Oggi vorrei parlarvi di una cosa molto comune in particolare tra gli studenti universitari, ma non solo: l’ansia da valutazione. Questa “tipologia” di ansia, può incidere così tanto su uno studente, da arrivare a “costringerlo” a rinviare un’infinità di volte un esame.
Il ritardo con cui si decide di affrontare la prova, dipende da numerosi fattori tra i quali il grado di pericolosità percepita e la tendenza, che tante persone hanno, a rimandare scelte e decisioni: la procastinazione.
Da alcuni studi effettuati all’Università di La Verne, in California, si è potuto dedurre che la severità della valutazione interagisce con la tendenza individuale alla procastinazione in maniera complessa. Ciò vuol dire che gli studenti che hanno una maggiore predisposizione alla procastinazione tenderanno ad essere più condizionati da una “probabile”valutazione severa del loro compito o del loro esame. Gli stessi studenti, invece, alle prese con un compito e una situazione poco minacciosa e severa, saranno addirittura più veloci degli altri studenti.
La procastinazione potrebbe essere ridotta, provando a controllare e gestire l’ansia da valutazione sui temperamenti individuali. Infatti, i grandi procastinatori, hanno in genere alti livelli di perfezionismo e insicurezza circa le proprie prestazioni; risentono – inoltre- moltissimo del giudizio altrui e delle valutazioni severe.
In genere un supporto psicologico mirato può dare ottimi risultati e quindi aiutare i grandi procastinatori a gestire meglio l’ansia, comprendere la fonte delle proprie incertezze e insicurezze, e trovare nuove strategie di adattamento agli esami.
“Pensare che non l’ho, sentire che l’ho perduta. Sentire la notte immensa, più immensa senza di lei”.
Pablo Neruda.
Sarà capitato anche a voi di sentire o di sapere che – in seguito alla pandemia- qualche coppia, si sia detta “addio”.
Negli ultimi mesi, c’è stato un boom di richieste di incontri di consultazione*.
La maggior parte delle richieste contiene al suo interno domande, incertezze e disagi legati alla fine di una qualche relazione; il tema spesso concerne la scomparsa di una qualche persona, l’abbandono..
Mi colpì profondamente un ragazzo che si presentò al colloquio con tanto di anello comprato per chiedere “la mano” della ragazza.
“Volevo solo qualcuno disposto a restare e a non scappare..
Qualcuno su cui contare e che stesse lì senza necessariamente il bisogno di sapere..
Qualcuno che – almeno per una volta- cercasse invece di esser sempre cercato”.
C.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.
*La consultazione può essere – molto brevemente- definita come uno scambio relazionale che avviene tra un professionista e una persona in difficoltà che chiede una consulenza. Non è una psicoterapia breve (non ci saranno pertanto poche mosse strategiche da mettere in atto per risolvere il problema), né tanto meno si tratta dell’incipit di una lunga psicoterapia.
La consultazione psicologica è l’esperienza all’interno della quale si va a valutare una domanda di aiuto, contenendo al suo interno anche il destino della stessa. E’ un intervento di sostegno in termini di chiarificazione, di durata relativamente breve (dai 3 ai 5 incontri) regolata da un contratto tra terapeuta e consultante attraverso cui vengono definiti obiettivi, durata e frequenza degli incontri.
Non serve rinnegare le nostre paure, i nostri tormenti, le nostre ansie fingendo che non esistono. Non andranno andranno via da sole. Rinnegandole resteremo in qualche modo sempre ancorati ad esse e come quel viandante non riusciremo mai a vederci chiaro, ma saremo costretti a vagare nell’oscurità, solo perché ci sembrerà troppo difficile cercare la luce.
Solo affrontando e comprendendo la nostra apprensione, avremo una possibilità di vederci chiaro.
Nell’ultimo anno diverse cose sono cambiate nell’assetto psichico delle persone, così come in coloro (che della loro salute mentale), si prendono cura.
