Archivi tag: Calcio

L’uomo dietro il Supereroe

“Non me la sentivo più di essere un simbolo, di rappresentare qualcosa, di reggere tutto lo stress che procura questa macchina, questo calcio. Confesso la mia incapacità, la mia fragilità, anche se la mia presunzione, il mio orgoglio mi facevano apparire diverso.”

Diego Armando Maradona

Il supereroe è una persone eccezionale, dotata di poteri e capacità fantastiche e fuori dal comune. Utilizza le sue capacità per aiutare gli altri, in maniera disinteressata, spinto da una motivazione intrinseca di valore molto alta.

Il supereroe ha però quasi l’obbligo di offrire sempre prestazioni eccezionali. Chi guarda e spera nelle sue gesta “eroiche”, si aspetta sempre molto da lui.

Deve quindi essere sempre al top per aiutare gli altri e per essere da riferimento per tutti.

Ma a volte può capitare che anche Batman cade e credetemi “non succede nulla” (cit.).

Riconoscere, comprendere ed accettare le proprie difficoltà, i propri limiti, le proprie debolezze e fragilità, permette a se stessi di accedere ad una nuova consapevolezza su ciò che ci sta accadendo e rende decisamente più “forti” e pronti ad affrontare le difficoltà che arriveranno ancora.

Mostrarsi agli altri anche attraverso le proprie fragilità, ci rende decisamente più liberi e meno “appesantiti” dal fardello del giudizio altrui.

Anche un “Supereroe” deve potersi sentire libero di mostrarsi umano.

In una intervista di alcuni giorni fa su Relevo il calciatore Edison Cavani fa un bilancio della sua vita calcistica e personale e mette a nudo, senza alcun timore, le sue fragilità.

“La primera vez que fui a terapia fue tras la remontada del Barça al PSG”

E. Cavani
E. Cavani – Uruguay

Cavani rivela di essere in psicoterapia da diverso tempo, da quel giorno in cui, giocatore del Psg, subì con la sua squadra una “remuntada” incredibile. Il Psg perse 1 a 6 contro il Barcellona.

Alcuni possono pensare che sia solo calcio; cosa c’entra questo con la salute psicologica?

C’entra molto, anche perché attraverso la testimonianza di questi campioni può crescere l’attenzione verso la salute psichica.

Bisogna che ci sia una “normalizzazione” e una diversa attenzione al tema della sofferenza psicologica affinché si possa abbattere in maniera definitiva il pregiudizio e la disinformazione verso questo aspetto della salute individuale delle persone.

Gli atleti, sono esseri umani e come tutti hanno fragilità e soffrono pressioni esterne ed interne. Cavani lo descrive benissimo centrando e soffermandosi su alcuni temi molto interessanti. Alla domanda “Vai dallo psicologo?”, risponde così:

“Sono in terapia da molti anni. Siamo cresciuti in una generazione con genitori che ti dicono di non piangere, che non puoi rilassarti o esprimere le tue emozioni. Come se non potessi mostrare debolezza, quindi sei cresciuto con un guscio che ti fa pensare di essere più forte di tutti.

Ci sono persone molto capaci, ma alla fine finiscono per cadere.

Non sei un supereroe, quello che sa gestire tutto, aiutare la famiglia, segnare ogni domenica…

Ma a volte non ci ascoltiamo. Perché sta succedendo proprio a me? Per questo ci sono professionisti. La mia teoria è che tutti abbiamo bisogno di tutti, la vita è una ruota. Combattere per essere sempre il migliore è una bugia. Ci sarà sempre qualcuno sopra di te, che ha o sa più di te, è più carino di te, ecc.”

E. Cavani (dall’intervista su Relevo)

La relazione terapeutica è un fondamento essenziale nella psicoterapia e si basa sulla fiducia reciproca. Fiducia è anche riconoscere l’altro nei panni del ruolo importantissimo che riveste. In questo caso Cavani è chiaro e sicuro quando ha riconosciuto e compreso l’opportunità di affidarsi ad un professionista psicologo, che avrebbe potuto aiutarlo ad uscire da quel momento buio della propria vita.

