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Ricordi Psy (tra un colloquio e un altro).

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Nei colloqui tenuti nel corso dell’anno che va da Settembre 2021 a Settembre 2022, ho avuto modo di constatare un dato, per certi versi interessante, per quanto concerne le relazioni d’amicizia portate avanti dai nostri giovani.

La maggior parte (se non la totalità, mi verrebbe da dire) dei ragazzi tra gli 8 e i 20 anni, lamenta una difficoltà/impossibilità nell’entrare in relazione con i propri coetanei al fine di instaurare una solida relazione di amicizia; amicizia che sia scevra da pregiudizi o doppi fini.

Le difficoltà che questi ragazzi evidenziano, sembrano essere legata innanzitutto al luogo fisico in cui incontrare i presunti amici; già prima della pandemia era quasi impossibile trovare dei luoghi di aggregazione (sembrano essere spariti i pomeriggi nelle piazze del paese; girovagare nel parco pubblico; mangiare una pizza o vedere un film a casa di amici; semplicemente girare quasi senza sosta camminando in centro solo per puro gusto di condivisione del momento).

Le scuole sembrano aver perso il potere-collante, essendo (nei racconti dei ragazzi) diventate quasi fabbriche il cui unico scopo è puntare all’obiettivo nel più breve tempo possibile (avere una media alta e terminare il programma entro le rigide scadenze). Tutto questo si riversa sul clima generale della classe spesso divisa poiché, non di rado, i ragazzi vengono messi l’uno contro l’altro creando una spietata (e inutile, direi) competizione.

Quando questi giovani riescono, finalmente, ad entrare in empatia con qualcuno, cominciano i problemi legati alle differenze. C’è in atto un processo interessante, nella nostra contemporaneità. L’umano si illude di essere finalmente libero e lontano dalle etichette: “sono fluido, il sesso è libero, siamo tutti uguali”, ma non si rende conto che così facendo, ha già chiuso -ancora prima di nascere- l’esperienza, in un’etichetta.

Per dire di essere liberi ci si dice sono “così, così e così…” chiudendo la prospettiva nel suo stesso generarsi.

Ho avuto la fortuna di fare un liceo in cui l’estrazione sociale era davvero varia. Non ho potuto fare gli studi classici (all’epoca la mia pluripremiata carriera pianistica era in corso) e decisi, sulla passione già presente per la psicologia (meno, all’epoca, quella per i bambini) di studiare al liceo socio psico pedagogico.

Per fortuna feci quella scelta; il liceo classico era pieno di figli di papà; quel posto mi sarebbe stato strettissimo.

Nella mia classe dalle iniziali 28, arrivammo ad essere 18 (tutte bocciate al primo anno).

Tra le 18 adolescenti, in corso d’opera terminammo con 2 ragazze madri, una sposata e alla maturità altre 2 incinte.

La varietà umana era incredibile (anche nelle altre classi), così -per mia fortuna- ho potuto incontrarmi e scontrarmi non solo con dei professori imbarazzanti ma, con persone diverse.

Monica era una ragazza bocciata pertanto più grande di me, di un anno.

Monica fumava più di una donna di 40 anni, infatti nonostante un corpo invidiabile il suo viso era già fin troppo segnato. Il trucco era sempre fin troppo presente sul viso di Monica così come (e questo era spesso motivo di richiamo da parte dei prof.) l’uso di tacchi a spillo per venire a scuola; l’uso di quelle scarpe le aveva, inoltre, già provocato deformazioni dei piedi.

Monica era una ragazzaccia; per niente propensa allo studio, aveva già una relazione lunghissima con un ragazzo non scolarizzato e piuttosto ignorante.

La cosa interessante di Monica è che il suo unico scopo era cazzeggiare e trovare qualcuno con cui litigare o fare filone a scuola, salvo poi -durante i tirocini- mettersi vicino ai bambini disabili mostrando una improvvisa e sconosciuta dolcezza.

Tra Monica e me c’era uno strano rapporto.

