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Teoria moderna – apprendimento sociale (II).

Il viaggio di oggi prosegue alla scoperta dell’apprendimento sociale. Andremo più nel dettaglio analizzando le posizioni di Bandura e Freud circa il modellamento e l’osservazione di “dati” comportamenti.
E’ necessario solo osservare un comportamento affinché si manifesti, o c’è qualcosa in più?
Buon ascolto e buon viaggio

Dott.ssa Giusy Di Maio

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Pillole di Psicologia: L’apprendimento

L’apprendimento è un processo psichico che consente la modificazione di un comportamento a seguito di una esperienza ripetuta. In seguito ad una esperienza si ha quindi un cambiamento durevole del comportamento.

 L’apprendimento è abbastanza legato al concetto di adattamento che è la capacità fondamentale di un individuo nel riuscire a modificare il proprio comportamento in base all’ambiente in cui esso vive, ciò è essenziale anche alla sopravvivenza.

L’apprendimento non riguarda solo l’acquisizione di nuove competenze, ma anche di atteggiamenti, valori , abitudini.  L’approccio comportamentista sostiene che l’apprendimento avvenga con l’associazione tra eventi o stimoli e le risposte dei soggetti.

Le teorie cognitiviste, di contro, sostengono che l’apprendimento avvenga attraverso un processo di elaborazione intelligente degli stimoli presenti nell’ambiente.

In particolare per i comportamentisti ciò che viene appreso è una copia di ciò di cui si è fatto esperienza per i cognitivi, invece il soggetto utilizza diverse funzioni cognitive per elaborare stimoli nuovi.

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Skinner attraverso i suoi studi (skinner box), teorizzò il condizionamento operante: l’acquisizione di un comportamento e quindi un apprendimento avviene a condizione che la risposta operante sia seguita da un rinforzo, ciò determina la probabilità che quel determinato comportamento sia ripetuto.

Thorndike considerò, invece, l’apprendimento come un processo per tentativi ed errori. Questa osservazione portò alla formulazione della legge dell’effetto, secondo la quale un comportamento è più probabile che venga ripetuto se produce effetti soddisfacenti, al contrario, se gli effetti sono ritenuti insoddisfacenti il comportamento non verrà ripetuto.

Tolman propose un concetto diverso e meno riduzionista, sostenendo la presenza di mappe cognitive capaci di far scegliere attraverso il principio del minimo sforzo sempre la strada più breve e semplice. Per raggiungere uno scopo anche senza la presenza di incentivi vi era quindi un apprendimento latente.

Per approfondire vi invito a leggere anche:

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

L’educazione del pensiero.

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Una volta un ragazzo – Marco- disse che a scuola si annoiava

“Non riesco a pensare, mi scoccio. I prof sono noiosi, la classe è noiosa, la scuola è noiosa, buia e vecchia. Là dentro io non riesco a pensare perchè tutto mi impedisce di concentrarmi e non mi sento a mio agio”.

Parlando con Marco, ciò che più di tutto lo infastidiva era il fatto che i professori continuassero a dire ai genitori “Vostro figlio non sa pensare”, mentre lui sosteneva di esserne capace “Mica so scemo Dottorè!, ma non ci riesco” continuava a dire. Le lacune di Marco sembravano insormontabili e tutto il corpo docenti continuava a dire che il ragazzo aveva enormi difficoltà di apprendimento.

La domanda diviene quindi si apprende per pensare o è il pensare che fa apprendere?

John Dewey sostenne che l’unica via diretta per un miglioramento permanente dei metodi dell’istruzione e dell’insegnamento, fosse concentrarsi sulle condizioni che esigono, promuovono e mettono alla prova il pensiero.

La capacità di apprendere (capacità geneticamente determinata in quanto funzione adattiva che consente all’uomo di entrare in relazione e gestire le proprie relazioni con l’ambiente), è la condizione primaria di ogni processo di formazione. Quando infatti il soggetto si confronta con nuovi dati offerti all’esperienza, dati che vengono messi in rapporto con le proprie – e già esistenti- configurazioni cognitive e psicologiche, è sollecitato a mettere in atto un complesso processo di adattamento, attraverso cui giunge a modificare le proprie strutture di conoscenza, i comportamenti e le modalità affettivo- relazionali: in tal modo apprende e costruisce nuove strutture di conoscenza.

Ogni apprendimento si costruisce sulla base di strutture cognitive e strumenti cognitivi che sono costantemente messi in gioco, testati, modificati , ridefiniti e nuovamente appresi nel corso delle varie esperienze in cui il soggetto è calato.

Il soggetto è pertanto portato a “apprendere ad apprendere” facendo leva sulle risorse intellettuali e strumenti cognitivi di crescente complessità.

L’apprendere ad apprendere e apprendere a conoscere sono riconosciuti come pilastro dell’educazione (International Commission on Education for the Twenty First Century, UNESCO, 1999) che si costituisce attraverso il consolidamento costante (e il potenziamento) delle capacità di concentrazione, memoria, pensiero.