Lavorare in tempo di pandemia nell’ambito della prevenzione e del benessere psicologico è quanto mai complesso, difficile e stancante.
A stancare non è la carenza di motivazione, l’interesse, il piacere. Scegli questo percorso per atto di amore (evitiamo quei discorsi vecchi e futili sullo studiare psicologia perchè hai problemi irrisolti, drammi esistenziali o fantasie narcisistiche); possono esserci – come in ogni ambito- persone più o meno mosse da questi punti ma fare un insieme unico, mi sembra un ragionamento euristico che poco ha di concreto.
Penso oggi a l’anno che è stato. Penso al Tribunale dei Minori e alla sospensione delle udienze, per mesi; ai centri di accoglienza per gli immigrati chiusi, agli sportelli di ascolto chiusi, ai centri di riabilitazione chiusi, al personale ridotto e/o licenziato.
Penso a Vittoria (nata Raffaele), alla sua transizione interrotta e alla convivenza forzata, in tempo di covid, con il padre che ne ha approfittato per fare lui la terapia alla figlia – a suon di botte- perchè “meglio un figlio morto che frocio”.
Penso a Monica e Guido, ai loro 4 anni fatti di una gravidanza interminabile, alle loro vite rivoltate come cassetti, da mani indiscrete, e al loro sogno di adottare un bambino interrotto 2 settimane prima della partenza.
Penso a Salvatore che in carenza di supporto psicologico, è ritornato alla droga. Salvatore non c’è più.
Penso ad Anna alle sue paure, alla psicosi puerperale e al terrore sperimentato “voglio uccidere mio figlio”.
Lucia sola in casa con i suoi deliri; fagocitata dalle ombre nere che le impongono di prendere un coltello e tagliarsi per perdere sangue fino a svenire.
Gaia e Maurizio che non hanno potuto portare la loro bambina affetta da una rara sindrome, all’estero.
Non sono etichette o diagnosi, sono storie ma sono soprattutto persone.
Hassan, Ismael, Nadir, Aisha, Kalima, Halima, Zaira, Amin.. ai loro immensi occhi neri e scuri. Ai centri di accoglienza chiusi – letteralmente- dalla sera alla mattina. Ai miei colleghi che sono finiti per strada senza la possibilità di preavviso, senza poter trovare un lavoro, senza giustifiche con le mogli o le fidanzate.
A questi ragazzi sopravvissuti al mare e alle mazzate della Libia.
Penso poi a Felice, ristoratore che ha dovuto chiudere e licenziare 12 dipendenti; al suo suicidio tentato per due volte.
Penso poi ad Emanuela e al dubbio lacerante che il marito sia il mostro.. artefice della violenza sessuale usata alle sue bambine.
L’elenco potrebbe continuare.
Queste sono alcune delle persone che in tempo di pandemia, hanno visto la loro vita ridefinita. Sono le stesse persone che insieme a molti colleghi coraggiosi, guardiamo negli occhi ogni giorno.
Alcuni colleghi (donne, in particolare) non sono riuscite a tenere il contraccolpo psicologico della pandemia e hanno abbandonato pazienti e lavoro. Molti colleghi, come me, prestano servizio gratuitamente per il territorio che amano e difendono senza fare chiacchiere ma con i fatti; dimenticati dalle istituzioni, dalla politica (tutta) e dal loro ordine.
So cosa vuol dire pandemia, covid; so cosa vuol dire implicazione psicologica della pandemia, ridefinizione dello spazio corporeo, personale e sociale.
So cosa vuol dire essere stanchi e vedere la stanchezza negli occhi delle persone che ogni giorno ti guardano in attesa di una risposta che – comunque- non potresti e che in ogni modo, non conosci.
La pandemia, insieme ai miei colleghi, la guardo ogni giorno negli occhi e ce la portiamo a casa quando la nostra mente invece che trovare pace, resta invasa dai fantasmi delle richieste, delle storie e delle vite interrotte.
