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Depersonalizzazione- Derealizzazione.

Ti è mai capitato di non sentire una parte del tuo corpo? Di sentire quella terribile sensazione di estraneità, quasi come se il corpo non ti appartenesse?

Questa sensazione è sperimentata da coloro che soffrono del Disturbo di depersonalizzazione derealizzazione; un disturbo che può spesso essere particolarmente invalidante tanto da rendere impossibile vivere anche la più banale delle azioni quotidiane.

Buon Ascolto e Buon Viaggio.

Note per l’ascolto: Al fine di rendere più fruibile e piacevole l’ascolto, ti invito ad indossare gli auricolari. Il tono della mia voce  è volutamente basso. L’inizio della traccia prevede una tonalità adatta per portare te in uno stato di rilassamento; quella specifica frequenza serve a renderti comodo, rilassato e ricettivo. Nel centro della traccia, la tonalità sale e la prosodia diventa maggiormente discorsiva per rendere la sensazione di star parlando in tranquillità senza scendere in tecnicismi eccessivamente freddi. Sul finire la prosodia e il flusso diventa libero. La sensazione data diventa quella di due amici che si salutano. Se ti va, come qualcuno ha fatto, lasciami pure un tuo feedback; stiamo lavorando per rendere l’esperienza maggiormente fruibile, rilassante e interessante.

(Ah.. resta poi la questione della natura: la mia voce  è bassa, eheheh).

Grazie mille!

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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Sono esausto! Quando lavorare diventa una forma di disagio a tutti gli effetti.

 

Lavorare è un termine che fin dalla sua etimologia latina “labor” (fatica), mostra il carattere di sofferenza, dolore, insito nell’azione stessa. Strizzando l’occhio anche al resto d’Europa, la situazione non cambia : per i francesi “travaillè” indica dolore, per i tedeschi “Arbeit” comporta “servitù”.

Com’è pertanto possibile che l’attività che dovrebbe rendere l’uomo artefice della propria esistenza , consentendogli non soltanto di provvedere al proprio (e familiare) sostentamento, ma anche la sua piena espressione, possa essere fonte di sofferenza e dolore?

Attualmente il mondo del lavoro continua a subire profondi cambiamenti, appare dunque difficile darne una descrizione dovendo muoversi tra contratti sempre più inesistenti, orari di lavoro sempre più lunghi e mal pagati, qualifiche prima richieste (obbligando il personale a ricorrere magari a corsi a pagamento), per poi sentirsi dire in un secondo momento, che “le troppe qualifiche” non servono per il posto da occupare. In questo mondo così vacillante e incerto , anche coloro che magari un posto “fisso” lo hanno, possono incorrere in difficoltà.

job burnout

Burnout – esempio di stress cronico.

Il burnout indica un disagio professionale esito di uno stress cronico, identificato dapprima nell’ambito delle occupazioni sociali e sanitarie, fino ad estendere le proprie radici nelle diverse professioni di aiuto e in quelle in cui è fortemente richiesto lavorare rapportandosi con le persone. .

Il burnout  è caratterizzato da tre componenti:

  • depersonalizzazione: aumenta la distanza psicologica  tra l’operatore (colui che presta il servizio con il proprio lavoro) e l’utente (colui che ha bisogno dell’assistenza) che viene percepito negativamente
  • esaurimento emotivo: dovuto a eccessivo coinvolgimento emozionale che comporta una sorta di effetto boomerang, per cui l’operatore tenderà a provare sempre meno empatia
  • il senso di ridotta autorealizzazione: ci si sente incapaci di poter realizzare sia nel lavoro, che nel rapporto con gli altri, le proprie capacità e aspettative

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Il lavoratore è ancora presente sul lavoro, nel senso che continuerà ad andare quotidianamente a lavorare, ma mostra crisi d’identità, non riconoscendosi nè come persona, nè come lavoratore. La persona tenderà pertanto a mettere in atto risposte difensive come rigidità, indifferenza, apatia, oppure atteggiamenti quali comportamento aggressivo , tono della voce alto, improvvise crisi di rabbia. 

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Il burnout è in definitiva, un disagio da non sottovalutare. Bisogna sempre essere molto accorti e sensibili quando, nel mondo del lavoro, scorgiamo o avvertiamo segnali di disagio.  Non sottovalutiamo un collega (o noi stessi), se incominciamo a provare disagio quando semplicemente pensiamo di dover andare a lavoro . E’ molto importante intervenire tempestivamente al fine di contenere una possibile escalation del fenomeno.

 

Dott.ssa Giusy Di Maio