Il neonato è infatti fin da subito capace di rispondere agli stimoli ambientali tanto che egli non è uno spettatore passivo di quanto lo circonda quanto -piuttosto- il primo attore dell’ambiente in cui è calato. Il neonato riesce, infatti, a rispondere alle stimolazioni che vengono lui poste, attuando tutta una serie di segnali di risposta.
Il piccolo dell’uomo risponde (ad esempio girandosi) quando sente il richiamo della voce umana e ha a sua disposizione come strumenti atti alla comunicazione, il pianto e -poco dopo- il sorriso.
Distinguere in maniera troppo “semplicistica” in una dicotomica “comunicazione verbale VS comunicazione non verbale”, rischia di mettere sullo sfondo troppi elementi che concorrono all’atto/processo comunicativo stesso se prendiamo ad esempio, come riferimento, lo sviluppo che il bambino segue nel primo anno di vita.
Prima che il bambino acquisisca la competenza linguistica, possiede una competenza comunicativa che avviene attraverso canali e modalità non verbali tanto che possiamo sostenere che i sistemi di comunicazione preverbale costituiscono la base per l’acquisizione del linguaggio.
C’è un graduale passaggio tra comunicazione non verbale prelinguistica e linguaggio: le modalità non verbali utilizzate dal bambino per comunicare vengono gradualmente trasferite alla competenza linguistica.
“L’acquisizione della comunicazione intenzionale, insomma, precede la comparsa del linguaggio (Greenfield, Smith, 1976) e, verso la fine del primo anno di vita, il linguaggio non va a sostituire la precedente comunicazione gestuale quanto, piuttosto, realizza una espansione del repertorio comunicativo del bambino (Camaioni, 1996).
La comunicazione non verbale svolge pertanto innumerevoli funzioni tanto da poter essere considerata un “linguaggio di relazione”, mezzo principale per comunicare ed esprimere le emozioni; unitamente a ciò, la comunicazione non verbale ha un ruolo simbolico molto importante in quanto concorre ad elicitare (nella forma non verbale) atteggiamenti circa l’immagine di sé, del proprio corpo e partecipa alla presentazione di sé agli altri.
Altra caratteristica della comunicazione non verbale è la sua funzione metacomunicativa in quanto fornisce elementi per interpretare il significato delle espressioni verbali (è infatti meno sottoposta, rispetto al linguaggio, al controllo consapevole e lascia trapelare maggiormente i contenuti più profondi dell’esperienza umana).
La comunicazione non verbale regola inoltre l’interazione poiché permette la sincronizzazione dei turni e delle sequenze fornendo dei feedback.
E qui.. si situa lo straordinario potere del sorriso.
L’atto comunicativo è qualcosa di molto più complesso del semplice uso della parola; abbiamo infatti un linguaggio verbale e un linguaggio non verbale. All’interno del linguaggio non verbale il sorriso assume un ruolo spesso altamente sottovalutato. Il sorriso è il “nostro” primo atto comunicativo, basti pensare che il neonato comincia proprio a comunicare con l’altro, utilizzando il sorriso stesso. Attenzione però.. il sorriso non ha necessariamente una valenza solo positiva.
Il termine comunicare anticamente significava “mettere in comune”. Poi nel corso del tempo il significato si è evoluto in: far conoscere, far sapere, divulgare, diffondere, rendere partecipe di un sentimento.
Si può comunicare a parole (comunicazione verbale) o con i gesti, attraverso le nostre espressioni del viso e la postura del corpo (comunicazione non verbale). Possiamo persino comunicare stando semplicemente in silenzio. Insomma.. come direbbe Paul Watzlawick: “Non si può non comunicare“. Buon Ascolto.
Psicologia. L’importanza della Comunicazione (P. Watzlawick – I Assioma) – PODCAST – In viaggio con la Psicologia
Psicologia. L’importanza della Comunicazione (P. Watzlawick – I Assioma) – PODCAST – Spotify
La nostra prossima tappa ci farà comprendere una delle sfaccettature della comunicazione umana, andremo infatti ad osservare più da vicino due fenomeni che caratterizzano gli aspetti patologici della comunicazione e della relazione umana.
Parleremo di comunicazione squalificante e di disconferma.
Non possiamo non comunicare. Quando ci relazioniamo con qualcuno tutto di noi ci offre indicazioni più o meno precise su cosa vorremmo dire o fare.. del resto impariamo a comunicare già da prima di nascere. Buona lettura!
Mi è capitato ieri durante un paio di sedute di terapia e poi ancora stamattina nel mio studio con un’altra paziente, (seppur in maniera diversa) una coincidenza strana. In qualche modo il focus delle terapie, in queste tre sedute, si è incentrato in maniera consistente sugli aspetti comunicativi delle relazioni interpersonali e familiari. Questo intreccio di coincidenze relazionali mi ha sorpreso e mi ha spinto a coinvolgere anche voi in questo fondamentale aspetto della nostra quotidianità.