Le nostre, in primis.
Questa cosa così fastidiosa – parola di soggetto allergico e asmatico- va SEMPRE messa. Ti salva la vita.
“S. si presenta in studio su insistenza della moglie. S., entra in studio mostrando aria di superiorità guardandosi intorno con occhi sgranati che esprimono una certa altezzosità; il collo dritto e rigido sembra dire – io sono al di sopra-.
S., viene descritto dalla moglie come egoista, insensibile e centrato solo intorno al suo lavoro; la moglie sostiene inoltre che lui non partecipi più di tanto al bilancio familiare oltre che a tutta l’economia domestica – sono stufa di essere quella che cucina sempre, lava, stira e lavora- dice.
S. non sembra toccato minimamente dalle parole di sua moglie (che comunque lo descrive come un uomo fondamentalmente buono, anche se più che una moglie, lui vuole una madre).
S., lavora nel settore commerciale anche se dice di avere un profondo animo artistico a cui, non vede l’ora di dedicarsi appena ha tempo libero. I suoi rapporti con i colleghi sono soddisfacenti anche se viene descritto come freddo e snob; inoltre S., sostiene di non saper come condividere con gli amici pensieri, sentimenti e di preferire la propria compagnia a quella degli altri”.
Ho deciso di dare spazio a questo disturbo di personalità in quanto è attualmente stra abusato il termine “narcisismo”. Ciò che ho notato, concerne soprattutto le varie piattaforme online dove il “partner narcisista covert” sembra ormai essere il più frequente e maggiormente descritto da tutte le riviste e/o canali youtube dedicati al mondo femminile.
E’ possibile riassumere in “lui è un narcisista” il motivo del fallimento della propria relazione?
La caratteristica principale delle persone con disturbo narcisistico di personalità è un’idea grandiosa di sè, il forte desiderio di essere ammirate e la mancanza di empatia nei confronti degli altri (APA,2000).
Convinte della propria bellezza, del proprio successo e fascino si aspettano costantemente ammirazione e attenzione. I narcisisti si vantano continuamente dei propri talenti e successi; appaiono arroganti perchè hanno continuo bisogno di elogi che, se mancano, indicano che l’altro non “ha capito nulla” ed è sicuramente inferiore (intellettivamente, in termini estetici e così via).
Si tratta di persone molto esigenti nella scelta delle amicizie o partner e possono essere comprese solo da coloro che sono “davvero speciali”; un’altra caratteristica fondamentale è che inizialmente questi soggetti danno una buona impressione ma di rado, riescono a conservare relazioni a lungo termine.
Gli individui con disturbo narcisistico di personalità di rado mostrano interesse per i sentimenti degli altri e di converso usano le persone per raggiungere i propri scopi. Nonostante l’autostima ipertrofica, questi soggetti reagiscono molto male alle critiche arrivando a veri e propri scoppi d’ira; altre reazioni sono fredda indifferenza, uso estremo di pessimismo o depressione (si alternano periodi di entusiasmo e fasi di abbattimento).
Tale disturbo si manifesta nell’1% della popolazione di cui il 75% sono maschi. Comportamenti o pensieri di tipo narcisistico sono frequenti in adolescenza, senza per questo indicare che nel futuro, si svilupperà tale disturbo.
Tra i disturbi di personalità è quello più difficile da trattare poichè i pazienti non riconoscono la propria debolezza e il comportamento che mettono in atto verso gli altri (oltre alla mancata accettazione delle critiche). I pazienti che arrivano in studio di solito lo fanno per problemi collegati ad altro (ad esempio la depressione o come nel caso di S., l’esigenza di una consulenza matrimoniale).
Una volta in studio, questi pazienti possono tentare di manipolare il terapeuta facendo leva sul proprio senso di superiorità arrivando a proiettare quest’ultimo provando sentimenti ambivalenti verso il terapeuta stesso, amato e odiato.