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Cleptomania. L’impulso irresistibile del furto.

Il termine cleptomania (dal greco kléptein – rubare), fu usato per la prima volta nel 1838 dall’alienista francese Jean-Etienne Dominique Esquirol che utilizzò il termine per indicare una propensione ad un impulso difficilmente controllabile del furto, causata probabilmente da un disturbo psichiatrico. Lo psichiatra Bleuler in seguito, osservo che in queste persone non c’erano altri comportamenti di tipo antisociale e che spesso gli oggetti rubati non avevano particolare valore. Addirittura nel XIX secolo i clinici e i medici in generale, osservarono che in prevalenza il disturbo si presentava nelle donne e lo associarono a possibili disfunzioni uterine, fortunatamente questa tesi fu abbandonata non molto tempo dopo. Dopo di che, l’interesse clinico per questo disturbo fu lentamente abbandonato.

Fino agli anni settanta del ventesimo secolo, ci fu un generale disinteresse. Con la prima edizione del Manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM) l’interesse per questo particolare disturbo venne ripreso.

La cleptomania non è un disturbo comune, si stima che circa 6 persone su mille ne soffrono e circa il 5 % dei taccheggiatori abituali. I cleptomani agiscono sotto l’ “effetto” di un impulso incontrollabile. Quando rubano sono soli e non hanno complici, sono consapevoli del rischio legale che corrono e cercano quindi di non farsi scoprire. Non ricavano profitto dagli oggetti che rubano, infatti generalmente li buttano, li regalano, li collezionano (spesso senza utilizzarli) o addirittura, in alcuni casi, provano a restituirli. Circa i due terzi dei cleptomani sono donne.

Topo cleptomane – Immagine google.

Il disturbo ha il suo esordio durante l’adolescenza e può avere un decorso cronico oppure avere lunghi periodi di remissione, alternati da fasi in cui l’impulso per il furto è molto forte e si arriva anche a rubare 3 o 4 volte durante la stessa giornata. Le fasi in cui il sintomo si acuisce sono legate a situazioni stressanti (lutti, separazioni). Purtroppo per la maggior parte dei cleptomani passa molto tempo prima che arrivino a cercare un aiuto professionale, a causa del senso di vergogna che provano per un comportamento socialmente poco tollerato e che proprio non riescono a controllare.

Alcuni studi hanno osservato che la cleptomania può associarsi ad altri disturbi più comuni come alcolismo, disturbi di personalità, deficit d’attenzione, disturbo ossessivo compulsivo, bulimia, deficit d’attenzione, anoressia..

Una comorbilità abbastanza evidente è con la bulimia nervosa. Alcuni studi hanno dimostrato che circa il 25% delle persone con bulimia, hanno anche episodi di cleptomania. Negli uomini invece è stata osservata una correlazione con disturbi sessuali e traumi alla nascita. Nelle famiglie di cleptomani, invece, si trovano spesso storie di depressione, alcolismo e anche di cleptomania.

Secondo Carl Abraham (psicoanalista tedesco), il cleptomane sin da piccolo non ha ricevuto prove d’amore concrete e gratificazioni, quindi il furto potrebbe essere interpretato come il tentativo di trovare un piacere sostitutivo a quelle mancanze oppure una vendetta fantasmatica contro le figure genitoriali incapaci di dargli, quando necessario, le giuste gratificazioni.

immagine google

Per Charles Kligerman, invece il cleptomane, che in passato ha ricevuto una ferita narcisistica, attraverso il furto riesce a ricostruire temporaneamente il proprio Sé. C’è in queste persone una regressione ad una modalità infantile di cercare la propria indipendenza, che richiede una gratificazione immediata (prendere senza chiedere). Tutto ciò si accompagna ad una fragilità strutturale del Super-Io e ad un bisogno di essere scoperti e quindi essere puniti (dall’autorità).

Lo stile comportamentale del cleptomane, è stato anche associato ai disturbi ossessivo-compulsivi, perché ha alcune caratteristiche comuni con questi disturbi; ad esempio, pensieri ricorrenti o ripetitività dei comportamenti che condizionano negativamente gran parte della quotidianità della persona.

Per i cleptomani, l’atto di rubare è vissuto (o piuttosto seguito) da una sensazione di “piacere”. Ed è proprio questa “sensazione di piacere” insieme con la paura del giudizio negativo degli altri, ad allontanare queste persone da un percorso terapeutico. Molte volte intraprendono un percorso di cura solo nel momento in cui devono affrontare problemi legali conseguenti ai furti. Per le persone che soffrono di questo disturbo esistono diverse strategie di cura. Su tutte, dove ci sono tutti i presupposti, la psicoterapia è molto efficace, qualunque sia l’approccio teorico di riferimento (Sistemico-Relazionale, Psicoanalitico o Cognitivo Comportamentale). A volte può aiutare anche una terapia familiare o di coppia. Inoltre i gruppi di mutuo aiuto (Tipo alcolisti anonimi), associati ad una psicoterapia individuale, possono aiutare moltissimo. Nei casi molto gravi può essere associata alla psicoterapia anche una terapia farmacologia.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Bevo per dimenticare. Dimentico per bere.

“Buongiorno, sono D., sono stato dagli Alcolisti Anonimi per tanti, tanti mesi e diciamo che sono pulito. Ho bisogno di capire alcune cose, sulla mia dipendenza e sono qui. Ho cominciato a bere a 13 anni, molto presto lo so ma avevo bisogno di sentirmi grande e forte: potente. Sono stato vittima di quello che oggi chiamano bullismo, mi sentivo ferito e così ho cominciato a bere. Dalla prima goccia di alcool nel corpo che brucia, ho cominciato a bere litri e litri di birra, vino e vodka; a qualsiasi ora. La scuola non mi interessava, mi sfottevano solo.. là..