Si tratta di imparare a pensare per imparare ad apprendere.

Colui che apprende si trova implicato in una molteplicità di configurazioni esperienziali che ha necessità di interpretare e decodificare, con lo scopo di ricavarne elementi che gli consentano di adattarsi a esse. In questo senso il pensiero è da intendersi come una complessa funzione esplorativa, interpretativa e organizzativa delle esperienze umane.

Da un insieme stocastico di sollecitazioni o risposte immediate e confuse informazioni, emerge una struttura di supporto che rappresenta la condizione di possibilità che avvenga l’apprendimento e la conoscenza.

Per pensare serve tuttavia qualche condizione essenziale. Ciò che Marco lamentava “il blocco dei pensieri”; blocco che non è stato accolto e contenuto dai professori che “non hanno tempo perchè l’anno scolastico è breve e i programmi devono essere portati a termine”, è il blocco di tutto un sistema che gli gravita intorno.

Quando Marco dice che la scuola è buia e noiosa e che i professori sono bui e noiosi “sempre arrabbiati e di corsa.. Pare pure che la loro stessa materia non gli interessi”, ci sta palesando il malessere di tutto un sistema che non si prende più cura di sè.

Analogamente a quanto avviene nel sistema familiare dove non è un solo membro (quello che porta il sintomo, il disagio) ad ammalarsi, ma è malato tutto il sistema familiare, anche nella scuola quando un ragazzo “non pensa, è svogliato, distratto”, le colpe non sempre sono sue o di chissà quale disagio interno.

Servirebbe talvolta avere un tono meno accusatorio e attuare un decentramento cognitivo (osservare i nostri pensieri e emozioni come degli eventi più che come verità, guardando alla nostra esperienza interna senza giudicare) che ci renda parte attiva anche del disagio altrui, facendoci chiedere se realmente il problema sia solo dell’altro oppure no.

(Marco ha successivamente trovato grande giovamento da un tutor esterno alla scuola che, rendendolo parte integrante e attiva dell’apprendimento – invece che parte passiva- ha risvegliato i pensieri del ragazzo).

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Concetti in Pillole: Apprendere ad Apprendere.

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Con il termine apprendimento ci si riferisce al cambiamento relativamente stabile del comportamento di un soggetto rispetto a una specifica situazione sperimentata ripetutamente.

Ne deriva che per ottenere l’apprendimento, c’è bisogno della ripetizione dell’esperienza. A tal proposito possiamo seguire :

Le teorie Associazioniste (Teorie stimolo- risposta) o le Teorie Cognitive Classiche.

Teorie Associazioniste: Si tratta di teorie di derivazione empirista che confluiscono nell’approccio comportamentista. Il soggetto si limita a registrare passivamente gli stimoli che riceve dall’ambiente. Ciò che impara è pertanto una copia di ciò di cui si è fatta esperienza. L’apprendimento è quindi abitudine, capacità a fare qualcosa.

Teorie Cognitive classiche: un esempio è la Gestalt; tali teorie fondano l’apprendimento su un processo di elaborazione intelligente degli stimoli presenti nell’ambiente. Il soggetto agisce sull’ambiente attivamente utilizzando diverse funzioni cognitive per elaborare stimoli nuovi. Ciò che resta nel repertorio comportamentale di un individuo non è riproduzione del percepito, ma avviene tramite un processo di elaborazione. L’unico oggetto di studio scientificamente misurabile è il comportamento manifesto esibito in seguito all’esposizione ripetuta e controllata a stimoli ambientali.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

L’importanza del sonnellino.

Dormire dolce dormire.. sin dai primi giorni della nostra vita trascorriamo gran parte del nostro tempo dormendo. Il nostro cervello però non è mai a riposo, è sempre attivo anche nei neonati, anzi soprattutto nei neonati.

Il sonno sembra infatti svolgere un ruolo cruciale per il consolidamento dei ricordi e della memoria nelle prime fasi di sviluppo. Una ricerca pubblicata qualche tempo fa su “Proceedings of the National Academy of Science” ha dimostrato che un semplice sonnellino di mezz’ora può aiutare i bambini con meno di un anno di età (dai 6 ai 12 mesi) a migliorare la loro memoria. Lo studio ha evidenziato che proprio la possibilità di dormire nelle quattro ore successive ad un apprendimento (nello studio è stato mostrato un gioco con la manipolazione di peluche) migliora la capacità del bambino di ricordare quelle azioni che ha potuto osservare. Infatti nel gruppo di controllo, nei bambini che non avevano dormito dopo l’osservazione del gioco, questi non erano riusciti a ricordare le azioni viste precedentemente. Presumibilmente non erano riusciti ad assimilare il ricordo e quindi l’apprendimento di quelle azioni.

