
La presa di coscienza da parte dei genitori, circa la possibilità di chiedere aiuto e presentarsi ad un incontro di consultazione, prevede un percorso che spesso dura giorni, settimane (se non mesi) fatti di negazione, pianti, liti e difficoltà ad ammettere di aver bisogno di aiuto.
Spesso -infatti- i genitori arrivano a porre una domanda di consultazione presso uno psicoterapeuta, in conseguenza di qualche segnalazione fatta in particolare dagli insegnanti del proprio bambino. La domanda di consultazione può essere effettuata per ottenere una valutazione riguardante comportamenti preoccupanti del figlio (aggressività marcata, ansia da separazione, ..) per ottenere un sostengo durante un momento delicato della vita familiare e/o del bambino stesso (superare un lutto), o per ottenere aiuto nella gestione dei rapporti familiari stessi.
Nell’ambito della componente del controtransfert, il clinico si trova a vivere determinate risonanza che lo portano ad esempio ad identificarsi con un genitore percepito come fragile e vulnerabile oppure ad identificarsi con il figlio (entrando in competizione con il genitore); spesso avverrà una oscillazione tra le due modalità identificatorie.
L’esito dei colloquio con i genitori o con il genitore possono comportare diverse scelte terapeutiche; si può ad esempio decidere di non seguire nessun intervento (si hanno buone risorse individuali); si può fare una consultazione prolungata con i genitori; psicoterapia individuale, di coppia; psicoterapia di gruppo; psicoterapia congiunta genitore/figlio e così via.
La psicoterapia congiunta genitori- bambino trova le sue radici nell’esperienza simbiotica correttiva della Mahler, in Winnicott; generalmente l’intervento si configura di breve durata (4/12 sedute).
“Salvatore contatta lo studio un pomeriggio chiedendo un incontro urgente a causa di suo figlio. Salvatore sostiene che Enzo, un bambino di tre anni, sia noiosamente appiccicoso e insopportabile; sua moglie non sa più che fare e per questo motivo hanno deciso di chiedere aiuto visto che il bambino dovrà a breve frequentare l’asilo e la moglie non può neanche andare in bagno senza che il bambino abbia una crisi di pianto e rabbia.
I due coniugi si presentano in studio in pieno orario, insieme ad Enzo (anche se la richiesta, inizialmente era che venissero da soli) “non siamo riusciti a scollarcelo dai vestiti”..
Il nucleo familiare è giovane; i genitori di Enzo hanno 33 anni, si presentano giovani e sereni. La mamma di Enzo è casalinga mentre il padre lavora per un’azienda.
Il problema che i due presentano è da subito evidente: Enzo è aggrappato alla madre come fosse un piccolo koala tanto che la madre si siede e fa tutte “le sue cose” con il proprio bambino in braccio. Il padre non sopporta più questa situazione e continua a chiedere aiuto sul come “staccare dai vestiti, questo bambino”
(la continua espressione del padre mi fa venire in mente le figurine che si attaccano e staccano – non senza difficoltà- il padre sembra considerare Enzo come quella piccola carta plastificata e adesiva che reca una qualche immagine sopra, dimenticando che Enzo non è un’immagine, ma un bambino reale e bisognoso di cure).
Alle domande sulla storia familiare emerge che negli ultimi 2 anni, la famiglia ha cambiato casa 3 volte trasferendosi dal proprio paese natale del profondo sud andando prima a Roma, poi Milano per fermarsi poi a Napoli. Salvatore non c’è mai e la moglie, appena subito dopo il parto ha affrontato da sola l’allattamento (lontana da tutto l’ambiente familiare) e le difficoltà psicofisiche post gravidanza. Sola durante le giornate e anche la notte (inizialmente lei era rimasta a Roma mentre il marito era a Milano) piangeva e portava nel letto con sè Enzo.. “è caldo, piccolo e respira; è qualcosa che c’è, mi sta vicino e che posso toccare e sentire”.
Emerge tutta la difficoltà vissuta da Maria, i pianti, la solitudine e il dolore (cose di cui il marito era allo scuro) ed emerge il ruolo del piccolo bambino figurina che era stato attaccato al corpo della madre probabilmente nel tentativo di mantenere ancora in essere quell’iniziale simbiosi madre-figlio; simbiosi di cui anche il genitore ha, inizialmente, bisogno.
Enzo aggrappato al corpo della madre sembra incuriosito dai giochi in studio; se inizialmente i genitori sembrano restii sostenendo “non giocherà mai da solo”.. pian piano sentono che Enzo non è una figurina da attaccare un po’ dove gli pare.. sembrano lentamente capire che quella colla adagiata su quella sottile carta sta lentamente perdendo il suo “potere collante” e che ognuno può da sè, in interdipendenza con l’altro, spostarsi e essersi accanto senza per questo incollarsi ai vestiti dell’altro.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.