Archivi categoria: Psicologia e Società

Disturbo Da Dismorfismo Corporeo (BDD) 

Una paziente non usciva più dalla propria casa perché era convinta di essere un mostro, di essere deforme, nonostante questa deformità fosse assente dal suo viso.

Un’altra paziente non riusciva a lasciare un microscopico specchio tenuto sempre tra le sue mani con cui doveva controllare, continuamente, che tutto fosse sotto controllo.

Abuso di make-up, abbigliamento strano, che cosa c’entra tutto questo con il BDD – Disturbo Da Dismorfismo Corporeo, disturbo sottostimato, tornato alla ribalta in seguito alle dichiarazioni fatte dal cantante Marco Mengoni che ha ammesso di averne sofferto.

Si tratta di un disturbo inserito all’interno del DSM5 nei disturbi ossessivo-compulsivi che si caratterizza per un’eccessiva e persistente preoccupazione per alcuni difetti fisici corporei. Questi difetti fisici possono essere presenti ma minimi, oppure totalmente assenti.

Scopriamo insieme, anche attraverso l’esperienza clinica, cos’è il BDD e come riconoscerlo.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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“Nasceranno”

Ogni popolo che soffre è nel mio cuore.

Ogni popolo.

Nasceranno da noi
uomini migliori.
La generazione
che dovrà venire
sarà migliore
di chi è nato
dalla terra,
dal ferro e dal fuoco.
Senza paura
e senza troppo riflettere
i nostri nipoti
si daranno la mano
e rimirando
le stelle del cielo
diranno:
“Com’è bella la vita!”
Intoneranno
una canzone nuovissima,
profonda come gli occhi dell’uomo
fresca come un grappolo d’uva,
una canzone libera e gioiosa.
Nessun albero
ha mai dato
frutti più belli.
E nemmeno
la più bella
delle notti di primavera
ha mai conosciuto
questi suoni
questi colori.
Nasceranno da noi
uomini migliori.
La generazione
che dovrà venire
sarà migliore
di chi è nato
dalla terra,
dal ferro e dal fuoco.

Nasceranno uomini migliori

Nâzım Hikmet Ran 

E’ molto probabile che questi uomini siano già nati o ri-nati. Le immagini dei bambini estratti vivi dopo tutte queste ore interminabili, assurde, assordanti scuote mente ed anima fino a farsi sentire nel corpo come una profonda pesantezza; pesantezza di qualcosa che può sempre essere contenuta (nel caso di catastrofi naturali) se non evitata (come nel caso della guerra).

🌻

A Voi tutti il mio pensiero.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

Famiglia e separazione.

L’approfondimento odierno intende trattare un tema complesso e attuale. Nei nostri studi entriamo sempre di più in contatto con quelle che sono state delle famiglie e che adesso, nel tempo presente, si presentano come luoghi battaglia; terra di nessuno esposta all’astio, violenza e aggressività.

E’ sempre devastante incontrare lo scontro della fine di un amore ma ancor di più è devastante osservare le lacrime di bambini e ragazzini che se si fingono forti -nelle mura domestiche- dove avvengono le battaglie, crollano senza sosta tra le mura della stanza d’analisi.

Analizziamo allora cosa accade quando si passa dalla nascita del primo figlio alla separazione.

La nascita del primo figlio implica la creazione di un nuovo sottosistema (quello genitoriale) così come la creazione di nuovi legami di attaccamento e la ridefinizione dei rapporti con la propria famiglia d’origine.

Le coppie in cui i partner non hanno completato il proprio processo di individuazione dalla famiglia di origine e quindi non hanno sviluppato la capacità di ascolto e di accettazione dell’altro come persona né la capacità di cooperazione, molto probabilmente non riusciranno a “fare spazio” (emotivo, affettivo o relazionale) per il nuovo membro della famiglia.

Si tratta di coppie che sembrano bloccate in uno spazio fusionale in cui non c’è spazio per il figlio. In queste coppie, l’unico modo per riconoscere l’altro (il bambino) che diviene un elemento esterno alla fusionalità che tiene legati i membri della diade è “creare” una frattura tra i due partner per ricreare una nuova coppia fusionale: quella genitore-bambino.