Alla domanda “Quando iniziò la terapia?”, la risposta di Cavani è molto significativa perché fa comprendere quanto sia stato inaspettato, debilitante ed improvviso il “sintomo”:

La prima volta che sono andato in terapia è stato dopo il ritorno del Psg in casa del Barcellona (la remuntada: 6-1). Mi  colpì molto. In cinque minuti cambiò tutto quello che avevamo fatto. È un colpo così grande, che non puoi controllare e che, sebbene sia il calcio, tocca altre parti della tua persona, con sintomi di ansia, sudorazione fredda, avevo le vertigini ad addormentarmi e già prima avevo paura di addormentarmi. Mi chiedevo: “Ho un problema nella mia testa?”. Sono andato dal medico PSG, di cui mi fido molto, e mi ha detto: “Quello che sta succedendo a te, sta accadendo a molte persone in diversi settori”. E ho capito che non ero un supereroe.

E. Cavani (dall’intervista su Relevo)
E. Cavani con la maglia del Napoli

L’aspetto psicologico diventa fondamentale e centrale per il benessere della persona e in questo caso di un atleta. Se la mente funziona bene, allora anche il corpo si muoverà meglio; se la mente funziona bene, il corpo sarà in grado di spingersi persino oltre i propri limiti. Quando la mente cede, anche un “supereroe” difficilmente sarà in grado di utilizzare le sue capacità e i suoi super poteri al meglio.

“..Perdimos mucho tiempo por cosas que no importan. El fútbol cada vez es más mediático e influyente en la vida de los otros. Pero la salud mental es fundamental y en el fútbol falta.”

E. Cavani

La salute mentale è fondamentale e non va sottovalutata né nel calcio né nella vita di tutti noi.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
Pubblicità

Pallone&Psiche – Napoli vittima di se stesso.

Tra auto – sabotaggio e comunicazione “superficiale”

(Puoi trovare questo articolo anche come “MASOCHISMO AZZURRO” in Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli)

Nonostante la giornata storica, 10 Maggio, per il calcio a Napoli. Trentacinque anni fa, nel 1987, il primo scudetto. C’è un pizzico di rammarico che serpeggia tra i tifosi. Tornando al presente infatti possiamo dire che quelle passate sono state giornate difficili per tutti i tifosi del Napoli.

Giornate avvelenate da una profonda delusione e da una rinnovata sensazione di sconforto e rabbia, legata a questo sentore di ennesimo “tradimento”.

Il tifoso mette, nella “relazione” con la propria squadra del cuore, un certo quantitativo di investimento “energetico” emotivo, che viene alimentato dalle risposte sul campo della squadra, dai comportamenti che la squadra ha, dalle dichiarazioni dei protagonisti, dall’impegno, dal rispetto..

Insomma quella tifoso/squadra è una relazione molto complessa.

Questa premessa per dire che non si può pretendere che i tifosi non abbiano reazioni emotive piatte. Il tifoso alimenta il suo amore per la maglia attraverso la passione, e la passione per definizione stessa è mossa da emozioni e sentimenti forti e turbolenti.

Quindi non si dica che la profonda delusione dei tifosi del Napoli sia “inspiegabile”, “insensata”, “immotivata”, “esagerata”..

Le parole sono sassi, come recitava una canzone di Samuele Bersani di qualche anno fa, e bisogna usarle bene, fare molta attenzione al loro peso, al loro significato. Quando si fanno certe dichiarazioni bisogna avere anche il coraggio di dire: “Ho sbagliato, scusatemi”.

I risultati devastanti di Empoli, e quelli in casa con Fiorentina e Roma, sono anche il risultato di parole mal dette (o maledette), e di una comunicazione apparentemente “malata”, da parte del nostro allenatore.

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il ciuccio sulla maglia del Napoli”, https://ciucciomaglianapoli.com/ a cura di Giulio Ceraldi.

