Che cos’è il metodo della psicoanalisi? E che cosa c’entra il rap? E’ possibile trovare una analogia tra la cura parlata e il freestyle usato dai cantanti rap? Un viaggio alla scoperta della talking cure.
Dott.ssa Giusy Di Maio.
Che cos’è il metodo della psicoanalisi? E che cosa c’entra il rap? E’ possibile trovare una analogia tra la cura parlata e il freestyle usato dai cantanti rap? Un viaggio alla scoperta della talking cure.
Dott.ssa Giusy Di Maio.
C’è una cosa che ci accumuna più di ogni alta cosa e che rende l’umanità uguale. L’insulto. Le parolacce e tutte le forme di insulto sono una pratica umana universale, nonostante ci siano delle differenze dovute ai tabù, alla lingua, delle varie culture e società e alla storia. Ma a cosa servono gli insulti?
Freud diceva: “ colui che per la prima volta ha lanciato all’avversario una parola ingiuriosa invece di una freccia è stato il fondatore della civiltà“.
Insultare significa letteralmente “saltare a dosso” a qualcuno con l’intento di aggredirlo. Diciamo che possiamo parlare di una modalità di aggressione, priva di violenza fisica, e che presume una sorta di autocontrollo. Forme “primordiali” di insulto, ma che hanno una finalità ben precisa possiamo osservarle persino nei bambini, che quando cominciano a pronunciare le prime parole, per insultare qualcuno diranno parole tipo: “Brutto!! Cattivo!! Cacca!!. Come se volessero colpire a distanza l’oggetto, il bimbo o la persona che li ha fatti arrabbiare.
Con lo sviluppo delle abilità cognitive anche l’insulto e le parolacce, subiranno un’evoluzione e saranno sempre più complesse. Ci saranno “aggressioni verbali” con l’uso specifico della disconferma, del disprezzo, della maledizione e l’emarginazione. Fino ad arrivare alla forma forse più sottile e complessa di insulto: il silenzio.
Le forme di insulto secondo i linguisti e gli psicologi possono suddividere in base alla loro finalità: maledire una persona; emarginarla da un gruppo; ridurre l’autostima ad una persona (insulti definitori).
Una nota psicologa, Valentina D’Urso, sottolinea che le varie forme di insulto possono infierire su diversi aspetti. Ad esempio, sull’intelligenza (imbecille, cretino), sulla forma fisica (nanetto, grassone, stecchino), il carattere (senza palle), le qualità morali (stronzo). In genere lo scopo principale di un’offesa è quella di ridurre l’autostima di un’altra persona, ma spesso e volentieri le offese possono essere autoinflitte (sono un’idiota, non valgo niente, sono inutile..), in tal caso c’è un chiaro tentativo di auto-sabotaggio.
Quando invece si vuole emarginare o allontanare qualcuno da un gruppo si usano insulti che hanno l’effetto di bollare qualcuno come un “diverso”, un “anormale”. In genere questi insulti sono utilizzati da gruppi politici e di tifosi, ad esempio, per discriminare minoranze o semplicemente culture, popoli e persone “straniere”. La cosa molto strana è che questo tipo di insulti affondano le radici nella storia, infatti i Greci chiamarono “barbari” tutti gli stranieri che quando parlavano, alle loro orecchie, sembravano balbettare (bar-bar). La differenza è che se in antichità questo tipo di “etichettamento” aveva un senso (i popoli avevano grandi distanze e differenze), adesso le discriminazioni e le offese raziali sono solo un derivato di una povertà intellettuale abbastanza grave.
Infine le maledizioni rientrano in quel tipo di insulti che sono finalizzati ad augurare a qualcuno una qualche forma di sciagura. Un po’ come nei riti magici, dove viene data alla parola il potere di cambiare la realtà e modificare addirittura il futuro. Le maledizioni generalmente “auspicano” azioni e situazioni che vanno a finire nel futuro (vaffa..).
Si potrebbe dire che gli insulti definitori (quelli sull’autostima e sull’esclusione) si basano e prendono spunto da fatti che hanno a che fare con la realtà: invece le “maledizioni” hanno a che fare con auspici nefasti che possono “augurare” brutte cose.
Le parolacce servono a trasmettere contenuti emotivi, che però non devono per forza essere aggressivi. Infatti nella comicità gli insulti subiscono una trasformazione e diventano una forma di catarsi e di divertimento. Quando l’insulto e la parolaccia sono usati in contesti di comicità e satira, ci fanno ridere perché essenzialmente vanno ad intaccare due meccanismi di base: l’identificazione e il sollievo. Ridiamo perché il comico nel suo pezzo ha potuto dire con parole estreme, bizzarre, paradossali ciò che noi pensiamo e vorremmo dire. Insomma, nel momento in cui guardiamo un comico fare un monologo sulla politica (ad esempio) ci identifichiamo con lui che riesce a mandare a quel paese il politico di turno.
Gli insulti però possono addirittura servire ad accorciare le distanze e a comunicare senso di appartenenza e intimità. Pensiamo ai gruppi di amici o amiche che quando si incontrano per una cena o una partita a calcetto cominciano a “sfottersi”. Queste modalità di insulto, servono per comunicare il concetto che tra gli interlocutori non c’è alcuna aggressività e che si sta solo giocando.
Nel video sotto potete ascoltare una canzone dove i due artisti Napoletani, Federico Salvatore e Clementino (noto rapper), si esibiscono in un divertente pezzo dove possiamo vedere un chiaro esempio dell’uso dell’insulto per fare comicità ed intrattenimento.
“Finisce bene quel che comincia male”
dott. Gennaro Rinaldi