Il figlio può quindi essere amato, conosciuto e riconosciuto solo dopo che è stato fatto fusionalmente proprio da uno dei due genitori.

In questo caso si può arrivare all’allontanamento fisico e emotivo dal partner essendo impegnati nella relazione fusionale con il proprio figlio: ecco che in questo caso si giunge alla separazione.

Una delle configurazioni maggiormente riscontrabili comporta che dopo la separazione, uno dei due partner rientri nella famiglia d’origine.

Questa scelta di solito è sostenuta da motivi di ordine pratico ma può essere interpretata come il simbolo della scarsa capacità del singolo di organizzare la propria vita personale.

In questa delicatissima fase, le famiglie d’origine vengono di solito altamente coinvolte nella nella vita dell’uno o altro partner tanto che spesso proprio la famiglia d’origine diviene il sostituto del partner perduto (i nonni accudiscono il figlio in luogo dell’ex partner insieme al figlio/a).

Le famiglie d’origine, inoltre, entrano a gamba tesa nel conflitto coniugale schierandosi con il proprio figlio e contro l’ex (di converso l’ex spesso accusa per esempio gli ex suoceri come i responsabili della fine del proprio rapporto coniugale).

E’ in questo momento che arriva la richiesta di separazione.

Nelle situazioni conflittuali parliamo di chiasma familiare quando il figlio è al centro di dinamiche relazionali disfunzionali quali la triangolazione e la coalizione tra le due famiglie.

Il minore della famiglia separata a relazione chiasmatica, occupa un ruolo particolare perché da un lato è simbolo dell’unione indissolubile tra le due famiglie (di fatto impossibile) dall’altro l’elemento scatenante del conflitto. Il figlio è al centro del chiasma e ciascuna famiglia ne reclama l’appartenenza al proprio clan. Ne consegue che nel corso del suo sviluppo, il bambino non potrà integrare in un’unica rappresentazione le sue radici e la sua storia a discapito del suo senso d’identità e della percezione della sua continuità.

Cosa accade quando la famiglia si separa durante l’adolescenza?

L’adolescente è impegnato dei due principali compiti di sviluppo ovvero individuazione e separazione dalla propria famiglia, ne consegue che durante questa fase del ciclo di vita si vivano continui lutti, separazioni, abbandoni e identificazioni.

Contemporaneamente i genitori, come coniugi, sono impegnati nella ridefinizione della relazione di coppia e, come individui, nell’elaborazione della crisi dell’età di mezzo.

L’adolescenza dei figli accresce, nei coniugi, il senso di perdita delle loro possibilità procreative.

Questa fase della vita familiare è delicata perché si tratta di attraversare un lutto intergenerazionale che comporta il distaccarsi da quella struttura familiare che era funzionale all’infanzia dei bambini per affrontare proprio la separazione/individuazione che ora i figli adolescenti richiedono. In questa fase così caotica si situa spesso la separazione dei coniugi tanto da comportare una doppia separazione per la famiglia.

I genitori impegnati nella fine del loro rapporto personale, sono meno inclini e propensi ad accogliere le richieste di un adolescente spaesato che ha -invece- proprio in questo momento bisogno più che mai di attenzioni; accade allora che non di rado questi adolescenti abbandonati arrivino ad attuare condotte devianti o comportamenti sintomatici che vengono poi usati da uno dei due ex partner per ottenere qualcosa in fase di separazione “E’ colpa tua se Marco ha gli attacchi di panico! voglio più soldi per pagare la terapia!”

Le famiglie con adolescenti dovrebbero presentare una maggiore demarcazione dei confini per permettere i processi di svincolo tra genitori e figli ma, in caso di separazione, i confini possono diventare confusi così tanto da impedire lo svincolo.

Il genitore affidatario può “sedurre” il figlio (per esempio promettendogli cose e viziandolo) così da portare il ragazzo alla collusione a discapito dell’altro genitore. Queste dinamiche diventano più probabili quando il figlio resta solo con un genitore formando una famiglia monogenitoriale dove l’altro è praticamente assente.