La sensazione, anche derivata dalle dichiarazioni post goleada contro il Sassuolo, è che la nebbia della confusione di quelle gare abbia alimentato una faticosa arrampicata sugli specchi.

Più o meno il senso delle dichiarazioni del nostro allenatore, anche in risposta alla lucida analisi di Mertens del post Sassuolo è: “Io il mio l’ho fatto, ho portato la squadra in Champions. Ho voluto alzare l’asticella, guardando allo scudetto, solo perché eravamo vicini e i tifosi lo volevano, ma non è colpa mia se la squadra è più debole delle squadre che ci precedono. Poi è vero che abbiamo perso in casa contro le ultime in classifica e siamo usciti da tutte le competizioni in maniera pietosa, ma abbiamo fatto due/tre ottimi risultati fuori casa a Milano e a Bergamo, dove non si vinceva da tempo. Da me che volete? Poi Mertens che parla a fare, è colpa loro se abbiamo perso, e non è vero che siamo forti quanto gli altri..”.

Nel post Torino poi arriva la ciliegina sulla torta, una perla, oserei dire: “A voi interessa se il prossimo anno si vince lo scudetto o no. Non se i giocatori vengono ad allenarsi anche quando hanno il giorno libero. No, quello non vi interessa”. Come sempre si sbagliano modi e tempi. Probabilmente in un momento diverso questa dichiarazione sarebbe stata apprezzata, ma ora non ha senso, è assolutamente fuori luogo.. 

Guardando al trittico di partite “incriminate” invece, si può fare un’osservazione interessante di carattere psicologico. Il Napoli probabilmente, è stato vittima di quello che in Psicologia si chiama Auto-sabotaggio.

In genere ci sabotiamo quando proponiamo a noi stessi aspettative irrealistiche, mirando al perfezionismo, ma partendo dal presupposto (probabilmente errato) che non siamo in grado di fare delle cose o che non siamo abbastanza capaci di farle. Quindi ci auto sabotiamo per paura di fallire

Quindi volendo portare ad esempio ciò che è successo al Napoli, si potrebbe ipotizzare che se ad esempio Spalletti (ma questo vale anche per la piazza, giornalisti tifosi, ma anche presidente) parte dal presupposto (più o meno inconscio) che se non lo abbiamo fatto prima (vincere lo scudetto o competere per due tre competizioni contemporaneamente), non siamo in grado di farlo.

Quindi nel momento più bello, quando pare che siamo veramente in grado di poter raggiungere quell’obiettivo, ci auto-sabotiamo, per paura di fallire. Come ad esempio è successo con le scelte poco felici sulle formazioni mandate in campo nelle partite “incriminate”, sulle sostituzioni e sui moduli adottati.

Si mettono, così, in atto comportamenti specifici ossia: ci convinciamo che possiamo “vincere lo scudetto” solo se possiamo essere più forti di quelli sopra di noi o se possiamo avere dei giocatori “vincenti” ed esperti e poi mettiamo in atto strategie strane a favore del fallimento (come ad esempio levare un attaccante, mettere giocatori fuori ruolo, infortunati o poco in forma, rinunciare ad attaccare e a giocare o affidarsi ad un modulo completamente inadatto ai propri giocatori e palesemente con poca resa).

Probabilmente come Napoli ci sabotiamo perché preferiamo la certezza e la prevedibilità rispetto all’ignoto  e operiamo un auto-sabotaggio proprio perché pensiamo di non valere abbastanza per meritare lo scudetto.

Ci facciamo influenzare da false credenze magari legate a pregiudizi sociali e sportivi negandoci il successo

Se fosse questo il problema, allora la domanda è: siamo stati vittima del “pensiero sabotatore” della piazza, dei calciatori, dell’allenatore o del presidente? O della commistione di tutti questi?

Gennaro Rinaldi, Psicologo Psicoterapeuta – Giusy Di Maio, Psicologa Clinica

Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!”

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il ciuccio sulla maglia del Napoli”, https://ciucciomaglianapoli.com/ a cura di Giulio Ceraldi.

Pallone & Psiche – Quando l’allenatore fa la differenza..

