
Uno dei campi di indagine che mi sta più a cuore, è sicuramente quello che concerne l’adolescenza. Ho sempre amato “lavorare” con gli adolescenti, specie con quelli provenienti dai contesti più svantaggiati (le note periferie malandate) e con coloro che finiscono (rin)chiusi nelle strutture carcerarie.
Uno dei miei sogni resta ancora poter lavorare nel carcere minorile. Non ho mai pensato al mio lavoro (intendo in maniera ampia, a quello dello psicologo), come un qualcosa fatto in maniera statica, rigida e ferma rinchiusi quasi come in una teca di cristallo (lo studio). Ho sempre – e ancora lo faccio- immaginato di poter scendere sul campo inserendomi, diventando parte attiva, nel tessuto sociale.
La periferia per me, è una grande risorsa. La periferia, per me, è vita.
Buona lettura.
Winnicott(1961) sostiene che l’adolescente può sentirsi inconsistente al punto tale da dover ricercare la prova della sua esistenza nelle reazioni che riesce a suscitare negli altri :
“se le grida di allarme, espresse attraverso i comportamenti a rischio, non vengono udite e raccolte, la sfida si intensifica, ad esprimere contemporaneamente rabbia e disperazione, aggressività e richiesta di aiuto”. Ruggiero I., p., 156., 2007.
L’adolescente sottoposto alla pressante spinta delle trasformazioni puberali, che si trova a vivere circondato da fattori potenzialmente stressanti (intensificazione pulsionale e fragilità narcisistica), non ha altro mezzo se non “evacuare tutto ciò che l’ambiente primario non è riuscito ad elaborare” (Kaes, P., 2014). Affinchè il narcisismo del soggetto possa svilupparsi, è necessario che sia preceduto da un investimento narcisistico da chi (egli stesso), precede. Ne deriva che la permanenza del contratto narcisistico non è dubitabile, in quanto senza una tale istituzione psico- culturale la specie non avrebbe potuto dare seguito nel tempo, al proprio lignaggio.
Può tuttavia accadere di trovarci di fronte a una deriva psicopatologia del contratto e la osserviamo ad esempio
“Nelle famiglie, nei gruppi nei quali predominano i processi psicotici”. Kaes, 2012.
Il contratto narcisistico è sensibile alle “strutture profonde della società” (Kaes,2013) il che implica che laddove ci troviamo di fronte a una “società senza padri” (Vegetti Finzi, 2016) esposta al crollo dei garanti metapsichici e matasociali (miti, ideologie, religioni o autorità), l’adolescente si trova a sperimentare di nuovo quello stato di angoscia originaria e innanzi a quell’impotenza e prematurazione che tutti almeno una volta (nascendo) abbiamo sperimentato, potrebbe incorrere in un disturbo di personalità antisociale o narcisistico.
I due disturbi hanno in comune:
- la tendenza ad un uso massiccio della negazione dei bisogni e delle esigenze dell’altro e un difetto evidente di empatia nella relazione con lui;
- i comportamenti aggressivi sono caratterizzati nell’adulto, dalla lucidità e dalla freddezza con cui vengono compiuti (…) dalla tendenza da chi li esegue a pianificarli e a giustificarli con delle razionalizzazioni (più sofisticate nel caso del narcisista, più povere ed essenziali nel caso dell’antisociale) e dalla mancanza, in tempi successivi, della capacità di un pentimento autentico;
- nella situazione particolare dei bambini che possono sviluppare un disturbo narcisistico o antisociale, i comportamenti violenti vengono messi in atto verso esseri ancor più deboli e indifesi; basati sulla liberazione diretta di impulsi non controllati, essi vengono compiuti in apparente lucidità senza emozioni riconoscibili (..)
- nelle situazioni dell’adolescenza e del giovane adulto l’elemento che appare prevalente è invece spesso relativo alla sfida e alla presunzione di potersi muovere al di sopra e al di fuori delle regole che valgono per i comuni mortali. (Cancrini, schema p.,326, 2012).
Per il disturbo antisociale di personalità va proprio sottolineato come questi ragazzi si comportino come persone crudeli in maniera incomprensibile; come siano violenti e aggressivi, emotivamente freddi e facili al rifiuto delle norme sociali. L’unico modo – a parer loro- per dire “io ci sono”, sembrerebbe pertanto essere un massiccio e insensato uso della violenza.
Picchiare, offendere, rubare, spacciare, drogarsi, talvolta uccidere, sono tutti modi utilizzati dai “piccoli uomini” per rendersi meno opachi agli occhi di una società, ma prima ancora di una famiglia che da sempre, finge di non vederli.
A noi, il compito di accendere il riflettore su quella che – non giustificandola, ma accogliendola- resta pure sempre una forma di disagio psichico sentita, presente e logorante.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.