La famiglia monogenitoriale.

Frequentemente in caso di separazione1 il figlio è affidato alla madre. Tendenzialmente accade che il padre ha magari una nuova compagna e decide, volontariamente, di non voler vedere più i propri figli2. In altri casi assistiamo a quella che prende il nome di sindrome di alienazione genitoriale (Gulotta,1998), per cui il genitore affidatario mette progressivamente in atto una serie di comportamenti volti a svalutare e denigrare l’altro genitore.

Altre volte può accadere che la madre, rimasta sola, viva la difficoltà nella gestione dell’autorità che prima era rivestita dal padre ora assente. Altre volte accade invece che si arrivi a una relazione troppo invischiata tra figlio e madre giungendo il figlio a vivere una relazione con la madre (sul piano prettamente simbolico) come se fosse il suo partner.

In altri casi l’adolescente svolge il ruolo di parental child dove tramite una inversione di ruoli il figlio gestisce i propri fratelli oppure deve consolare la madre depressa.

Anche il ragazzino che appare più forte e che si sente utile in una situazione del genere, vive una difficoltà e arresto nel proprio sviluppo psicoemotivo.

Continua.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

1Tratterò il tema dell’affido del minore in maniera non troppo approfondita poiché non si tratta dello specifico oggetto d’analisi dell’approfondimento. In linea del tutto indicativa e statistica, riferirò alla configurazione più nota ovvero quella che comporta l’affido del minore alla madre. Voglio sottolineare che non condivido questa scelta come la più idonea sempre e a tutti i costi. Come credo che i padri non siano sempre del tutto tutelati.

2 C’è da dire che prima della pandemia erano maggiormente gli uomini che lasciavano la propria famiglia in luogo della costruzione di una nuova “vita”. Nei nostri studi dal 2020 in poi, stiamo assistendo a una inversione quasi, dei ruoli. Molte donne decidono sempre più di lasciare la propria famiglia abbandonando anche i propri figli. E’ qualcosa di cui va preso atto.

I risvolti Psicologici del Turismo Dark – PODCAST

Questa tappa del nostro viaggio ci farà viaggiare in luoghi scuri e spesso pericolosi. Luoghi che raccontano storie complesse disturbanti, storie di delitti e misteri, di traumi e patologie. Luoghi dove sono avvenuti fatti di cronaca macabri umanamente difficili da accettare.
Parleremo del fenomeno del Turismo Dark.

Buon Ascolto..

I risvolti Psicologici del Turismo Dark – In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast
I risvolti Psicologici del Turismo Dark – In Viaggio con la Psicologia – Spotify Podcast

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Nella stanza della psicologa: l’importanza della famiglia durante la presa in carico dell’adolescente.

Con l’approfondimento odierno intendo presentare al lettore due casi clinici da me seguiti. Ho scelto due adolescenti (un ragazzo e una ragazza) con situazioni familiari piuttosto equiparabili (mi riferisco, come a breve vedremo, all’atteggiamento della famiglia) che ben si prestano ad evidenziare la centrale importanza dell’intero sistema famiglia, quando un suo membro (il paziente designato) si fa portatore del sintomo che cela, in realtà, la disfunzionalità di tutto il sistema familiare stesso.

Riporterò storia e dati dei due casi clinici ma sempre in accordo con le leggi che regolano il segreto professionale1. Dividerò le due storie in “Caso A” e “Caso B”, non con l’intento di meccanicizzare la realtà, ma solo per rendere più comprensibile e fruibile la lettura.

Breve introduzione: evoluzione storico-culturale dell’adolescenza.

L’adolescenza è la fase del ciclo di vita che risente maggiormente della componente storica e socio-culturale. Cosa vuol dire quanto appena detto? Procedendo con un piccolo excursus sia storico che tra le diverse culture è possibile notare come non è sempre possibile individuare un periodo di sviluppo assimilabile a quello che oggi intendiamo noi come adolescenza, questo perché la fase di inizio e fine è soggetta a significazioni (e ri-significazioni) molto diverse nelle varie epoche.