Sono sempre stata l’unica a fungere da collante tra le persone tanto che la mia professoressa di sociologia diceva “non ho mai visto una persona più diplomatica di te, Giusy!” e questa capacità (di cui io mica ero consapevole), faceva sì che parlassi senza problemi con chiunque in tutta la scuola.

Monica aveva il suo temperamento ed io il mio… (diplomatico sì, esplosivo nemmeno a dirlo).

Un giorno -non ricordo bene per quale motivo- Monica mi aggredì; fatto sta che nacque un litigio che è diventato storia…

Come il seguito del litigio stesso…

Una decina di minuti dopo il litigio, Monica venne a sedersi sulle mie gambe e giocando con i miei capelli mi disse che profumavo tantissimo (questa cosa mi ha sempre fatto sorridere; in classe mi chiamavano profumino e questa cosa, è rimasta anche nel tempo presente).

Qualche giorno dopo la classe partì per la gita di 5 giorni a cui io non andai (preferii farmi un viaggio a Vienna post maturità) e Monica, di ritorno disse “perché non sei venuta Giusy! tu sei pazzerella come me, sai come ci divertivamo!”

Dai racconti dei miei paziente, quello che è accaduto a me poteva diventare, oggi, o un atto di gravissimo bullismo o un atto in cui intrudevano i genitori creando qualcosa di ancora più violento.

Quasi sicuramente, invece che rinsaldare un’amicizia, oggi, dopo un litigio del genere si viene perseguitati fuori la scuola per essere picchiati ancora una volta.

Molti anni dopo stavo uscendo dall’Asl.

Nel corridoio scorgo una figura non troppo alta che porta un jeans strettissimo, dei tacchi altissimi e scomodissimi, un giubbino di pelle cortissimo e che ha una nuvola di fumo intorno a sé.

Nel mentre mi giro sento dire “Giusy! Io sentivo un profumo nel corridoio!”

Era Monica.

I saluti iniziali, i sorrisi, gli abbracci poi “sono venuta per la psicologa, sai ho 2 bambini sto andando al manicomio.. Quello … non è proprio un padre presente, eh sì.. ci siamo sposati subito dopo la maturità”

Monica… se ti serve la psicologa dobbiamo andare sopra!

Ah… ecco perché questa valigetta gialla! Io lo sapevo Giusy, secondo te perché ci sedevamo tutte addosso a te.

Perché tu curi.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

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Il Cyberbullismo – conseguenze psicologiche e fisiche

Con la nostra prossima tappa andremo a conoscere, con maggior chiarezza un fenomeno in continuo aumento tra le giovani generazioni e che inevitabilmente condiziona in negativo le loro vite.

Il bullismo diventa cyberbullismo) quando si passa dal piano del reale a quello del virtuale attraverso la diffusione illecita e perpetuata volutamente di messaggi, e-mail, foto, video offensivi (sulle diverse piattaforme social) creati ad hoc e di situazioni di violenze filmate da altri e non rispettosi della dignità altrui.
Buon Ascolto..

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“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Riflessioni Psy: Vittima di bullismo.

Per anni ho conosciuto i bulli..

La loro presenza – non richiesta- nella mia vita è stata costante, invadente talvolta invalidante.

Ho spesso meditato sull’importanza di parlare del bullismo ma quello che voglio fare adesso, non è fare una lezione sulla terminologia o sul motivo per cui una persona “decide” di diventare bullo.

Non faccio altro che sentire di quanto i bulli siano ragazzi con problemi ma a me, all’epoca, non avrebbe minimamente aiutato o giovato sapere che quella stessa persona che mi buttava a terra, strattonava o insultava pesantemente aveva dei problemi.

Il problema all’epoca era il mio.

Quando andavo a scuola, il termine non esisteva .. così come il problema in sé. C’era il ragazzino o la ragazzina problematica, i galletti di turno.. e tu da solo te la vedevi con loro.

Molti anni sono stati difficili; portare i capelli rossi con la mia altezza, il mio colorito di pelle chiaro e le lentiggini è stato un vero dramma.