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il ciuccio sulla maglia del Napoli”, https://ciucciomaglianapoli.com/ a cura di Giulio Ceraldi.

Vi prego non svegliatemi ora..

Il sogno più dolce, pare essere più vivido, colorato e pieno di luce.. l’urlo liberatorio all’ultimo minuto, poi quella luce negli occhi di Fabian, di Insigne, di Elmas, di Spalletti..

Quella corsa sotto la curva, l’esplosione di gioia mista a rivalsa e a rabbia, per dei risultati che non raccontavano la verità di motivazioni e obiettivi di una squadra vittima solo della sfortuna e dei blocchi mentali legati ad un’autostima decrescente.

Spalletti negli ultimi interventi ha usato parole dirette e precise, nei confronti dei propri ragazzi, del gruppo. Ha preso posizione in pubblico, proteggendo il gruppo dagli attacchi esterni. Ma, ancora più importante, ha lanciato un messaggio preciso alla sua squadra, che più o meno è stato questo: “ Voi avete grandissime risorse e potenzialità, siete più di quanto gli altri hanno visto. Io credo in voi e credo nell’obiettivo più grande. Sono qui con voi e non vi lascerò da soli. Siamo forti!”

Per allenare e motivare gli atleti, gli allenatori d’esperienza e con mentalità vincente, adottano un approccio che favorisce le relazioni e incita i singoli calciatori all’autonomia. Ciò che davvero conta è il tipo di rapporto che il mister costruisce con i propri calciatori

Spalletti allenatore del Napoli – immagine google

La filosofia dell’allenatore “sergente di ferro” ha miseramente fallito con la scorsa gestione tecnica. Anche le ultime ricerche in Psicologia dello Sport hanno confermato che l’approccio più “vincente” è basato suo uno stile di coaching basato su un rapporto diretto con i calciatori e sull’ascolto.

Nel professionismo ad alto livello funziona meglio attingere alle dinamiche psicologiche delle interazioni sociali e alle motivazioni personali.

Secondo la teoria dell’autodeterminazione di L. Deci e M. Ryan (1985), gran parte del nostro comportamento è guidato da motivazioni interiori e non da spinte esterne. Inoltre, in base a diverse ricerche effettuate i due autori hanno potuto identificare tre requisiti: competenza, relazione e autonomia, che portano all’autodeterminazione e sono essenziali per il benessere psicologico degli atleti.

In poche parole i giocatori migliorano la propria competenza costantemente grazie alle capacità e all’esperienza dell’allenatore. Se l’atleta ha la sensazione di non poter imparare qualcosa dal coach, la relazione tra lui e il coach non funziona.

Il lavoro dell’allenatore vincente passa anche dalla relazione, gran arte del suo lavoro, infatti, consiste nel sviluppare dei rapporti e nel potenziare le motivazioni intrinseche. Il segreto è concentrarsi sugli aspetti positivi del gruppo e sulla costruzione dei rapporti interni, il motto dovrà essere “cura della relazione”.

Un ottimo allenatore, rivolgendosi alla propria squadra, dice sempre qualcosa di positivo.

Le persone hanno bisogno di sapere che sei dalla loro parte, prima di accettare quello che hai da dire.

Infine, bisogna che l’allenatore sostenga l’autonomia dei propri giocatori. È importante che i giocatori si sentano sostenuti, autonomi e responsabilizzati nelle proprie scelte di campo, sempre con il supporto del proprio mister che li incoraggia, suggerisce e indica soluzioni possibili.

Insomma, il nuovo corso di Spalletti, assomiglia tanto ad un corso potenzialmente fruttuoso, nonostante le innumerevoli difficoltà che abbiamo vissuto.

Quindi pazienza.. mettiamoci passione e supportiamo la squadra!

 Gennaro Rinaldi, Psicologo Psicoterapeuta – Giusy Di Maio, Psicologa Clinica

Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!”

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il ciuccio sulla maglia del Napoli”, https://ciucciomaglianapoli.com/ a cura di Giulio Ceraldi.