Nell’antica Roma repubblicana la fine dell’adolescenza era segnata dallo sviluppo fisiologico2 . Presso i Masai il giovane, alla fine dell’adolescenza, si sottopone alla cerimonia del salto della siepe. Più le società hanno una organizzazione economica semplice, più il passaggio dal mondo infantile a quello adulto è breve e -soprattutto- sancito da riti di passaggio e/o iniziazione.

In Europa è con l’industrializzazione e con il sistema scolastico obbligatorio (specie con la scuola superiore) che si giunge ad allungare, per così dire, la “permanenza” nella fase adolescenziale. Si è infatti allungato il tempo per l’ingresso nel mondo del lavoro e non vi sono modelli predefiniti da seguire per sancire la definitiva uscita dalla fanciullezza e l’ingresso nel mondo adulto. Il termine stesso adolescere evidenzia ab origine la condizione di “passaggio” dell’adolescenza stessa: non più un bambino ma nemmeno un adulto; un passaggio che la nostra contemporaneità fatica a gestire ma che vede sempre più farsi lungo3.

L’adolescente vive quindi un periodo della vita particolarmente delicato, caratterizzato da indeterminatezza, sospensione e attesa in cui la famiglia gioca un ruolo fondamentale.

Caso A: la storia di Lele.

Lele è un ragazzino molto dolce di 15 anni. Giunge in consultazione scortato dalla madre che, preda delle sue mille preoccupazioni, non sa più cosa fare con questo figlio sempre più pigro, svogliato e apatico. Il giorno del nostro primo incontro, la madre di Lele mi porta una cartella piene delle più svariate analisi ospedaliere fatte fare al figlio per una serie di problemi che la donna non riesce più a gestire4… La mamma di Lele è un fiume in piena di parole, grandi sospiri e accenni di lacrime; mentre lei parla io continuo a guardare Lele, per comprendere le sue risposte emotive al racconto così tanto devastante, che la madre mi sta portando. Accolta la richiesta della signora, la invito gentilmente ad uscire così da poter parlare con il ragazzo.

La risposta lì per lì, da parte della donna, è di panico totale. La signora diventa rossa in volto ha quasi un accenno di svenimento poi capisce che deve uscire.

Lele è molto timido, ha degli enormi occhiali, un pantaloncino corto da cui emergono le lunghe gambe e il suo corpo che comincia lentamente a trasformarsi. Le mascherine coprono i volti e Lele mi dice chiaramente che se non avessimo questi dispositivi a coprirci sarebbe molto difficile, per lui, guardarmi negli occhi (in realtà, Lele è uno dei pochi ragazzi che mi ha davvero sempre guardata negli occhi; durante i nostri colloqui cominciati nel pieno della pandemia Lele spesso abbassava la mascherina e continuava a parlare senza mai abbassare lo sguardo).

Il ragazzo è da subito disposto a cominciare il percorso psicologico; mi colpisce la sua intelligenza, il porsi domande ben oltre la sua età anagrafica, la voglia di scoprire e riscoprire la vita (il lockdown avrà una grande incidenza sulla salute psichica del ragazzo che, proprio in corrispondenza dello scoppio della pandemia, era diventato vittima di atti molto violenti da parte dei bulli). Se la mamma di Lele dopo un iniziale stato di shock sarà molto disponibile e attenta, arrivando ad allacciare una buona alleanza con me, non si potrà dire lo stesso del padre.