Ho odiato il colore dei miei capelli in maniera viscerale; odio ancora le lentiggini; uso da poco indossare abiti con le gambe a vista perché -anche in tempi recenti- donne adulte, hanno preso in giro le mie gambe bianchissime.

Mi hanno chiamata nei modi peggiori a causa del colore dei capelli, mi hanno fermata per strada ponendomi le domande più imbarazzanti e assurde della mia vita..

Poi all’improvviso per alcuni i miei capelli erano poco rossi.. poi la pelle chiara era come quella delle bambole… Insomma non sapevo più se l’immagine che vedevo era quella giusta o meno.

Ma giusta, per chi???

La tua pelle sarà sempre o troppo chiara o troppo scura; gli occhi saranno sempre troppo rotondi o troppo allungati; tu sari sempre o troppo magra o troppo grassa..

(E no.. qui c’è poco da fare ironia, l’argomento è serio.)

Recentemente una madre ha prima ucciso la figlia, poi si è tolta la vita perché la propria bambina subiva bullismo, ovunque.

Lo studio è invaso di ragazzini e ragazzine vittima – più raramente incontriamo i carnefici- dei bulli.

Ho capito – con il tempo- che le persone si possono uccidere e/o ferire prima con le parole.. le stesse parole porteranno poi a dei fatti spesso dall’esito nefasto.

Cosa ho fatto..

Ho deciso nella mia vita che non avrei mai ucciso una persona con le parole ma che quelle stesse parole, quelle armi, le avrei usate per accogliere e contenere chi invece le aveva vissute sulla propria pelle come punta di coltello appena affilata.. quella punta che non buca ma resta fissa ferma immobile creando un livido sempre più scuro e dolente.

Non mi piace la violenza. Non mi piace la morte, specie quella psichica. Non mi piace la distruttività.

Col tempo ho capito che quei benedetti bulli potevo vincerli con l’intelligenza, lo studio e la passione.

Non sarò mai abbastanza.. forse…

Ma sarò sempre me stessa, e la cosa più difficile oggi è aversi, sapere chi sei e portare avanti il tuo personale progetto di costruzione del tuo sé.

Questo non vuol dire “sono così accettami a prescindere”.. questo atteggiamento cela, probabilmente, una non integrazione delle tue parti, lasciando spazio a uno scarico di responsabilità sul prossimo “non mi accetti, il problema è tuo”. Sembra quasi un atteggiamento da bullo.

Cosa ti devi, allora…

Innanzitutto -denuncia- perché oggi i bulli possono essere fermati anche legalmente poi datti il tempo di capire e metabolizzare insieme ad uno specialista.

Dopo che hai denunciato, hai chiesto aiuto e sei ripartito, regalati del tempo e dedicalo alla tua personale costruzione.

Non sarai mai perfetto; le lentiggini saranno sempre troppe.. la tua identità di genere non sarà mai accettata, da qualcuno; alcuni troveranno ripugnante il tuo peso “elevato” o “basso”.

Sarai sempre poco simpatico, troppo frivolo o “facile”.

Ho visto dei bulli ed è vero.. Hanno dei problemi, anche piuttosto profondi, ma quello che puoi fare è non chiuderti in casa o in te stesso a rimuginare per anni perché è così che i bulli vincono.

Puoi decidere di costruire e di edificare la versione che hai, di te stesso.

Le due foto qui sotto, per me, sono piene di difetti (no… non voglio sentirmi dire cose come – non è vero-) voglio più che altro dire una cosa..

Ognuno ha le sue insicurezze.. ognuno vede pregi e difetti che un’altra persona non vede. Ci sarà sempre un “ma”…

Fa che quel ma sia uno spazio di dilatazione al cui interno ci sei solo tu. Sii come la farina (quale tocca a te, saperlo), ingrediente centrale e principale in ogni ricetta, diventa maglia glutinica e solleva te stesso.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Rancore

Cos’ è il rancore? Il rancore è un sentimento spesso difficile da accettare, ma fa parte dell’esperienza e del vissuto di tutti. E sembrerà strano dirlo, ma può avere una funzione positiva perché ci aiuta a reagire nei momenti più dolorosi della nostra vita. Di questo però ne parlerò alla fine. Vediamo cosa si intende per rancore.