“Finisce bene quel che comincia male”

Benessere Psicologico: L’impossibilità può divenire possibilità?

Metafore psico-calcistiche e considerazioni psicologiche..

E se volessimo paragonare la nostra vita ad una partita di calcio?

#youtubeshorts #schorts

L’impossibilità può divenire possibilità – ilpensierononlineare – Youtube

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Pallone & Psiche: la diretta!

Hey! Questa sera cosa hai da fare?

Bene… Ti invitiamo a seguire la nostra diretta.

Dalle ore 18:15 io e la dottoressa Giusy Di Maio saremo in compagnia del nostro amico/tifoso Giulio Ceraldi 

Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli https://ciucciomaglianapoli.com/.

“Potrete seguire la diretta di mercoledì 9 febbraio – alle sei e un quarto del pomeriggio – sui canali FacebookYouTube e Twitch (cerca ciucciomaglianapoli) de Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli.”

Pallone&Psiche è uno spazio dedicato alla riflessione a giro dove metteremo volto, parole ma soprattutto sentimento per parlare, insieme, del nostro amato Napoli ma anche di tutto ciò che concerne la relazione tra sport e psiche.

Allora… che fai? Sei curioso?

Seguici in diretta su Facebook, Youtube e Twitch.

Ti aspettiamo!

Dott.ri Gennaro Rinaldi – Giusy Di Maio

Pallone&Psiche: Fattori psico – emotivi e stress come spiegazione per gli infortuni muscolari: il caso di Insigne.

Napoli Sampdoria seconda giornata di ritorno, siamo a metà del primo tempo, Insigne è in possesso di palla pronto ad avviare una promettente azione d’attacco, ma mentre corre (neanche troppo velocemente), palla al piede, verso la porta avversaria, si ferma.

Uscirà pochi minuti dopo dal campo per un infortunio muscolare all’adduttore destro.

Cosa potrebbe essere successo? Potremmo ipotizzare che l’infortunio di Insigne sia legato anche a fattori psico-emotivi?

Probabilmente si.

Ovviamente, non possiamo averne la certezza, ma i tanti indizi situazionali, possono sicuramente portarci a pensare che l’infortunio (o gli infortuni) del capitano del Napoli abbiano anche una connotazione psicologica.

Del resto, basti pensare che Insigne era reduce da un precedente infortunio al polpaccio a dicembre e dalla successiva positività al covid. 

Noi (tifosi e non) siamo generalmente portati a pensare ai calciatori o in genere agli sportivi, come individui “decontestualizzati”. Difficilmente li pensiamo come individui inseriti in un contesto (familiare, sociale, relazionale); eppure (e mi dispiace sfatare questo mito) anche i calciatori sono umani e quindi passibili di influenze esterne e interne di natura psicologia, emotiva, cognitiva, sociale e culturale.

Insigne sta vivendo una fase della propria vita molto particolare, una fase critica, di passaggio. Un periodo che lo vede protagonista di scelte complesse, per se stesso, ma anche per la sua famiglia.

Lorenzo Insigne – infortunio Napoli – Sampdoria

A prescindere dal discorso economico, che ha la sua rilevanza e potrebbe apparentemente facilitare il “cambiamento”, la questione riguarda molto da vicino Lorenzo. Un giovane uomo di 31 anni con una famiglia, che sta decidendo di emigrare verso un mondo sconosciuto, sollecitato, consigliato, invogliato, motivato e/o costretto da eventi, persone, denaro, promesse..

 In questa situazione, di per sé stressante, mettiamoci anche l’aspetto legato alla sua immagine, a ciò che rappresenta:

capitano della sua squadra del cuore, dove è cresciuto calcisticamente;

punto di riferimento per i tifosi, con cui ha sempre avuto un rapporto complesso, caratterizzato da sentimenti di amore e odio;

tifoso della propria squadra;

cittadino della città che rappresenta.

Cosa centra tutta questa premessa con l’infortunio?

Nel calcio, i muscoli più colpiti da infortuni sono: i flessori del ginocchio, il quadricipite femorale, i muscoli del polpaccio e gli adduttori dell’anca.