Il papà di Lele è un uomo dalla scolarizzazione completamente assente (sarà la moglie ad evidenziare ripetutamente come il marito sia ignorante), completamente anaffettivo, aggressivo e non di rado violento, non farà altro che riferirsi al figlio con frasi del tipo “perché ti ho riconosciuto alla nascita?” “non sei mio figlio, finocchio del cazzo”. La continua svalutazione del padre aveva reso impossibile, in Lele, misurarsi e confrontarsi con aspetti di fragilità e emotività tanto da spingerlo verso modalità adesive (la dipendenza materna) nelle quali non c’era spazio per la tridimensionalità e una pseudoadultizzazione, rendendo vano lo sviluppo di meccanismi identificatori e l’espressione di vissuti dolorosi. Lele però non molla e continua, scortato dalla madre, a venire ai nostri incontri. Il ragazzo comincia lentamente a prendere coscienza dei suoi bisogni e delle sue emozioni; vuole conoscere una ragazza, sente pressante il bisogno di conoscere il sesso (la sessualità e sensualità); vuole ricominciare ad uscire e comincia lentamente a rompere quell’involucro di vetro che il padre ha costruito. Ci saranno sedute drammatiche, con eventi che pur potendo, mi sarebbe difficile restituire al lettore, tanto che un giorno il padre, capisce l’importanza del nostro lavoro, l’importanza del suo apporto al supporto che sto portando avanti e avviene la svolta. Lele il ragazzino che era stato dato per malato, fa vacillare le fondamenta fangose della famiglia e con uno scossone riposiziona i ruoli. Il padre capisce la sua funzione fondamentale, fratelli e sorelle non daranno più per scontato il ragazzino, la madre capisce che non può continuare ad “offrire il seno” ad un uomo in formazione.

Lele oggi è un ragazzo sereno e sicuro. Ha una fidanzata, ha cambiato scuola ed ha molti amici che sente come parti fondamentali della sua vita. La madre ha trovato un lavoro e il padre trascorre molto tempo con i 3 figli che non appella più con aggettivi di dubbio gusto.

Dal disagio di Lele ogni membro ha capito che era a sua volta portatore di qualche piccola ferita di cui era necessario prendersi cura.

Le cicatrici condivise, quando esposte, fanno meno male.

Caso B: la storia di Gaia

Gaia è una ragazza di 17 anni giunta in consultazione portata obbligatoriamente dalla madre. Il giorno del nostro primo incontro Gaia è annoiata non tanto perché si trova dalla psicologa (a 8 anni era già stata in cura da una collega), quanto dal fatto che la madre continua ad essere pressante e invadente. Il motivo della richiesta di supporto psicologico risiede nella presunta aggressività della ragazza mista a diversi “deficit” diagnosticati con assoluta certezza dalla madre della ragazza a sua figlia5 . Entro subito in sintonia con Gaia e riferisco in maniera piuttosto veloce, alla madre della giovane, che per le diagnosi che lei propone, non mi sembra vi siano elementi idonei ma propongo ugualmente di fare dei test per avvalorare o meno la sua tesi, di procedere con la terapia e, per eliminare qualsiasi altro dubbio, di rivolgersi al reparto specifico di (…) per avere ulteriori test.

Gaia a dispetto di quanto mi era stato riferito, ha una intelligenza notevole ed ha la capacità di fare astrazioni molto più complesse anche di tanti adulti. Certo è annoiata e svogliata; sembra non aver minimamente voglia di vivere la vita.

Per ragioni di spazio e privacy sono costretta a compattare di molto gli eventi.

Accade durante il nostro percorso che andrò ripetutamente a scuola di Gaia per parlare con i professori che nel frattempo, avevano iniziato una guerra con la famiglia. Dai test somministrati sia da me che dai colleghi, non emergeranno punteggi o deficit tali degni di essere legalmente riconosciuti; più che di freddi numeri personalmente mi baso principalmente sui colloqui (le diagnosi fatte con strumenti psicodiagnostici sono fondamentali soprattutto perché consentono un riconoscimento legale pertanto un accesso alla pensione di invalidità; va comunque specificato che non tutte le commissioni ragionano allo stesso modo e che spesso non basta la sola indagine psicologica ma l’argomento esula dal post odierno) e da questi Gaia appare come una ragazza in linea con i compiti di sviluppo richiesti per la sua età salvo che per una leggerissima alessitimia e una difficoltà molto leggera nell’area logico matematica (si parla di punteggi al limite della significatività).