Il rancore è un sentimento complesso e nasce dal compendio di diverse emozioni semplici e complesse come rabbia, odio, risentimento, tristezza, astio e disprezzo. Ha qualcosa a che fare anche con emozioni e sentimenti più lontani, ma direttamente correlati come l’invidia (per qualcuno che, dal nostro punto di vista, ha avuto più di noi ingiustamente) e il rimorso ( per non aver reagito nella maniera giusta ad un offesa, ad esempio). Insomma il rancore è un sentimento, uno stato mentale duraturo e pervasivo. La differenza con la rabbia è da rintracciare nella durata (molto più lunga e permanente nel rancore) , nella reazione immediata (della rabbia) e intensa.

Lo stato mentale legato al rancore può restare latente e acuirsi improvvisamente, per poi tornare, presente ma costante. Difficilmente si estingue. La caratteristica pervasiva del rancore è proprio nel ri-sentire, rimuginare a lungo su eventi negativi (un torto subito) che inizialmente si legavano ad emozioni meno complesse, come tristezza o rabbia o odio, ad esempio.

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Il rancore è direttamente collegato ad un dolore più “intimo” che può nascere da una ferita provocata da una relazione che ha tradito le nostre aspettative e che ci ha deluso profondamente.

Spesso il rancore può avere “radici familiari”, dove ad esempio possono capitare squilibri più o meno gravi, legati a preferenze, mancanze affettive percepite, difetti di comunicazione. In questi casi i più piccoli possono avere la peggio e cominciare ad alimentare il proprio rancore. Spesso nei bambini l’impossibilità di esprimere la propria rabbia genera una sensazione di impotenza che si trasforma in pensiero ripetitivo e poi in desiderio di vendetta. Le conseguenze potrebbero poi alimentare comportamenti disfunzionali come il bullismo; il rancore è però anche il sentimento prevalente di molte vittime del bullismo. In entrambe i casi, se non si interviene per tempo, le conseguenze possono essere serie.

In alcuni casi più gravi, negli adulti, il rancore può arrivare a sconfinare nella patologia. Lo si può trovare come sentimento preponderante nel disturbo paranoide di personalità e del disturbo borderline (presente con deliri), ma anche in chi soffre di aggressività patologica.

Insomma il rancore ha meno possibilità di “risolversi” e attenuarsi se resta esclusivamente una esperienza personale e interiorizzata. Come si può quindi convertire in positivo l’esperienza rancorosa? In genere la comunicazione può indurre il superamento e la psicoterapia può decisamente portare ad un cambiamento in positivo, perché attraverso essa si può avviare un processo di reinterpretazione di quella realtà che aveva generato sentimenti di rancore. Una nuova consapevolezza può aiutarci a ripartire e a riprendere di nuovo la nostra vita in mano.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

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Cyberbullismo: sentirsi braccato nella “rete”.

Voglio riproporvi un articolo che tratta di un argomento molto attuale, in particolare in quest’ultimo anno, dove un aumento delle ore in rete, sui social, sui videogame ha di fatto aumentato il rischio di cyberbullismo tra i giovani e i meno giovani.
Buona lettura!!

ilpensierononlineare

Il cyberbullismo è la derivazione e l’evoluzione tecnologica del bullismo.

Quello del bullismo è un fenomeno tutt’ora diffuso e può essere definito come un’oppressione fisica e psicologica, continuata nel tempo, perpetuata da una persona percepita più forte, nei confronti di una percepita come più debole. Il bullismo riguarda in modo più ampio: ciò che subisce la vittima, il comportamento dell’aggressore/bullo e l’atteggiamento di chi assiste al fatto.

Il bullismo può essere diretto, indiretto, oppure, può evolversi e diventare “elettronico” (diventa quindi cyberbullismo) quando si passa dal piano del reale a quello del virtuale attraverso la diffusione illecita e perpetuata volutamente di messaggi, e-mail, foto, video offensivi (sulle diverse piattaforme social) creati ad hoc e di situazioni di violenze filmate da altri e non rispettosi della dignità altrui.