L’infortunio sportivo muscolare, dal punto di vista della psicologia, rappresenta un evento multifattoriale e tutti gli elementi che ho citato in precedenza (legati all’infortunio di Insigne) possono considerarsi dei fattori di rischio (variabili psicosociali).

Il modello dello Stress – Infortunio di Andersen e Williams (1998)  , sostiene che esista una correlazione tra stress e infortuni sportivi.

Esistono infatti, in alcuni individui, caratteristiche particolari di personalità che non permettono una adeguata risposta agli eventi stressanti, che non vengono affrontati nella maniera opportuna. Questa risposta inadeguata può aumentare la possibilità di un infortunio di tipo muscolare.

Thompson e Morris, osservarono che il rischio aumenta quando nella vita dell’atleta sono presenti eventi stressanti. Inoltre, quando incombono la presenza degli “stressor” (ciò che può generare lo stress) i livelli di vigilanza e attenzione diminuiscono notevolmente.

In successivi studi è stato evidenziato che individui con sentimenti e umore frequentemente “posizionati”nell’area depressiva, malessere e apatia, riportavano infortuni più facilmente (Kolt & Kirkby, 1999).

Anche persone con ansia di tratto, ansia di stato e vulnerabilità allo stress, sono più vulnerabili agli infortuni (Williams & Andersen, 1998). Inoltre l’ansia legata alla competizione può avere sia un effetto diretto, sia indiretto sull’infortunio, in particolar modo quando c’è la presenza di umore negativo (Petrie, 2004).

Tornando al caso di Insigne, ad esempio, trovandosi in una condizione di stress duratura e persistente, probabilmente avrà avuto una risposta attentiva alterata (distrazione) durante le ultime gare, con conseguente aumento della tensione muscolare. Negli stati di stress è comune infatti una contrazione “anomala” di determinati gruppi muscolari, e ciò ovviamente può portare a diverse conseguenze sul piano fisico: affaticamento, riduzione della flessibilità muscolare che possono poi portare a distorsioni, strappi, stiramenti..

Infine la distrazione e la riduzione dell’attenzione determina inevitabilmente errori durante il match, peggioramento della performance e quindi anche il rischio di “incidenti” muscolari.

Insomma, se questa può essere una spiegazione plausibile a questi ultimi infortuni di Lorenzo, una domanda è lecita:

A queste condizioni quale contributo alla causa del Napoli potrebbe dare Insigne fino al termine della stagione?

Secondo Petrie, uno degli autori citati, il supporto sociale giocherebbe un ruolo di protezione nel rapporto con la rabbia e la depressione 

Quindi se resterà, come pare, in squadra fino al termine della stagione, bisogna supportarlo e “coccolarlo” affinché possa evitare “disattenzioni” e altri infortuni, e magari regalarci qualche gol, per aiutarci a vincere. 

Gennaro Rinaldi – Psicologo – Psicoterapeuta

Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!”

Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il ciuccio sulla maglia del Napoliciucciomaglianapoli a cura di Giulio Ceraldi.

Pallone&Psiche: Psicologia e Sport.

Siamo lieti di annunciarvi una nuova rubrica che partirà da oggi, sul nostro blog.

Da sempre tifosi del nostro Napoli e amanti dello sport abbiamo -negli anni- inseguito il progetto di poter parlare di Psicologia dello Sport, un settore ora (finalmente) in via di sviluppo anche in Italia; un settore che va molto oltre il lavoro dei coach motivazionali.

Le olimpiadi lo hanno mostrato chiaro e tondo: anche nel mondo dello sport, il supporto psicologico si presenta come un valido strumento di sostegno e supporto dell’atleta in difficoltà.

Che cosa accade allora da oggi?

Accade che nasce una bellissima collaborazione insieme a Giulio Ceraldi: Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli https://ciucciomaglianapoli.com/ che ha dato a noi Psy, la possibilità di riflettere -insieme- sull’aspetto psicologico del pianeta calcio andando ad indagare cosa accade dal punto di vista interpsichico e intrapsichico. Analizzeremo pertanto cosa accade sia dal punto di vista del calciatore stesso (analisi dei fattori di stress, ad esempio) che dal punto di vista delle dinamiche relazionali che vengono a crearsi tra atleta, società, mezzi di comunicazione e tifosi.

