Secondo l’Agenzia Italiana del Farmaco, 3 milioni di persone soffrono di depressione e nel corso del 2020 circa il 6,5% degli italiani ha affidato il proprio benessere psicologico ai farmaci: gli antidepressivi. Si è inoltre registrato un aumento del 6,6% di farmaci ipnotici e ansiolitici (benzodiazepine) successivamente alla depressione da Covid-19.
Dal 1992 il 10 Ottobre è la giornata dedicata alla sensibilizzazione della salute mentale.
Dati alla mano (dati Ipsos) il 58% delle donne italiane ammette di dedicarsi al proprio benessere psicologico mentre gli uomini sono il 48%; il 61% dei giovani sotto i 35 anni sostiene di aver almeno una volta pensato di dover fare qualcosa per la propria salute mentale mentre tra gli over 59 la percentuale è del 42%.
I pregiudizi legati a certe figure professionali e gli stereotipi legati alla salute mentale, vanno abbattuti.
Non parlare di qualcosa può essere un atto volontario o dovuto ad altre cause mediche psicologiche.
La – tua- salute mentale è importante perché tu sei importante.
Fatti ascoltare per ascoltarti.
“Le nostre indagini psicoanalitiche degli individui ci hanno convinto che la linea di demarcazione tra salute e malattia mentale non può essere tracciata così nettamente come si pensava in passato. Specialmente per quanto riguarda le nevrosi, nuclei nevrotici si trovano nella psiche degli individui normali tanto regolarmente quanto fanno parte della struttura di ogni nevrotico aree ampie di funzionamento normale. Inoltre, gli individui nel corso della vita valicano più volte, in un senso e nell’altro, il confine tra salute e malattia mentale” Anna Freud, L’adolescenza come disturbo evolutivo, 1966.
“Tutto diventa così problematico a causa di un difetto di base: essere insoddisfatta di me stessa.”
Anna Freud
L’autostima è un processo di auto-percezione che porta la persona a valutare se stessa tramite l’approvazione del proprio valore personale. Avere stima di se significa sentirsi apprezzato dagli altri e da se stessi. L’autostima si alimenta e muta continuamente ed è una sensazione prettamente soggettiva, anche se può esser condizionata dagli altri.
L’insoddisfazione verso se stessi, (come descritto nella citazione di Anna Freud) può in tal senso intaccare la propria autostima e quindi essere alla base di diversi problemi.
Desidero condividere con voi un nuovo approfondimento sulla tecnica del gioco. Come avremo a breve modo di vedere, il gioco è stato – da un certo momento in poi della storia della psicanalisi- una tecnica centrale utilizzata in particolare con l’analisi dei bambini.
…Un freddo giorno di Novembre (di anni da allora ne son passati), in un’aula universitaria si apprestava ad entrare una donna piuttosto bassa, dai capelli molto corti e dal tono di voce cordiale e pacato. Si trattava della mia professoressa di psicologia dinamica, una professionista dalla capacità narrativa incantevole e ipnotica, che seppe da subito conquistarmi con la sua capacità di rendere vive e vere le storie dei pazienti di cui ci faceva dono (a tal proposito devo dire che è stata una delle poche a parlarci davvero dei pazienti; molti clinici tendono ad avere poca apertura e capacità di condivisione). Fu lì, con lei e in quell’aula al primo piano, che mi innamorai di Melanie Klein…
Buona lettura.
Melanie Klein contro tutti.
Freud aveva già in precedenza provato a parlare di psicanalisi infantile, sostenendo ad esempio che la nevrosi dell’adulto trovasse radici in una nevrosi infantile presente all’epoca del complesso d’Edipo. Nonostante ciò, non esistevano studi sistematici sulla nevrosi infantile (salvo per il caso del piccolo Hans) pertanto le riserve in merito al parlare di psicoanalisi infantile erano ancora piuttosto forti.
L’intuizione della Klein fu l’aver messo in luce che il modo che i bambini hanno per esprimersi, è il gioco. Per i bambini – infatti- il gioco è sia un lavoro che consente loro di esplorare e padroneggiare l’angoscia attraverso l’espressione e l’elaborazione della fantasia, ma anche mezzo per drammatizzare le proprie fantasie, elaborare e rielaborare i conflitti. Il gioco libero (insieme a qualsiasi comunicazione verbale) può fungere da corrispettivo delle libere associazioni (utilizzate con gli adulti, in terapia). Per comprendere il gioco, bisogna utilizzare il metodo elaborato da Freud per svelare i sogni (si tratta di comprendere il simbolismo sotteso e tutti i mezzi di rappresentazione e meccanismi utilizzati).
A tal proposito, un sintomo rilevante è l’inibizione del gioco (incapacità assoluta di giocare o ripetitività rigida priva di immaginazione) che comporta una inibizione della vita fantastica e dello sviluppo in generale. L’inibizione può risolversi se l’angoscia alla base, si attenua per effetto dell’interpretazione.
I principi di una tecninca.
Nel 1923 la Klein delinea i principi dell’analisi e della tecnica. Le sedute devono durare 50 minuti per 5 volte a settimana. I mobili della stanza sono lisci e semplici; un tavolino con una sedia per il bambino, una poltrona per l’analista e un piccolo divano; pareti e pavimento lavabili. Ogni bambino aveva una scatola di giocattoli per sè, da usare solo durante il trattamento. I giocattoli comprendevano casette, figure umane maschili e femminili, animali domestici e selvatici, palle, forbici, nastro adesivo e corda. Nella stanza d’analisi doveva inoltre essere presente un lavabo in quanto in certe fasi dell’analisi, l’acqua ha un ruolo significativo. Un punto fondamentale concerne il fatto che essendo il gioco libero, i giocattoli non devono avere un chiaro significato: non devono cioè suggerire già un gioco o come essere usati, ma devono avere la capacità di poter essere usati in qualsivoglia maniera. I giocattoli non devono ad esempio dare indicazione di un ruolo specifico come una divisa che indica una certa professione (a tal proposito vorrei aggiungere che le preoccupazioni di molti genitori sulla scelta di un certo tipo di giocattolo “mio figlio gioca con le barbie”, lasciano il tempo che trovano. I giocattoli maschili o femminili, si potrebbe quasi dire, non esistono. Esiste la proiezione di un sentimento, di un ruolo, di una storia, del proprio mondo interno che può in quel dato momento, riportare una “cosa terza”, legata ad esempio a qualcosa che la mamma di un bambino ha fatto). I giocattoli inoltre devono essere molto piccoli in quanto sembra che così facendo si prestino maggiormente alla rappresentazione del proprio mondo interno.
La storia di Melanie Klein è molto articolata, sia in termini biografici che in termini professionali. Si tratta di un’autrice che difficilmente ha avuto il favore della platea (anche tra gli studenti universitari) in quanto – come la mia professoressa diceva- la Klein è “terrificante”.
Negli anni la psicanalista ebbe dei punti di divergenza sia con Freud che con sua figlia, Anna Freud.
Anna F. sosteneva ad esempio che nel bambino non si producesse la traslazione in quanto i bambini erano ancora troppo dipendenti dai genitori. Per la Klein invece i bambini erano capaci di instaurare una traslazione proprio per la loro – ancora – forte dipendenza dall’adulto e per la sofferenza provata in seguito ad angosce.
Sono stata molto felice di potervi presentare seppur in maniera breve, il lavoro della Klein. Come sempre se ci sono curiosità, domande o la semplice voglia di “esserci”, vi attendo con molto piacere.