“Spesso contraddiciamo una opinione mentre ci è antipatico soltanto il tono con cui essa è stata espressa.”
FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE
Questa frase mi è ritornata alla mente in seguito alla conduzione di un colloquio.
Come spesso accade i due non sembravano trovare un minimo punto di incontro persi com’erano a barcamenarsi in maniera piuttosto ondosae tempestosa, tra le rispettive opinioni.
I toni erano sempre alti, presuntuosi (da ambo le parti) e ridondanti..
La continua enfasi posta “alla mia ragione”, rendeva vana ogni possibilità di spostare l’attenzione al contenuto della discussione.
(A parlare è una coppia indecisa sul procedere o meno con una separazione; l’astio è forte poiché lei non riesce a perdonare lui che per 2 anni ha avuto un’amante).
D’un tratto dopo un momento di pausa e un fortissimo pianto, il suono dei pensieri prendere il sopravvento sul rumore del parlato (vuoto) per ristabilire il tono .
“Ecco cosa non ti ho detto”…
(Barcarola, in musica classica, indica una composizione che evoca il modo ondeggiante delle imbarcazioni..)
Lo stranissimo titolo sembra proporre tre cose unite da “nessun” senso.
La riflessione di oggi muove su un continuum che parte da Freud per finire ancora un volta, nella musica e in Chopin.
“L’Io non è padrone in casa propria”
Diceva Freud, questo perchè l’essere umano è abitato da una dimensione inconscia che ha sempre evitato di considerare e conoscere, derivazione questa che proviene da quel gioco narcisistico che ha fatto sì che egli si mettesse al centro dell’universo, padrone indiscusso della sua razionalità.
Nell’Introduzione alla psicoanalisi, Freud (1915-1917), scrive che l’umanità ha dovuto subire, nel corso del tempo, una serie di mortificazioni. Innanzitutto La scienza ha mostrato che la terra non è al centro dell’universo, ma solo una piccola parte di un grande cosmo (la rivoluzione Copernicana).
Altra mortificazione subita dal genere umano, risiede nel fatto che la ricerca biologica ha mostrato che l’uomo discende dal regno animale (opera di Darwin).
La terza e grande mortificazione subita dal genere umano, è data dalla psicologia che ha mostrato come l’Io non sia padrone in casa sua. L’Io vive (molto ironicamente) ben lontano dal conoscere cosa accade in casa propria.
La psicanalisi offre la possibilità di mettere il soggetto al centro del suo discorso (siamo proprio sicuri che quando diciamo Io, stiamo davvero riferendo a noi stessi?) responsabilizzando il soggetto stesso rispetto al suo malessere: ecco perchè la terapia è attiva ma soprattutto soggettivante.
Le persone sono più del loro sintomo e sono portatrici di una storia (un complesso di storie perchè tutti siamo la somma di tante storie e voci che ci attraversano legandosi insieme, tra loro. Storie stridule, stonate e urlate. Storie sussurrate e blandamente raccontate. Storie che non trovano accordo o producono una dissonanza).
E ora??? che c’entra Varsavia?
La condensazione dei termini trova ragione in uno studio di Chopin importante per me, per diverse ragioni (anticipo solo che l’amore per Chopin è bastato a farmi prendere un aereo per Varsavia).
Chopin compose lo studio op 10 n 12, conosciuto anche come la Caduta di Varsavia, quando nel 1831 si trovava a Stoccarda. l’8 settembre seppe del fallimento dell’insurrezione polacca e della presa di Varsavia da parte dei russi (Rivolta di Novembre). Chopin a causa delle pessime condizioni di salute, non poté prender parte alla lotta per difendere la propria casa, ed eccola qui.. l’analogia, la mia catena di significanti.
Io- casa- caduta di varsavia- Chopin.
Questo studio è strettamente legato ad alcuni eventi personali, ma questa è altra storia (altra catena di significanti) che forse.. chissà.. verrà prima o poi raccontata.
Un uomo ben vestito è giunto in consultazione lamentando un certo disagio.
L’uomo è bello.. bello secondo le logiche estetiche attuali (che non sono le mie); vestito in giacca e cravatta, barbetta ben curata, sopracciglia ben pettinate e modi rigidi – piuttosto finti- di riempire lo spazio circostante.
L’uomo si pone ai miei occhi quasi come portasse avanti una messinscena “bello, sensuale e accattivante”..
Rifletto..
Non ho mai sopportato le cravatte e gli uomini giacca e cravatta: altro che sensualità.. Un uomo che decide di stare con qualcosa che lo tiene stretto per il collo, mi ha sempre dato da pensare.
Sì.. lo so che certi lavori richiedono un dato dress code ma il piano simbolico della cosa, non cambia: accetti comunque di esser tenuto per la gola.
C’è una certa immagine – specie in tempi recenti – nata dopo la pubblicazione di un certo tipo di romanzo, che vuole indirizzare la sensualità verso una data immagine che risulta però essere piuttosto stereotipata, noiosa e cerea.
La donna con i tacchi a spillo e gonna da segretaria sexy e l’uomo ben vestito e tonico.
Il massimo della noia.
Il massimo della finzione.
Il miglior modo per uccidere la fantasia.
Credo sia giunto il momento di cominciare ad abbandonare certi orpelli che a forza vogliono o vogliamo indossare; coprirsi di certe immagini rischia di far perdere noi il contatto con la fantasia.
Aderire ad uno schema o immagine preconfezionata, azzera la capacità di creare un’immagine che sia nostra, che rispecchi le nostre scelte e il nostro sentire; aderire ad una immagine da imitare, ad una rappresentazione della realtà che non è la nostra, rischia di farci perdere il contatto con la capacità di giocare, creare e fantasticare.