Ciò che emergerà dai colloqui e dal mio conoscere sempre di più il sistema familiare di Gaia è, invece, che si tratta di una famiglia caratterizzata da estremo caos; una famiglia portatrice di una intensa e subdola conflittualità dove ogni membro cerca continuamente di far fuori l’altro con un enorme disprezzo che affonda le sue radici nell’incapacità di riuscire a contenere le proiezioni dell’altro. La terapia diviene oggetto del contendere; elemento di conflitto in cui ciascun genitore a parti alterne evidenzia l’inutilità del supporto. Gaia però resiste e diventata maggiorenne torna da me. La madre di Gaia appare altamente ambivalente a tratti severa e rigida poi estremamente amichevole tanto da instaurare un rapporto tra pari con la figlia. Questa confusione genera altra confusione con Gaia che diventa improvvisamente la babysitter della madre che tradisce il marito.

Faccio esperienza della rabbia, nel controtransfert.

Nel momento in cui Gaia sembra imboccare la strada giusta, instaurando una relazione sana, trovando un lavoro e poche ma salde amicizie, la madre crolla.

Ho la sensazione che ci sia una pesante ancora che vuole tirare giù, nel mare della confusione Gaia, una ragazza nella cui fragilità si incista un seme di forza e tolleranza estremo.

La lotta per scalfire i sensi di colpa è lunga ma Gaia è una guerriera che senza l’ausilio di armi ma con la sola costanza, con qualche lacrima e un pizzico di coraggio, sta imparando a nuotare anche -e soprattutto- in apnea.

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

1Tutti i dati sensibili saranno opportunamente camuffati al fine di proteggere il cliente, secondo quanto espresso dagli articoli in merito al segreto professionale e alla tutela del cliente, ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi

2Raggiunta la pubertà, durante una cerimonia religiosa il giovane deponeva la toga praetexta e la bulla (simboli dell’infanzia)e rivestiva la toga virilis.

3Non vi è al momento una età rigida e certa che sancisce la fine dell’adolescenza ma, studi alla mano, l’età sembrerebbe aggirarsi attualmente fin ai 25 anni (post-adolescenza o famiglia lunga del giovane adulto, Scabini e Donati, 1988).

4Lele è stato sottoposto a diversi accertamenti medici da cui però non emerge nessuna componente organica nei disturbi che racconta la madre, ecco perché la donna ha deciso di ricorrere all’aiuto dello psicologo.

5La signora è fermamente convinta delle sue capacità nell’effettuare delle diagnosi sulla figlia. L’ambivalenza che la donna mi porta è da manuale: non c’è bisogno di uno specialista per fare una diagnosi di un certo disturbo ma al contempo pretendo che tu faccia la diagnosi a mia figlia rilasciandomi un certificato spendibile, ad esempio a scuola.

Violenza.

“Chi dice -non ce la faccio- può anche morire sul lettino”

Grande citazione di una certa ostetrica detta ad un donna nel bel mezzo del parto.

Tra solitudine.

Dolore.

Paura.

Vergogna.

Disagio.

Ricoverata tra battute schifose fatte dal personale sanitario.

Offesa e denigrata per il suo corpo.

Per il suo dolore.

Ne parlerò -poi- di violenza ostetrica.

Non oggi.

Lo stesso governo che pretende che le donne partoriscano a tutti i costi, si preoccupi di metterci in sicurezza fisicamente e psicologicamente.

Non siamo carne da macello.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

Il mediatore

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Con all’approfondimento odierno presenterò al lettore la figura del mediatore. Muoviamo -ancora una volta- intorno all’ambito penale minorile (anche se la figura del mediatore può essere d’aiuto oltre all’ambito che a breve conosceremo, anche in quello scolastico e familiare).

Presenterò -pertanto- le strategie possibili per quanto concerne l’intervento delle istituzioni e la presa in carico nei servizi territoriali quando lavoriamo con minori autori e vittima di reato.

Cosa di intende per mediazione?

La mediazione penale minorile assume, oggi, un ruolo fondamentale questo secondo quanto sancito dai nuovi Principi di Legge che prevedono l’obbligatorietà dell’azione mediata in tutte le sue possibili accezioni*.