Mamma non c’era mai, papà è andato via di casa quando io avevo 3 anni e si faceva di qualsiasi cosa, dice mamma. Mi sono bevuto tutta la vita, Dottorè.. ma mi serviva qualcosa che mi faceva andare giù lo schifo che avevo intorno. Quando l’alcool ti brucia dentro e senti che ti sta tipo ustionando ogni cosa di te e senti che sei stordito, bruciato e.. aspè come si dice.. anestetizzato, ecco!.. io.. sì, mi sentivo come un fantasma.. ma è possibile che più ero trasparente e più mi sentivo vivo? Non lo so..

Poi ho conosciuto una ragazza.. l’amore.. tutte quelle stronzate che però mi hanno fatto capire che non tutto poteva essere come la mia famiglia (mia nonna è una prostituta famosa nel quartiere) e che fai… mi so messo sotto e ho capito che non potevo continuare ad essere un fantasma che al posto del sangue ha alcool in corpo”.

Secondo l’OMS nel mondo sono circa due miliardi le persone che consumano alcool. Quando si consumano cinque o più bicchieri in una sola occasione, si parla di episodio di binge drinking o bevuta compulsiva. Il 23% degli americani al di sopra degli undici anni si ubriaca almeno una volta al mese e circa il 7% delle persone sopra gli undici anni sono forti bevitori, arrivando ad ubriacarsi almeno cinque volte al mese. Tra i forti bevitori sono i maschi ad essere in maggioranza con un rapporto di 2:1.

Le bevande alcoliche contengono alcool etilico il che comporta danni al nostro organismo per una pura questione chimica. L’alcool etilico viene rapidamente assorbito dallo stomaco e dall’intestino per essere successivamente immesso nel flusso sanguigno. Appena entrato in circolo, l’alcool etilico comincia subito a fare effetto arrivando al sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale) dove comincia a rallentare l’attività di un gruppo importante di neuroni; l’alcool infatti si lega ad un gruppo importante di neuroni che normalmente ricevono il neurotrasmettitore GABA.

Accade che quando l’alcool si lega ai recettori presenti su tali neuroni, potenzia l’attività del GABA nella disattivazione dei neuroni, favorendo il rilassamento di chi ha bevuto. Inizialmente l’alcool etilico deprime le aree cerebrali che controllano la capacità di giudizio e l’inibizione (ecco perchè il bevitore sembra rilassato e amichevole). Successivamente man mano che l’alcool assorbito aumenta, anche altre aree del sistema nervoso centrale vengono rallentate (colui che ha bevuto avrà meno capacità di giudizio; ci sarà un eloquio meno fluido e la memoria comincerà ad avere dei buchi).

Le emozioni diventano amplificate e ingestibili (scoppi d’ira o crisi di pianto).

Se l’alcool ingerito aumenta ancora subentrano difficoltà motorie molto forti e tempi di reazione molto lunghi; la visione diminuisce (specie quella laterale).

Strizzando l’occhio a ricerche americane emerge che il 14% circa degli alunni della scuola elementare, usa alcool almeno ogni tanto (il fenomeno è in crescita anche in Italia dove il 66,8% dei bambini di 11 anni, ha bevuto almeno una bevanda alcolica nel corso dell’anno corrente).

Bere può aprire le porte ad una vera e propria dipendenza (come nel caso di D). L’organismo può sviluppare una tolleranza così alta da aver bisogno di aumentare sempre più la dose di alcool e se si smette di bere, cominciano i veri e propri sintomi dell’astinenza.

Vi saranno tremori (mani, lingua e palpebre); il soggetto sarà debole e avrà la nausea. Altri sintomi comprendono sudorazione, vomito, battito cardiaco in aumento e pressione sanguigna elevata. Possono subentrare ansia e depressione.

Una piccola percentuale sviluppa il DT (delirium tremens) ovvero episodi di allucinazioni visive che iniziano entro tre giorni dal momento in cui non si consuma più alcool; chi soffre di DT o altri sintomi di astinenza può perdere coscienza o essere colpito da emorragia cerebrale.

Altri danni fisici comportano lo sviluppo della Sindrome di Korsakoff ovvero una condizione di estrema confusione, perdita di memoria e altri sintomi neurologici; le persone non riescono a ricordare il passato o ad apprendere nuove informazioni, spesso i vuoti di memoria sono riempiti con la confabulazione e/o l’invenzione di eventi mai accaduti.

Alla fine del colloquio D., condivide con noi un pezzo che lo ha molto segnato; un brano in cui rivede un pò della sua storia. Il cantante , infatti, -Eminem- ha lottato contro le dipendenze che lo hanno tenuto lontano dalla scena. Nel 2010 ritorna nel mondo della musica con “Not Afraid”, il brano che D., ha condiviso con noi.

L’emozione per me è stata forte; Eminem mi ha fatto molta compagnia durante l’adolescenza, quando hai bisogno di trovare fuori le parole che sai dire solo dentro.

Not Afraid è il mantra di D., che abbiamo salutato con il solito “pugno” che da qualche mese, ormai siamo soliti dare; il pugno appena accennato che sostituisce la vecchia stretta di mano.

Il pugno per me è un simbolo del seme; quel seme che tutti quelli che varcano la nostra porta depositano con ed in noi; quel seme che ogni giorno andrà innaffiato, protetto e concimato. Quel seme le cui radici attecchite in un terreno argilloso, compatto, genereranno domani una pianta che all’occorrenza andrà travasata e potata..

E quanto saranno belli i suoi fiori…

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.