
Certe lingue, con il loro portato di storie, suoni, dominazioni e culture, sono sempre avanti (più di noi -umani- e dei nostri complotti).
Esiste un suono (quello di una vocale indistinta), il suono neutro che evita l’imbarazzo (per certi) della non corrispondenza del genere e del sesso biologico; un suono potente (con buona pace di chi ancora crede che le parole non siano importanti), rappresentato da una piccolissima letterina che lì, si mostra nella sua strabiliante potenza; una potenza narcisisticamente affascinante che sa abbattere anche chi, per non accettare un famoso DDL, ha riportato in essere l’espressione “margaritas ante porcos”.
“ə”
Lo schwa si trova anche nell’alfabeto fonetico internazionale, il sistema riconosciuto (a livello internazionale) per definire la corretta pronuncia delle lingue scritte esistenti.
Nel sistema fonetico lo schwa identifica una vocale intermedia, il cui suono si pone esattamente a metà strada fra le vocali esistenti. Si pronuncia tenendo rilassate tutte le componenti della bocca, senza deformarla in alcun modo e aprendola leggermente.
Per quanto concerne la storia dello schwa (storia che mi trovo a dover comprimere), sembra che il termine sia comparso per la prima volta nell’ebraico medievale parlato da un gruppo di eruditi intorno al decimo secolo dopo Cristo; in generale comunque quel che sappiamo è che a un certo punto la parola schwa fu utilizzata per definire i due puntini che nell’ebraico biblico, posti sotto una consonante, indicano una vocale brevissima o l’assenza di una vocale.
La lingua napoletana e lo schwa.
La morfologia del dialetto napoletano è costituita dalla quasi totale assenza delle vocali finali, di solito sostituite da un suono indistinto, registrato nell’IPA (alfabeto fonetico internazionale) proprio con la trascrizione fonetica dello schwa. Accade però che alcune parole perdano il morfema del femminile e maschile e allora come si fa in questa lingua ad individuare il genere?
Ecco che si giunge ad usare il raddoppiamento fonosintattico, la variazione metafonetica; fenomeni molto spesso imprevedibili certo non classificabili facilmente come nella dimensione binaria, dell’italiano.
Con la lingua napoletana tutto si risolve “tuttə quantə ‘cca?” (tutti quanti qua?) oppure il fantastico mammətə..
La sociolinguista Vera Gheno esalta le potenzialità dello schwa perché -spiega- è un suono pronunciabile, indistinto per i generi indistinti, è sperimentale, non stona in un testo. La sociolinguista ricorda -infatti- che la lingua si modifica in base all’uso oltre a sostenere che lo schwa ha un suono esotico dall’indiscusso appeal (con buona pace di chi allo ə inorridisce perchè il suono è un po’ troppo da neomelodico tamarro…)
Certo in alcuni paesi della provincia il suono di certe vocali chiuse e cafone (do you know the Afragolese?) è tutto tranne che esotico e per alcuni anche un po’ troppo maschilista.
Ma il senso del post?
Nulla di troppo forbito.. e senza scomodare il linguista svizzero Ferdinand de Saussure che ho pure studiato, insieme alla psicoanalisi (e non chiedetemi perché, ma il senso c’è), volevo solo sorridere e forse anche riflettere.
Sorridere soprattutto perché di tutto quello che per una vita può farti ombra che certe volte vorresti non vedere (nemmeno riflessa) e sentire (tanti hanno da storcere il naso per certi accenti.. ma.. c’amma fa, La storia è storia…) Niente.. d’improvviso quest’ombra ti si veste a cappotto invernale, caldo e avvolgente per mostrarti che la tua lingua, ti ha decisamente insegnato a campare, bypassando tanti drammi linguistici a cui oggi, siamo esposti.
(Lo schwa -ovviamente- è presente in molte altre lingue, d’altronde.. tutto il mondo è paese, no?).
La questione è che il neutro esiste da sempre e francamente piuttosto che un generico asterisco che deumanizza completamente manco codice a barre della confezione di salumi dell’iper, magari… ‘nu bell schwa, pure neomelodico dal richiamo arabeggiante, è più inclusivo (e sonoro).
Salut a tuttə quantə
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.