una famiglia monogenitoriale dove l’altro è praticamente assente.

La famiglia monogenitoriale.

Frequentemente in caso di separazione1 il figlio è affidato alla madre. Tendenzialmente accade che il padre ha magari una nuova compagna e decide, volontariamente, di non voler vedere più i propri figli2. In altri casi assistiamo a quella che prende il nome di sindrome di alienazione genitoriale (Gulotta,1998), per cui il genitore affidatario mette progressivamente in atto una serie di comportamenti volti a svalutare e denigrare l’altro genitore.

Altre volte può accadere che la madre, rimasta sola, viva la difficoltà nella gestione dell’autorità che prima era rivestita dal padre ora assente. Altre volte accade invece che si arrivi a una relazione troppo invischiata tra figlio e madre giungendo il figlio a vivere una relazione con la madre (sul piano prettamente simbolico) come se fosse il suo partner.

In altri casi l’adolescente svolge il ruolo di parental child dove tramite una inversione di ruoli il figlio gestisce i propri fratelli oppure deve consolare la madre depressa.

Anche il ragazzino che appare più forte e che si sente utile in una situazione del genere, vive una difficoltà e arresto nel proprio sviluppo psicoemotivo.

Continua.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

1Tratterò il tema dell’affido del minore in maniera non troppo approfondita poiché non si tratta dello specifico oggetto d’analisi dell’approfondimento. In linea del tutto indicativa e statistica, riferirò alla configurazione più nota ovvero quella che comporta l’affido del minore alla madre. Voglio sottolineare che non condivido questa scelta come la più idonea sempre e a tutti i costi. Come credo che i padri non siano sempre del tutto tutelati.

2 C’è da dire che prima della pandemia erano maggiormente gli uomini che lasciavano la propria famiglia in luogo della costruzione di una nuova “vita”. Nei nostri studi dal 2020 in poi, stiamo assistendo a una inversione quasi, dei ruoli. Molte donne decidono sempre più di lasciare la propria famiglia abbandonando anche i propri figli. E’ qualcosa di cui va preso atto.