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Psicoanalisi, nevrosi e demonio

“Gli stati di possessione demoniaca corrispondono alle nostre nevrosi.”

Sigmund Freud

Freud fu molto incuriosito e affascinato da quei fenomeni comportamentali e psichici inspiegabili (per la sua epoca). Già durante i suoi primi studi, quando era ancora allievo di Charcot era riuscito a risolvere uno storico equivoco, per quel periodo, legato al fatto che venivano confuse le crisi convulsive e le conversioni isteriche, con l’epilessia.

Freud sempre in quel periodo e anche successivamente restò impressionato dalle analogie della sintomatologia delle pazienti isteriche con i comportamenti dei cosiddetti indemoniati del Medioevo.

Edvard-Munch-Sick-mood-at-sunset.-Despair-1892

Il suo interesse culminò nella scrittura di un saggio nel 1922 “Una nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo”. In questo saggio analizzava e interpretava alcuni scritti (“Trophaeum Mariano-Cellense“) e documenti, provenienti dal santuario di Mariazell, in Carinzia, che raccontavano di un pittore bavarese di nome Christoph Heitzmann.

Siamo nel 1677 e negli scritti si legge che il pittore Christoph, approdato nel santuario di Mariazell con forti crisi convulsive, confessa poi al parroco che, nove anni prima, andando molto male il suo lavoro e la sua ispirazione artistica, fu tentato ben nove dal Maligno. Alla fine aveva acconsentito ad “appartenergli con il corpo e con l’anima quando fossero trascorsi nove anni”.

Freud scrive che i demoni: ” sono soltanto desideri ripudiati, che derivano da moti pulsionali, per lo più sessuali, respinti e rimossi dalla coscienza. Secondo una precisa fantasia paranoica, la parte inconscia cattiva veniva scissa e proiettata sull’immagine del diavolo, che diventava poi un persecutore”.

“Non dobbiamo stupirci se le nevrosi di queste epoche passate si presentano sotto vesti demoniache, mentre quelle della nostra epoca psicologica assumono sembianze ipocondriache travestendosi da malattie organiche”…

Sigmund Freud

Dopo un’attenta analisi Freud concluse che probabilmente Christoph soffriva di melanconia (depressione maggiore) e non riusciva, a causa della sua malattia, a continuare a lavorare e a vivere nel modo in cui era abituato, precedentemente alle sue prime crisi (che coincidevano con la morte di suo padre).

Insomma non era il demonio a tormentare il pittore, ma come chiosò Freud: “Christoph Heitzmann era solo un povero diavolo…”

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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L’utero è mio: F.

Photo by Hoang Loc on Pexels.com

“Perchè dovete fare i conti con il mio utero?”

F. urlava a gran voce il desiderio – che diventava quasi un bisogno urlato in maniera sorda ma incessante- di voler scegliere del proprio corpo, della propria vita.

F. è una bellissima donna di 35 anni, appare sicura e ha lo sguardo sincero e limpido; i suoi occhi sanno di vita conquistata passo dopo passo, senza chiedere niente a nessuno.

La donna ha chiesto dello psicologo perchè tormentata dalle richieste di chi a 35 anni la vuole madre e moglie.

“Non fanno altro che dirmi che devo muovermi.. che è tardi.. che sono vecchia.. che sarò la nonna dei miei bambini.. E quando rispondo che figli non ne voglio.. mi dicono che sono una persona orribile! Ma la smettono di fare i conti con il mio utero?”

F., ha urlato così tanto il bisogno di vivere la propria vita da aver perso la voce.

F., ha inizialmente mostrato una sempre crescente difficoltà a pronunciare alcune parole (ad esempio sediolino, tavolino) fino a giungere a una afasia sempre più presente e forte.

Le prime parole che F., ha smesso di pronunciare rimandavano in termini quasi onomatopeici o per similarità acustica (o desinenza) al termine bambino: tavol-ino/ bamb-ino… sediol-ino/bamb-ino.

Sembrava esserci stato uno scivolamento del significato dal simbolico, sul piano del reale creando una sostituzione dove nell’impossibilità di attestare la mancanza di un bambino, F., ha cominciato lentamente ad eliminare termini che ad esso, per linee associative, rimandassero.

Poco alla volta F., ha ridotto sempre più il suo vocabolario convertendo nel somatico il proprio disagio psichico

“Quando smetteranno di dirmi quel che devo essere?”.

“Io voglio essere come i bambini; magari se torno una bambina tutti torneranno ad amarmi”

“I bambini non parlano”.

F. sta seguendo un percorso di riabilitazione psichiatrica che prevede la centralità, oltre alla cura farmacologica, della psicoterapia familiare. Tutti i membri della sua famiglia (attivazione della rete di supporto familiare), sono membri attivi del percorso di riabilitazione di F.

Quando i membri di una famiglia si mettono tutti in gioco, diventando membri di una squadra che procede tutta verso lo stesso obiettivo, i risultati riescono ad essere non solo più veloci, ma anche duraturi.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.