Dott.ri Giusy Di Maio, Gennaro Rinaldi.

Napoli sì, Napoli forse: Napoli no.

Dopo le sconfitte, si sa, siamo tutti più restii a mantenere quel certo aplomb di gallica memoria, ma la situazione in casa Napoli è ormai ben nota, pertanto non ci resta che metterci comodi e provare ad analizzare le cose che stanno scuotendo la casa azzurra.

Covid, cessioni, infortuni…. una serie di sfortune – verrebbe da dire – che si susseguono senza sosta; la questione si pone però se andiamo a prender coscienza del fatto che da tifosi sottovalutiamo, spesso, il peso che le numerose variabili (ad esempio quelle appena citate) possono avere sulla resa (a breve e lungo termine) della prestazione di un calciatore.

Un calciatore è – inoltre – membro di una squadra, il che apre ad un’altra questione ancora: ciò che faccio io può dipendere o inficiare quello che fanno tutti gli altri.

Un momento… un momento Dottoressa… Ora sono quasi confuso… Ma questi, due calci a un pallone devono dare e qua mi fate il discorso del sistema… delle variabili… ma a me che importa?

Il momento attuale del Napoli, della nostra squadra, è strutturalmente complesso poiché il punto forse più caldo è la cessione del nostro capitano Lorenzo Insigne.

Per anni le voci sono state insistenti “Insigne ha firmato con… Ufficiale! Insigne via!” e di converso anche nel cuore dei tifosi i sentimenti sono sempre stati contrastanti: siamo passati dal capitano amato, ammirato.. dallo scugnizzo “cresciuto” in cui tutti si riconoscevano al “calciatore dalle dubbie capacità” e questo.. per voler essere eleganti.

Cosa accade allora nella mente di una squadra quando il suo assetto interno ne viene, per un motivo qualsiasi, modificato?

Una squadra è una famiglia – un sistema – direttamente (o indirettamente) influenzata dalle proprie relazioni di provenienza.

Mi spiego:

Un calciatore che entra in una squadra entra in un sistema formato dalla trama di relazioni che si vengono a creare tra tutti i membri della squadra stessa (hai presente il famoso clima dello spogliatoio di cui tanto si parla?); a loro volta, però, i calciatori portano, all’interno di quelle relazioni della squadra, i rapporti che li accompagnano anche “fuori”. Per capire meglio questo punto, dobbiamo pensare a quando si dice che ciò che succede a “casa tua” non devi portarlo sul lavoro altrimenti se ne inficia la prestazione, hai presente, no? Bene… questa cosa è tecnicamente possibile ma di fatto quasi impossibile da svolgere.

Se un membro della famiglia di provenienza del calciatore stesso (per fare un esempio) mostra malessere in una data situazione, la performance calcistica (o sportiva in generale) dell’atleta ne sarà inficiata.
No Dottoressa.. qua sta diventando troppo complessa la questione: per me bisogna solo vincere qualcosa di concreto“.

Hai ragione anche tu… anche io sono tifosa e mi rendo conto che vincere conta se sei in gara, ma dammi un po’ di tempo, ancora…

Ogni persona è da considerare come un individuo immerso in una realtà bio-psico-sociale; si tratta pertanto di considerare una realtà che sia caratterizzata da fattori biologici, psicologici e sociali.

I fattori biologici sono i fattori biochimici, ad esempio; quelli psicologici sono legati alla personalità, al comportamento, all’umore e quelli sociali alla famiglia, alla cultura o fattori economici.

Un atleta che vive, per un qualsiasi motivo, un problema della sfera biologica, psicologica o sociale, per forza di cose avrà una performance minore rispetto ad un altro atleta.