Il termine comunicare anticamente significava mettere in comune. Poi nel corso del tempo il significato si è evoluto in: far conoscere, far sapere, divulgare, diffondere, rendere partecipe di un sentimento; ( comunicare la propria tensione ). Si può comunicare a parole (verbale) con i gesti oppure attraverso le nostre espressioni del viso e la postura del corpo (non verbale). Possiamo persino comunicare stando semplicemente in silenzio.
Siamo proprio certi che le nuove tecnologie, che i nuovi mezzi di comunicazione, ogni anno sempre più raffinati e potenziati siano veramente in grado di “avvicinarci” ?
Tra “me” e l’altro si è in maniera prepotente inserito un mezzo tecnologico che promette di far “rete”, di creare connessioni. La questione è che le persone comunicano tra loro non solo attraverso le parole, ma anche attraverso la comunicazione “analogica” (non verbale). Lo stare insieme, vicini, sentire la presenza reale dell’altro è un’esperienza che difficilmente può essere sostituita. Il rischio, in “assenza di presenza”, che si corre è quello di alimentare il senso dell’assenza con un’inebriante illusione della presenza. Essere solo, in presenza degli altri, gruppi di persone anonime e distanti.
Le persone costrette all’uso smodato dell’intermediario tecnologico, perdono la loro abilità sociale, quel senso del reale, dello stare assieme a livello umano, emotivo, psicologico.
“L’incontro con l’altro, o con gli altri, è sempre stata l’esperienza comune e fondamentale per il genere umano “
Mi è capitato ieri durante un paio di sedute di terapia e poi ancora stamattina nel mio studio con un’altra paziente, (seppur in maniera diversa) una coincidenza strana. In qualche modo il focus delle terapie, in queste tre sedute, si è incentrato in maniera consistente sugli aspetti comunicativi delle relazioni interpersonali e familiari. Questo intreccio di coincidenze relazionali mi ha sorpreso e mi ha spinto a coinvolgere anche voi in questo fondamentale aspetto della nostra quotidianità.
Il termine comunicare anticamente significava mettere in comune. Poi nel corso del tempo il significato si è evoluto in: far conoscere, far sapere, divulgare, diffondere, rendere partecipe di un sentimento; ( comunicare la propria tensione ). Si può comunicare a parole (verbale) con i gesti oppure attraverso le nostre espressioni del viso e la postura del corpo (non verbale). Possiamo persino comunicare stando semplicemente in silenzio.
Le radici – Immagine personale
In tutti i diversi sistemi relazionali in cui le persone vivono e interagiscono c’è comunicazione. Attraverso la comunicazione e le relazioni le persone nei diversi contesti co-costruiscono ciò che sono.
“Non si può non comunicare”
Watzlawick, Beavin e Jackson (1967)
Questa affermazione implicherebbe il fatto che se siamo coinvolti in una interazione è impossibile sottrarci dal comunicare qualcosa. Ciò implica che bisognerebbe essere più consapevoli di come ci interfacciamo e interagiamo con gli altri e come queste persone con cui comunichiamo rispondono a tali segnali, al significato relazionale di questo processo e alla posizione che occupiamo all’interno della relazione.
Ma le prime esperienze comunicative partono da molto lontano, hanno inizio con le relazioni sociali primarie (i genitori o altre figure significative).
Le nostre prime comunicazioni (genitore-figlio) hanno inizio prima della nascita. E’ quello che potremmo definire dialogo intrauterino madre-figlio. Al 5° mese di gestazione “il feto risponde a stimolazioni pressorie e di temperatura di oggetti posti sulla parete addominale” (Di Sano, Esposito,2001);
Quella tra madre e figlio è una comunicazione costante, infatti il feto “lancia” messaggi alla mamma e lei risponde socializzando e interpretando anche con fantasie sull’evento.
Questa modalità comunicativa e il comportamento che ne consegue inseriscono il feto a pieno titolo nella vita di relazione prendendo parte al dialogo familiare.
Le prime relazioni di attaccamento e i rispettivi stili comunicativi con le figure significative daranno un impronta forte e contribuiranno a formare modelli relazionali della nostra futura vita di relazione e che quindi influenzeranno, nel bene o nel male, i nostro modo di interagire e comunicare con gli altri. Questi modelli vengono chiamati “Modelli Operativi Interni” e sono definiti come “la rappresentazione interna che un individuo ha di se stesso, delle proprie figure di attaccamento e del mondo, nonché delle relazioni che legano tali rappresentazioni tra loro” (Loriedo e Picardi, 2000).