Spesso il cyberbullismo è legato a fenomeni di bullismo che avvengono nel reale ed è perpetrato con molta…

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Non Voglio Uscire.. Non Posso Uscire! Ritiro Sociale e Adolescenza.

Il Ritiro Sociale è una delle forme di disagio più diffuse nel mondo contemporaneo. In particolare riguarda giovani e giovanissimi. Un problema abbastanza serio che spesso si può confondere con il carattere inibito, solitario e timido delle persone che ne soffrono. In qualche modo questo “atteggiamento passivo” verso il mondo viene solitamente giustificato da familiari e conoscenti perché coerente con il modo di fare e relazionarsi che la persona ha sempre avuto. Spesso ci si rivolge ad un professionista per farsi aiutare, quando il comportamento ha già iniziato a cronicizzarsi.
Questo disagio è legato molto da vicino con quello che già da diversi anni riguarda il mondo orientale con il fenomeno degli “Hikikomori” (in giapponese il significato letterale è “stare in disparte”).
Si stima infatti che in Giappone, dove il fenomeno è più radicato, ci siano più di mezzo milione di casi. Ma a quanto pare il fenomeno è in forte sviluppo anche nei paesi occidentali. In Italia ad esempio sono stimati circa 100 mila casi (dati riportati dal sito dell’associazione Hikikomori Italia).

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Le cause del ritiro sociale nei ragazzi sono difficili da schematizzare. Si possono piuttosto riscontrare degli elementi ricorrenti che caratterizzano il vissuto del ragazzo che tende ad isolarsi. Un vissuto di bullismo a scuola, il peso asfissiante della realizzazione sociale, evitamento delle responsabilità che riguardano la crescita, difficoltà nelle relazioni emotive familiari, sostegno emotivo dei genitori carente, carattere introverso e sensibile.
Negli adolescenti il Ritiro Sociale può essere ad esempio un modo concreto, veloce e sicuro per “evitare” in modo definitivo il “giudizio degli altri”, in particolare dei coetanei. Il “come gli altri mi vedono e ciò che dicono di me” può infondere nel ragazzo un senso di inadeguatezza e inutilità pesante come un macigno e difficile da scansare.

“Molti adolescenti soffrono di paure relative alla sfera sociale, quali il timore di essere rifiutati, ignorati, disapprovati, di perdere il controllo delle proprie azioni, di essere criticati di mostrarsi o di parlare in pubblico” .

(Anna Oliverio Ferraris, “Psicologia della Paura”, 2013 )

 

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Per evitare il rischio di rimanere “schiacciati” il ragazzo rifugge all’oggetto fobico principale, gli altri ragazzi, e attua la forma di evitamento più sicura, restare nella sua stanza. Oggigiorno poi, i giovani hanno tutto il necessario nella propria stanza per poter viaggiare, scoprire e conoscere luoghi e persone (computer, tablet, smartphone…) e per avere da “osservatori privilegiati” un contatto con il mondo esterno attraverso la finestra del virtuale.
È utile però sottolineare che generalmente la dipendenza da internet e quella da videogiochi (in particolare online) è solo la conseguenza dell’isolamento sociale e non la causa. Ciò significa che le due problematiche possono coesistere, ma non sempre. Perché, può capitare, che chi cerca l’isolamento sociale nel reale lo vuole e lo ricerca anche nel virtuale. Inoltre, chi attua questo tipo di comportamento, in modo ridondante, affronta tutte le possibilità di socializzazione boicottando se stesso e facendo in modo di perpetuare la propria solitudine.

“Mi sono creato un piccolo mondo in questa piccola stanza.. un mondo mio…ho tutto quello che mi serve…Non posso aprire la porta perché se no mi viene in mente di uscire…ma io non voglio uscire”. (Tratto dal brano “Nun voglio Ascì” – Aldolà Chivalà)

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