
“Mi chiamo M., sono venuto qui perchè ho 34 anni, vivo con mia madre e sono in un periodo particolare. La mia storia inizia e finisce con mamma. Dovevo sposarmi ma lei, che non è mai stata d’accordo con questo matrimonio, ha finito per avere ragione.. Ho assecondato le sue idee su I. perchè “il sangue non è acqua” e se mamma ha una certa opinione sicuramente ha ragione. Sono un ragioniere anche se ho una laurea ma ho deciso di non progredire e fare scatti di carriera perchè non voglio la responsabilità di altre persone.. Ho solo due amici e se capita che non possano uscire per qualche motivo io non esco; mia madre mi dice sempre cosa fare, pulisce, cucina, “mi tiene pronto e pulito”.. Mamma è ovunque però ha più esperienza e sa bene come vanno le cose in questo mondo..
(i sentimenti di ambivalenza provati da M verso sua madre saranno via via sempre più evidenti e crescenti nel corso dei vari colloqui)
M racconta che da bambino provava ansia e disagio ogni volta che si trovava fuori dalla propria casa. A scuola era uno strazio e un tormento; provava agitazione, sudava e tremava non appena varcava la porta del proprio appartamento. Veniva poi preso in giro dai coetanei perchè lo indicavano come un “bamboccio sempre attaccato alla gonna della madre”.
Le persone con disturbo dipendente di personalità hanno un bisogno persistente ed eccessivo di essere accudite (APA,2000). Si tratta di persone sottomesse e obbedienti che temono la separazione (sia essa da un genitore, dal partner o da un amico di fiducia). Si appoggiano così tanto agli altri da essere completamente incapaci di prendere qualsiasi decisione (anche la più banale).
Nel disturbo dipendente di personalità si hanno problemi con la separazione in quanto anche solo il pensiero di poter essere lasciati e di dover vivere la separazione, fa sentire svuotati, disperati, sul punto di crollare e/o impazzire. Accade spesso che pur di restare attaccati a qualcuno, queste persone accettino di vivere relazioni maltrattanti (partner che maltrattano fisicamente o psicologicamente).
Mostrando carenza di fiducia nelle proprie capacità, queste persone esprimono raramente la propria opinione aderendo completamente all’idea altrui. Si tratta di soggetti ipersensibili alle critiche, che si sentono sole e a disagio facilmente; si tratta di persone dubbiose, pessimiste e altamente negative. Sono a rischio per depressione, ansia e disturbi dell’alimentazione.
La costante paura della separazione, espone queste persone a rischi suicidari specie quando cominciano a comprendere che la relazione sta per finire.
Statistiche alla mano il disturbo è diffuso in circa il 2% della popolazione con distribuzione in entrambi i sessi.
Il funzionamento psicologico per coloro che presentano il disturbo dipendente di personalità è connotato da sentimenti di inadeguatezza. Studi condotti hanno evidenziato una possibile eziologia del disturbo in uno stile genitoriale iperprotettivo e/o autoritario
Quando nelle successive sedute la madre di M., si è presentata a colloquio, è apparsa come la tipica mamma matrona. Fisicamente abbondante e autoritaria nei modi, dalla scarsa emotività e per niente propensa ad ascoltare le ragioni del figlio.
Coloro che hanno questo disturbo mettono in atto comportamenti atti a compiacere gli altri al fine di instaurare una dinamica in cui l’altro si prende cura del soggetto in questione che resta sottomesso.
Alcuni possono reagire in maniera aggressiva al loro sentirsi legati agli altri e alla relativa impossibilità di separarsi (modalità passivo-aggressive).
In terapia le persone con disturbo dipendente di personalità tendono a trasferire sulla figura del terapeuta tutta la responsabilità del loro miglioramento. La terapia ha pertanto tra gli obiettivi principali quello di fare sì che i pazienti si assumano la responsabilità di sé stessi.
La terapia psicodinamica è simile, in questo caso, alla terapia per la depressione e si focalizza sul tema della perdita (reale o immaginaria).
La terapia cognitivo comportamentale riunisce interventi sia comportamentali che cognitivi per aiutare i pazienti ad acquisire un maggior controllo sulla propria vita (in termini comportamentali ad esempio, si prevede un addestramento all’assertività in modo che gli individui possano esprimere meglio i propri desideri all’interno di una coppia; dal punto di vista cognitivo si insegna al paziente a mettere in discussione l’idea di inadeguatezza e incapacità).
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.