La mediazione può pertanto venirsi a trovare nei diversi contesti di vita: scolastico, familiare, penale, sanitario e sociale.

Il mediatore.

Compito del mediatore è favorire la comunicazione tra due o più soggetti che sono tra loro in conflitto: l’autore e la vittima del reato. Si tratta di un lavoro di promozione (in sinergia con altri professionisti) di progetti rieducativi finalizzati alla riabilitazione del reo in carcere nell’ottica e nell’esigenza di un suo efficace reinserimento sociale, come da principio guida del processo penale minorile italiano.

Il mediatore penale minorile applica le proprie competenze rispondendo a due fondamentali esigenze di Giustizia:

1) offrire attenzione ai protagonisti della vicenda penale: alla vittima (alla quale viene conferito un ruolo più attivo di quanto accade nel procedimento penale), e al reo (ponendo in essere la concreta opportunità di accedere a modalità riparative responsabilizzanti).

2) riguarda invece l’attenzione specifica nei confronti del minore reo una volta all’interno del contesto penitenziario, promuovendo progetti ed attività di intervento a scopo rieducativo e riabilitativo.

I mediatori mirano pertanto alla risoluzione del conflitto (da intendere in maniera ampia ovvero come un confronto tra due parti che può o meno sfociare in conflitto aperto o essere latente) attraverso l’intervento di un professionista neutrale e imparziale che miri a rendere più agevole l’incontro tra le parti portando ad una soluzione pacifica.

Mediazione penale.

Lo scopo della mediazione penale è quello di proporre un modello di risoluzione dei conflitti alternativo rispetto al tradizionale processo giudiziario, mediante la realizzazione di interventi che mirano più alla ricomposizione delle relazioni che alla ricerca della verità giudiziaria. Si caratterizza per il carattere confidenziale della discussione e per la neutralità dei luoghi in cui si svolge. Incontrare la vittima è considerato utile sotto il profilo educativo ma anche di cruciale importanza per iniziare un reale processo di reinserimento sociale. La presa di contatto (materiale e non simbolica) con la vittima e la ricerca comune di una risoluzione pacifica del conflitto sono elementi importanti.

Rendere il minore reo protagonista, insieme alla vittima, del futuro dei loro reciproci rapporti consente ad entrambi una conoscenza dinamica della rispettiva personalità col risultato di ottenere un effetto auto-responsabilizzante. Inoltre, in ambito minorile, gli effetti positivi della mediazione penale si combinano ulteriormente con l’ opportunità di evitare al minore i tradizionali traumi e stress causati dal normale esplicarsi del procedimento penale.

Chi sono i soggetti della mediazione?

Sono tre: il reo, la vittima e il mediatore ma per attivare il processo è d’uopo che vi siano almeno tre condizioni ovvero il consenso informato e volontario del minorenne autore di reato; il consenso informato e volontario della vittima; l’ammissione di responsabilità da parte del minore autore del reato (che non è una cosa così scontata da avere).

Promotore dell’iniziativa e responsabile della valutazione di fattibilità è il Centro o Servizio che, in seguito, ne dà comunicazione al magistrato competente (Servizi sociali).

Durante il percorso di mediazione penale, il processo penale è sospeso. Al termine della mediazione, viene redatta una relazione sui risultati del percorso che viene inviata all’autorità giudiziaria. In caso di esito positivo, il procedimento penale può concludersi immediatamente.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

*Il DPR 448/88 che disciplina il sistema processuale penale minorile prevede la realizzazione dell’attività di mediazione, vista la piena rispondenza di questo strumento alle finalità proprie della giustizia minorile. In particolare, gli art. 9, 28 del D.P.R. 448/88 sono considerati gli spazi normativi per eccellenza per l’introduzione delle pratiche di mediazione

Il pregiudizio

Che cos’è il pregiudizio?

Sei davvero sicuro di essere una persona senza pregiudizi? E se ti dicessi che anche un atteggiamento condiscendente può essere mosso da pregiudizio, ci crederesti?

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio