I disturbi del comportamento alimentare (DCA) indicano quella specifica classe di disturbi che comporta una eccessiva preoccupazione per il proprio peso corporeo, per le sue forme, e sono caratterizzati da una alterata relazione con il cibo. Con l’approfondimento di oggi, voglio condividere con voi una riflessione che muoverà intorno a tali disturbi. Presenterò la classe dei disturbi così come presentati nel DSM 5 (Manuale Diagnostico e Statistico Dei Disturbi Mentali); proveremo a riflettere sulle possibili ipotesi eziologiche e sul ruolo simbolico assunto dal cibo stesso. Perché alcune persone sovvertono il legame con un qualcosa che di per sé, ha valenza funzionale, trasformandola -invece- in qualcosa di disfunzionale?
I disturbi del comportamento alimentare sono molto di più del semplice “voglio essere come lei!”.
Nella mia lingua madre – mangiarsi una emozione- viene detto a coloro che tendono ad essere sempre cupi, ombrosi e mai sereni; si tratta di quelle persone che quasi per partito preso “non si mangiano l’emozione”, mostrandosi perennemente impensieriti da qualcosa.
Sono quelle persone incapaci di vivere l’emozione, di goderla; persone che non riescono a sorridere quasi come dovessero scontare chissà quale pena per avere ceduto, mangiando l’emozione stessa.
Recentemente riflettevo sulla potenza del detto.
Durante gli studi universitari, un Professore (analista) che si occupa di disturbi alimentari, ne sosteneva la genesi nel “sessuale femminile”; il mio collega (analisi che condivido ampiamente) parla (basandosi su una larga casistica da lui trattata), di psicopatologia della relazione; per me è – anche- la psicopatologia del piccolo.
Cos’è questa emozione da mangiare?
In effetti la prima rinuncia che le persone affette da disturbo alimentare (nello specifico anoressia nervosa o Disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo), compiono, è partecipare a pranzi, cene o situazioni di condivisione “dell’emozione cibo”.
Quando alcune pazienti hanno deciso di uscire andando a cena fuori, pur non condividendo il cibo, non hanno tratto piacere – emozione- dall’uscita stessa; l’ossessione del controllo sul cibo ha finito per controllare loro stesse portandole ad estraniarsi dal contesto emotivo/relazionale.
Altre pazienti, invece, decidono direttamente di evitare le occasioni di condivisione del cibo.
L’emozione è completamente negata, esclusa, rigettata.
La paura che l’emozione stessa possa prendere il sopravvento fagocitando fino a portare all’abbuffata (sconfinando negli altri disturbi alimentari: bulimia nervosa, disturbo da alimentazione incontrollata, Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con specificazione, Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione, come da criteri DSM V), è troppo forte.
Meglio chiudere tutto, tappare l’emozione.
Io non mangio.
La genesi dei disturbi alimentari può essere multisfaccettata (il mio parere personale mi spinge a non rinchiudermi nelle spiegazioni univoche del se/allora); credo che nei vari strati delle sfaccettature si possano depositare sottili lamelle di dolore più o meno vario, diverso e sentito a modo proprio.
Non dimenticate di mangiare stasera: Magnate n’emozione!
M. entra nello studio in maniera veloce e senza guardarsi intorno, dopo aver preso appuntamento una settimana prima in seguito alla sua telefonata veloce, confusa ma diretta.
M. ha i capelli ricci neri come la fuliggine (in seguito la fuliggine ritornerà nel nostro colloquio in quanto avrò la sensazione di sentirmi come un residuo della combustione, in seguito alla fiamma che saranno le parole di M.)
M. ha un cappottone nero che le copre ogni centimetro del corpo, non ho percezione dei suoi confini; sembra una ragazza senza limiti. Il viso è apatico, grigiastro con delle improvvise venature rosse che mi fanno percepire della vita in lei.
Strofinando le mani e in una sequenza senza sosta, M. dice
“Domani saranno 10 anni che mangio di tutto. Mangio, mangio mangio poi vomito oppure butto nel corpo qualsiasi cosa mi aiuti a buttare di nuovo fuori, tutto. Vorrei sparire, non so che fare.. voglio un altro corpo.. cioè.. Io mangio ma non mi interessa niente del cibo.. Una cosa vale l’altra.. cruda, cotta.. ancora congelata.. basta che mi riempia. Devo sentire che sono così piena da non poter respirare più. Non voglio sentire nessuna parte vuota del mio corpo. Devo essere piena”.
Per bulimia nervosa (chiamata anche sindrome binge-purge- con crisi bulimiche/condotte di eliminazione), si intende un disturbo caratterizzato da assunzione di grosse quantità di cibo; quantità di gran lunga superiori a quelle che normalmente vengono assunte da qualsiasi individuo in un certo lasso di tempo. Questa assunzione è fatta durante le abbuffate (binge); l’abbuffata è fatta in un periodo molto limitato di tempo (spesso non più di un’ora) momento in cui il soggetto assume una quantità di cibo spropositatamente elevata.
In seguito a questa assunzione vengono messi in atto dei comportamenti compensatori inappropriati, volti ad eliminare il cibo e a “perdere le calorie assunte”: provocarsi il vomito, abusare di lassativi, digiuno, eccessiva attività fisica.
La bulimia è un disturbo maggiormente femminile (90- 95% dei casi); il disturbo esordisce nell’adolescenza o prima età adulta (di solito tra i 15 e i 21 anni) perdura per anni, con periodi di remissione.
Le persone bulimiche spesso hanno un peso normale ma non è inusuale che si arrivi ad un tale calo di peso, da ricevere una diagnosi di anoressia nervosa.
Si stima che le abbuffate possano essere circa da 1 a 30 episodi a settimana; l’assunzione di cibo avviene in uno stato onirosimile ovvero senza piacere, quasi come si stesse dormendo/sognando. Il cibo è assunto quasi senza masticare ( sono infatti preferiti alimenti morbidi, molto dolci e calorici). Il cibo non è assaporato nè osservato; il quantitativo calorico assunto durante le abbuffate varia da 1000 calorie a oltre le 3000.
Prima di abbuffarsi le persone sentono profonda tensione/agitazione; c’è irritabilità e ci si sente estraniati dalla realtà; non c’è controllo sul bisogno di mangiare che diviene l’unico pensiero fisso, unico obiettivo.
Quando M. parla mi sento come fossi il cibo che lei ingurgita senza piacere e senza desiderio. Mi sento usata – durante i suoi racconti-, ingoiata; sento di non aver sapore nè consistenza. Mi sento un corpo qualunque privo di funzione e spessore (analogamente al cibo che perde la sua funzione ad esempio, nutritiva).
Con il vomito in conseguenza dell’abbuffata, accade come uno squarcio della realtà, una rottura, un collasso del confine (analogamente a M., che raccolta nel suo cappotto, sembrava un corpo senza confini).
M. mi rimanda una immagine priva di colori, un mondo fatto di fuliggine (come i suoi capelli) .. una fuliggine che copre, macchia e segna.
A lei il coraggio, durante la terapia, di scrostare lentamente la fuliggine dai capelli poi lentamente dal corpo. Un corpo che è per sua stessa natura marchiato – venendo da esso- dal desiderio. Un corpo che riscoprirà piano piano.. Passo dopo passo.