Nel bene o nel male sono le nostre scelte e la nostra volontà a direzionare il nostro percorso di vita. Abbiamo sempre la possibilità di decidere e cambiare, dipende dalla nostra volontà di farlo.
Gli atomi isolati sono in generale energeticamente instabili e tendono spontaneamente a legarsi tra loro attraverso reazioni chimiche poiché in tal modo raggiungono una configurazione elettronica più stabile.
La formazione del legame coinvolge gli elettroni periferici, detti elettroni di valenza.
La valenza corrisponde al numero di elettroni che ogni atomo mette in gioco nella formazione dei legami chimici. Pertanto un elemento viene definito monovalente, bivalente, trivalente ecc. a seconda della sua capacità di mettere in gioco uno, due, e così via, elettroni.
I gas nobili sono molto stabili: essi presentano una configurazione elettronica esterna costituita da otto elettroni. Sulla base di questa osservazione è stata enunciata la regola dell’ottetto: ogni atomo tende, attraverso la formazione di legami chimici, ad acquistare, a perdere o a mettere in compartecipazione elettroni fino a raggiungere una configurazione elettronica esterna stabile costituita da otto elettroni.
Le lezioni di chimica mi sono ritornate alla mente, oggi, quando una ragazza parlando di una data situazione, innanzi al mio
“Mi sembra che questa situazione le inneschi sentimenti ambivalenti.. Cosa ne pensa a riguardo?”
ha risposto:
“Dottorè mi sento trivalente, altro che ambivalente!”
Ho ripensato alla questione dei legami.. al cedere e acquistare elettroni.. alla stabilità e all’instabilità..
“Credo sia giunto, per lei, il momento di cedere un elettrone“
“E se il legame non avviene, Dottorè?”
“Allora sta pensando, per la prima volta, di cedere qualcosa.. da qualche parte..”.
Nel 1964 a New York, un triste caso balzato alle cronache diede il via a tutta una serie di ricerche nell’ambito della psicologia sociale. Una donna di nome Kitty Genovese venne aggredita durante la notte da un uomo che armato di coltello la colpì ripetutamente, fino a lasciarla a terra agonizzante. Kitty Genovese urlò così tanto, da svegliare 38 persone che ben presto si affacciarono alla finestra. Queste persone riuscivano a vedere cosa stesse accadendo in strada e si vedevano l’un l’altro; nonostante ciò, nessuno di loro chiamò la polizia prima di mezz’ora. Durante questo tempo di stallo però, l’assassino non stette parimenti con le mani in mano, ma anzi.. ebbe tempo di ritornare indietro e continuare ad infliggere ulteriori coltellate alla donna la quale, ben presto morì.
Cosa era accaduto?,Perché nessuna di quelle 38 persone chiamò la polizia non appena Kitty Genovese iniziò ad urlare? Gli psicologi hanno pertanto cercato di indagare sperimentalmente la questione, per provare ad evidenziare quali possano essere degli elementi legati alle circostanze che possono influire (spesso in modo determinante) sulla dimensione altruismo/egoismo, prima di mettere in atto una determinata decisione (che spesso andrebbe presa, come in questo caso, in pochi secondi).
Una delle spiegazioni maggiormente utilizzate dagli psicologi, concerne la possibilità di andare a considerare non i vantaggi (per l’individuo o la specie) del comportamento altruistico (in questo caso la possibilità di salvare una vita, o di sentirsi utili), ma le circostanze che, a parità di altre condizioni, rendono più frequente aiutare o meno un’altra persona.
L’ipotesi proposta di basa sul concetto di assunzione di responsabilità: quanto più un individuo si sente investito della responsabilità di intervenire (per aiutare qualcuno o porre rimedio a una determinata situazione), tanto più è probabile che lo faccia. Sono svariate le circostanze che determinano l’essere o il sentirsi responsabili; tra queste ad esempio avere una posizione di “potere” , come essere il capogruppo o il leader. Altre volte sono circostanze accidentali (come il numero degli individui che si trovano sul luogo di un incidente) a determinare se un individuo che chiede aiuto, sarà o meno soccorso. Cosa c’entra quanto appena detto, con il caso di Kitty Genovese?
Due psicologi sociali John Darley e Bibb Latanè, hanno dedicato gran parte della loro ricerca al fenomeno dell’assunzione di responsabilità. Secondo i due autori, è possibile riassumere in cinque punti il processo che porta a prendere o meno la decisione di intervenire.
si presenta una situazione (almeno potenziale) di pericolo
la situazione deve essere definita come un caso di emergenza
la persona che viene a conoscenza del pericolo deve sentire la responsabilità di intervenire in aiuto
questa persona deve avere qualche idea su cosa fare per aiutare
la persona accorre in aiuto.
Il focus delle ricerche dei due autori riguarda il punto 3. Gli psicologi hanno infatti studiato in maniera approfondita le condizioni nelle quali un individuo si sente più o meno responsabile di ciò che accade al suo prossimo.Ciò che viene evidenziato è che non sono tanto importanti le caratteristiche (personalità) di chi deve prestare aiuto, o quelle della persona da aiutare; non è altresì importante l’eventuale pericolosità o gravità dell’intervento. L’ipotesi di Darley e Latanè è invece: quanto più numerose sono le persone che in una data circostanza di pericolo o emergenza sono effettivamente in grado di accorrere in aiuto, tanto meno ciascuna di loro si sentirà investita della responsabilità di agire. In sostanza ciascuno penserà “perchè devo farlo io, sicuramente lo avrà già fatto qualcun altro”.
Sembra quindi che quella sera l’unica “colpa” di Kitty Genovese, sia stata che troppe persone abbiano udito le sue urla disperate.
E voi? Avreste aiutato Kitty Genovese? Pensate di essere persone altruiste oppure no?