“Spesso contraddiciamo una opinione mentre ci è antipatico soltanto il tono con cui essa è stata espressa.”
FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE
Questa frase mi è ritornata alla mente in seguito all’osservazione di un colloquio.
Come spesso accade i due non sembravano trovare un minimo punto di incontro persi com’erano a barcamenarsi in maniera piuttosto ondosae tempestosa, tra le rispettive opinioni.
I toni erano sempre alti, presuntuosi (da ambo le parti) e ridondanti..
La continua enfasi posta “alla mia ragione”, rendeva vana ogni possibilità di spostare l’attenzione al contenuto della discussione.
(A parlare è una coppia indecisa sul procedere o meno con una separazione; l’astio è forte poiché lei non riesce a perdonare lui che per 2 anni ha avuto un’amante).
D’un tratto dopo un momento di pausa e un fortissimo pianto, il suono dei pensieri prendere il sopravvento sul rumore del parlato (vuoto) per ristabilire il tono .
“Ecco cosa non ti ho detto”…
(Barcarola, in musica classica, indica una composizione che evoca il modo ondeggiante delle imbarcazioni..)
Inspira.. Espira.. rilassati.. Il mio cuore batte calmo e sereno; sono tranquilla…
Perchè diavolo le tende rosse di velluto sono così pesanti? Perchè poi sono sempre così dannatamente piene di polvere.. “sto per starnutire.. No! trattieni lo starnuto e concentrati”.
Fa caldissimo, la luce gialla del riflettore che punta dritto negli occhi chiari crea sagome, ombre indistinte nella platea.. facce in attesa, annoiate, perplesse.. Volti di chi è venuto qui quasi per obbligo e non per piacere.
Uno, due, tre.. “Si va in scena!”
“Crac.. iiii.. tac.. tac..”… Il vecchio parquet del teatro sembra deridere ogni timido passo di lei che con andatura ombreggiata, quasi a volersi proteggere dal fascio di luce troppo intenso, si avvicina al pianoforte.. Il fascio di luce che illumina il centro della scena è sempre più intenso, tanto da creare strali infuocati che rendono faticoso arrivare allo sgabello.
“Iii…schh”.. Sgabello spostato dal piano e via, come una cavallerizza in sella alla fidata base sicura in pelle, comodo conforto per una schiena stanca dal troppo esercizio.
Attacca… Do..si.. “Dannazione!… era Re.. Mi Sol..”..
Non lo so.. “al diavolo tutto!” 12 ore di studio al giorno per mandare tutto all’aria.
La sala diventa fredda come in iglù e quel palco che fino a poco prima era caldo come la fiamma viva di un camino ardente, diventa una piccola cupola e lei si sente incastrata tra grossi blocchi di neve che le raggelano il cuore e i pensieri.
Sarà rimasta lì ferma, immobile, scolpita come una cariatide.. preda del nulla per chissà quanto tempo.
Ore che sono diventati giorni, settimane mesi trasformati in anni, gettati al vento per un battito di cuore in più; quel battito difficile da sostenere; quel battito che blocca la performance.
Non riusciva a suonare ma neanche ad andare via.
Saranno passati chissà quanti minuti.. e nel buio della confusione, nel gelo e nel torpore prese coraggio.
La ..si do.. diesis.. bemolle.. doppio diesis…
Nell’incontro dato dal calore dell’attesa e il gelo della paura, nacque come da improvviso impulso vitale, una scarica che generò l’esibizione: la sua migliore esibizione.
Si sentì serena e leggera quando il pubblico le riconobbe “un cuore”, fu lì che sentì tutti urlare: “Eroica!”.
Nella visione Lacaniana desiderio e godimento non possono coesistere nel soggetto in quanto o si desidera o si gode.
Il desiderio è sempre desiderio dell’Altro (alterità) in quanto sorge dal divieto – in particolare- dall’interdizione paterna al godimento di natura incestuosa, con e della madre. L’effetto dell’Edipo e l’abolizione del godimento incestuoso instaurano la legge del desiderio.
L’umano, entrando nel linguaggio perde il suo essere cosa ed entrando nel registro del simbolico, arriva a costituire il desiderio come domanda rivolta all’Altro.
Il godimento tende a cercare la scarica nell’immediato, è infatti funzione dell’ES; secondo Lacan il godimento “inizia come solletico e finisce come incendio”, ecco perchè siamo portati a legare sempre il godimento a qualcosa.
L’unica strada in cui godimento e desiderio si alleano, è l’amore.
Il desiderio arriva, bussa, prova e il godimento acconsente. Il desiderio però, per poter chiedere al godimento deve passare attraverso la nostra rinuncia al godimento stesso (paradosso); rinuncia che porterà all’incontro con l’amore vero.
Con l’amore il godimento non è mai perduto del tutto; l’amore sa essere uno. Il godimento che può invece essere di tanti e potenzialmente insensato e senza limiti può portare a perdere per sempre il desiderio e dunque l’amore.
L’arte e nello specifico ancor di più, la musica, è sempre stata amore puro e fluido: godimento senza fine. Il mio godimento innanzi alla musica ha consentito al desiderio di procedere, di farmi studiare pianoforte.. di abbandonarmi alle note del canto.. di piangere e provare i brividi innanzi ad una composizione.
Nell’amore per la musica vivo il mio paradosso: godo sapendo di perdere il mio godimento ogni volta che una composizione termina ma, rimpinguando il desiderio di ascoltare, di emozionarmi e conoscere, vivo ogni giorno l’amore per le sette note. Senza limiti. Senza freni.