Una squadra che perde il suo capitano e che perde per un periodo di tempo la sua punta (mi riferisco a Victor Osimhen), deve vivere da un lato l’elaborazione di un lutto a tutti gli effetti e dall’altro ha vissuto l’elaborazione di una situazione catastrofica laddove le condizioni erano invece favorevoli. (Questo sarà però argomento del nostro prossimo appuntamento con la rubrica Pallone & Psiche, rubrica in collaborazione con Giulio Ceraldi https://ciucciomaglianapoli.com/ )

Dott.ssa Giusy Di Maio.

L’importanza psicologica del calcetto.

In questi ultimi giorni l’Italia si è avviata (almeno per il momento) verso settimane di metà primavera, con un allentamento delle restrizioni in diversi ambiti della vita sociale e commerciale. Uno dei cambiamenti più evidenti e decisamente più ambiti per gli amanti dello sport ed in particolare del calcio, è la riapertura dei campi di calcetto amatoriale. Una vera novità per certi versi inaspettata e insperata di questi tempi.

Al di là della bontà della scelta del Comitato Tecnico Scientifico e del Governo riguardo gli aspetti puramente legati ai contagi (che non mi compete e che quindi non saranno trattati nel post), io vorrei soffermarmi sull’aspetto sociale e psicologico di queste aperture.

La classica partita infrasettimanale di calcetto (spesso la partita del giovedì sera) è un vero e proprio rito per tantissimi italiani. La partita di calcetto amatoriale per gli adulti è un modo per mantenersi in forma, ma è soprattutto un modo per regredire all’adolescenza e alla gioventù. Diventa un momento importante proprio per la sua valenza di scarica emotiva, delle tensioni e dello stress che si accumulano durante la settimana lavorativa. In questi impegni sportivi settimanali ci si misura con se stessi, con i propri limiti e con gli altri amici.

Photo by Markus Spiske on Pexels.com

Insomma, la partita di calcetto è un modo per ritornare ad esperienze giovanili, alla spensieratezza di momenti legati ad un periodo della vita diverso. Il sogno di poter ritornare per quelle poche ore ad assaporare l’illusione di un “immortalità agonistica e sportiva”. Per i più giovani, invece, il calcetto assume significati leggermente diversi. Viene visto più come un esperienza legata al gioco e all’esperienza fisica, ma con valori ed esperienze sociali ed educative importanti, come quella di confrontarsi con la gioia delle vittorie e la delusione delle sconfitte. Da non sottovalutare, per i più giovani, l’aspetto del confronto con i pari, i litigi, le responsabilità di squadra, il valore del lavoro di gruppo, l’appartenenza.

Una review (del 2017) su 70 ricerche pubblicate e realizzate da Peter Krustrup (Università di Copenhaghen) identifica il calcetto come il gioco che offre i maggiori benefici dal punto di vista fisico e mentale.

Lo sport e il calcetto, diventano un rifugio mentale accettabile sia per i più giovani sia per i più adulti (soprattutto per quest’ultimi). Per gli adulti il calcetto diventa tempo e spazio per ritrovarsi con i propri amici. Infatti non si riduce al solo tempo della partita, ma va oltre. La partita entra a far parte di una vera e propria narrazione comune, che si allarga ad un prima e un dopo. Dopo la partita spesso e volentieri si va a mangiare una pizza, si va a bere una birra o ci si intrattiene al campo a parlare e scherzare.

Questo sport permette di creare una comunità, di sentirsi parte di un gruppo, di relazionarci con gli altri e di conoscere persone nuove. Lo sport fa emergere parti di noi che non sperimentiamo nella routine quotidiana e il campo può diventare il luogo adatto per sentirci più “liberi”.

Insomma queste riaperture e il ritorno alla normalità attraverso una semplice partita di calcetto il giovedì sera può aiutare tantissimo a riprenderci pezzi di vita che poi tanto banali ed inutili non erano. I benefici psicologici fisici e sociali saranno sicuramente tanti per tante persone.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Seguici anche su Twitter!!!! Ilpensierononlineare – Blog di Psicologia (@Ilpensierononl1) / Twitter