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Gli effetti positivi del sonno sono decisamente importanti nei neonati come per gli adulti del resto. Ma nei bambini è davvero cruciale il ruolo del sonno perché permette addirittura il corretto e pieno sviluppo delle funzioni cognitive, necessarie alla crescita.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

L’imprinting

L’affettività ha un ruolo primario dello sviluppo del bambino ed è chiaramente una funzione adattiva (serve per la sopravvivenza). Il bambino ha bisogno di un lungo periodo di cure e di protezione e questa necessità può essere ricercata esclusivamente nelle relazioni che egli instaura con gli adulti più vicini (genitori, tutori, parenti).

La funzione genitoriale e la relazione di cura e il legame affettivo che si instaura tra genitori e bambino sono quindi un compito di assoluta importanza e pare essere geneticamente determinato. Bowlby teorizzò la teoria dell’attaccamento proprio in base a questi principi evoluzionistici di matrice Darwiniana e in base agli studi condotti da K. Lorenz sul comportamento di imprinting.

L’imprinting è un comportamento osservato da Lorenz sui pulcini appena usciti dall’uovo che può essere definito come una forma di apprendimento per impressione percettiva. I pulcini appena usciti dall’uovo sono portati a seguire per istinto il primo oggetto in movimento che vedono. In genere in natura, per le specie osservate da Lorenz, il primo “incontro” del pulcino è quasi certamente la madre.

Lorenz ha potuto inoltre osservare che questo comportamento istintuale aveva una breve finestra critica di due giorni entro la quale i pulcini seguivano il primo oggetto in movimento. Lorenz fu protagonista involontario di quest’evento, in quanto si trovò ad essere il primo oggetto in movimento visto da una nidiata di anatroccoli. In studi successivi fu poi specificato e chiarito che il periodo critico per l’imprinting poteva variare in base alle condizioni ambientali e alla specie.

Lorenz chiamò questo comportamento “apprendimento precoce in fase sensibile“. La caratteristica interessante, che lo differenzia dagli altri tipi di apprendimento è che non ha bisogno di ricompensa e non muta per tutta la vita.

L’importanza dell’imprinting può essere generalizzabile a tutte le specie e quindi anche all’uomo, come è stato poi dimostrato in numerosi studi a partire da Bowlby, in quanto la relazione d’attaccamento al riferimento adulto ha principi innati e geneticamente determinati che possono ovviamente modificarsi e caratterizzarsi in base all’ambiente e alle situazioni più o meno critiche dello sviluppo.

In questo breve e divertente video di Tom e Jerry è spiegato molto bene il fenomeno dell’Imprinting. Buona Visione!

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

La memoria autobiografica

La memoria non è solo ciò che ricordiamo del passato ma è anche quell’insieme dei processi in base ai quali gli eventi del passato, influenzano le risposte future attraverso quei meccanismi di apprendimento che consentono alla nostra mente di essere in continuo sviluppo per l’intera durata della nostra vita, anche con la continua ricostruzione autobiografica..

La memoria, quindi, è fondamentale per la ricostruzione autobiografica. Il passato lascia tracce indelebili, che sarà poi il presente a ricordare. L’oggetto del ricordo investe ed incorpora significati importanti per la persona a cui esso si riferisce. Ogni ricordo ha un tono affettivo, certamente non paragonabile agli altri.

Salvador Dalì – I cassetti della memoria

Il lavoro autobiografico, si prefigge di mettere ordine ai ricordi dividendo quest’ultimi in tre momenti: l’inizio, lo sviluppo e la conclusione.

L’apprendimento della memoria autobiografica è incidentale, ciò che si ricorda è frutto del lavoro casuale di una serie di fattori, che impongono infine la sopravvivenza di un determinato ricordo. Noi riscriviamo in continuazione le storie di vita personali, caricandole ogni volta di una sfaccettatura emotiva differente, che corrisponderà, necessariamente, al nostro giudizio personale successivo.

La funzione primaria del ricordo autobiografico sta nella definizione del sé e degli altri. La memoria ci insegna la vita prestandoci il suo apprendimento; memoria e oblio sono facce della stessa medaglia, aspetti opposti, che conferiscono senso alla vita. Il ricordo, che sia di un individuo o di un gruppo è la fonte delle origini, delle trasformazioni e delle differenze rispetto al passato; è inoltre indicatore dell’unicità e dell’irripetibilità dell’individuo. L’oblio vela il ricordo dell’infanzia e di un passato da non ricordare; dimenticare per poter sostituire un ricordo vecchio, con un apprendimento nuovo, che corregga errori e che si sostituisca a vecchi schemi. La memoria è essenziale all’apprendimento; è il meccanismo attraverso il quale le esperienze vengono incorporate dall’organismo così da potersi tradurre in modifiche adattive del comportamento.

“L’oblio è un antidoto necessario contro gli eccessi della memoria”

Jorge Luis Borges

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi