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Indicatori di Psicopatologia e Devianza (Juvenile Sex Offender).

Devianza in adolescenza.

La devianza in adolescenza è -all’interno della letteratura più recente- compresa lungo un continuum che partendo dall’agito trasgressivo adolescenziale culmina con il reato.

In tale quadro di riferimento, il reato può essere interpretato come un comportamento a forte valenza simbolica e comunicativa, attraverso cui l’adolescente manifesta un disagio evolutivo o una frattura del percorso evolutivo, e la devianza come una categoria socio-psicologica che fa riferimento alla trasgressione delle norme caratterizzanti uno specifico contesto sociale, relazionale e culturale.

Queste condotte costituiscono (a diversi livelli), segnali di un disagio rispetto al quale è necessario intervenire in maniera tempestiva per evitare che questi, si cristallizzino diventando percorsi evolutivi disadattivi.

Cosa dice la letteratura sulla devianza?

  1. le differenze di genere variano a seconda del tipo di condotta considerata (ad esempio, si registra una maggiore diffusione tra i maschi dei reati violenti contro le persone, mentre le differenze sono meno marcate per il vandalismo e la pirateria informatica o addirittura assenti per i furti nei negozi/centri commerciali).
  2. la totalità dei comportamenti devianti rilevati cresce proporzionalmente all’aumento dell’età.
  3. le manifestazioni di aggressività durante l’infanzia e l’adolescenza risultano essere strettamente collegate a forme di violenza futura.
  4. la maggior parte degli autori di reati violenti presenta antecedenti di aggressività, fra cui il bullismo.

Queste evidenze consentono di sostenere che vi sia una correlazione significativa tra atteggiamenti di prevaricazione e devianza, non solo longitudinale (va per esempio considerato che gli atti di bullismo sono possibili precursori della devianza, intesa anche in senso delinquenziale) ma anche concomitante.

Il “bullo” rischia di acquisire modalità relazionali contrastanti con le regole sociali, caratterizzate da forte aggressività e dal bisogno di dominare sugli altri; tale atteggiamento può diventare trasversale ai vari contesti di vita poiché il soggetto tenderà a riproporre in tutte le situazioni lo stesso stile comportamentale.

Quali i possibili risvolti sul lungo termine?

Può accadere che la prevaricazione (ad esempio) nel contesto scolastico, possa evolversi -in età adolescenziale e adulta- fino a trasformarsi in condotte antisociali, con implicazioni molto serie rispetto alle conseguenze giudiziarie/trattamentali.

Alcune variabili psicologiche devianti individuate nel tempo e proposte come cause efficienti della devianza minorile si sono dimostrate convincenti nello spiegare degli specifici crimini giovanili:

  1. La devianza da pulsione non arginata: le indagini cliniche sottolineano spesso nel profilo dei ragazzi devianti la presenza di un pensiero concreto che prevale su quello astratto, l’inadeguata capacità di programmazione e di decisione, un ritardo mentale correlato a comportamenti impulsivi, accompagnati invariabilmente da situazioni familiari complesse e multiproblematiche.
  2. Il condizionamento da modelli antisociali: alcune forme di devianza possono essere anche condizionate da modelli antisociali. Le identificazioni con modelli devianti e oppositivi, una diversa percezione sociale delle leggi e delle regole, l’assimilazione di principi etici “altri” per pressione della subcultura di appartenenza.
  3. La violenza difensiva: in questi casi l’adolescente vuole proteggere con la condotta deviante violenta la sua stessa autostima. Ciò è particolarmente evidente nella scarsa inclinazione dei giovani a riconoscere la propria responsabilità e nella loro incapacità a tollerare le frustrazioni.

Il minore autore di reati sessuali: Juvenile Sex Offender.

Con Juvenile Sex Offender si fa riferimento ad una categoria di individui che ha agito reati a sfondo sessuale prima di raggiungere la maggiore età (Andrade, Vincent, & Saleh, 2006; Hunter, Figueredo, Malamuth, & Becker, 2003) e che, secondo una meta-analisi internazionale, rappresenterebbe circa il 23% della più ampia categoria dei Sex Offender.

Questa popolazione è generalmente vista come la versione più giovane degli abusanti adulti; si tratta di una popolazione eterogenea da molti punti di vista come ad esempio l’età in cui attuano la violenza, età e genere delle vittime, etc.

Classificazione del Juvenile Sex Offender (un breve accenno).

Burton (2000) ha provato ad attuare una distinzione di questa popolazione in tre gruppi sulla base dell’età della prima violenza sessuale attuata e sulla cronicità o meno di tale atto. Il primo gruppo sono gli “early offenders” in quanto hanno compiuto una violenza sessuale prima dei 12 anni. Il secondo sono i “teen offenders” che invece l’hanno compiuta dopo i 12 anni e l’ultimo sono i “continuous offenders” che invece riportano una violenza sessuale sia prima che dopo i 12 anni.

Una classificazione basata sul tipo di reato commesso e sull’età della vittima è stata proposta da Graves, Openshaw, Ascione e Ericksen (1996), i quali hanno rintracciato i seguenti sottogruppi: giovani pedofili, con scarse abilità sociali e isolamento sociale, che tendono a molestare bambini (solitamente femmine) di almeno 3 anni più giovani; giovani aggressori sessuali, che agiscono contro coetanee o donne adulte, usando violenza; giovani indifferenziati, non specializzati in un tipo di crimine e/o di vittima specifici.

Fattori di rischio.

Beckett ha individuato alcuni fattori di rischio che risultano fondamentali non soltanto per prevenire eventuali recidive ma anche per identificare l’insorgenza di possibili quadri psicopatologici più gravi.

  1. per gli autori che scelgono vittime coetanee o più grandi si rileva più facilmente: commissione di altri reati; comparsa precoce durante l’infanzia di problematiche comportamentali; comparsa di comportamenti antisociali come ad esempio assenze scolastiche, aver subito durante l’infanzia o adolescenza abuso psicologico.
  2. per gli autori che scelgono vittime più piccole si rileva più facilmente: un interesse manifesto verso i bambini; un alto livello di distorsioni cognitive; basse abilità sociali; aver subito in infanzia e/o adolescenza un abuso di tipo sessuale o fisico.

Seguendo la letteratura internazionale, i principali fattori che influenzano l’insorgenza di un comportamento abusante sono:

  1. Individuali: isolamento sociale, condotta impulsiva, ridotte abilità cognitive, storia di abuso pregressa.
  2. Familiari: genitore/i abusante/i, stile di funzionamento familiare promiscuo, genitori con personalità povera e rifiutante.
  3. Sociali: ambienti degradati che rafforzano condotte e valori violenti e di coercizione sessuale, gruppi dei pari antisociali.

Sempre seguendo i dati forniti dalla letteratura, vi sono fattori di rischio riconducibili agli autori di reati sessuali e utili ai fini della costruzione di percorsi integrati di prevenzione:

  1. storia di abuso fisico e/o sessuale subito;
  2. depressione;
  3. basso livello di prestazioni scolastiche o accademiche;
  4. una storia di comportamenti antisociali (non necessariamente sessuali);
  5. rapporti familiari difficili;
  6. isolamento sociale inteso come difficoltà o incapacità di costruire relazioni tra pari;
  7. basso livello o assenza di abilità sociali e di capacità assertive;
  8. basso livello o assenza di capacità di controllare la rabbia e gli impulsi;
  9. inadeguata educazione sessuale;
  10. presenza di comportamenti violenti nell’ambito familiare.

(Cominciamo ad occuparci -e preoccuparci- seriamente, dei nostri giovani.)

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio

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A scuola con la mujer Giorgia: devianza in pillole VS Disturbi del comportamento alimentare.

“Buongiorno mujer Giorgia, come stai oggi?”

“Bene Dottoressa! Sono pronta per combattere le devianze! Anoressia! Bulimia! Obesità!”

“Giorgia.. Giorgia… Ancora con questa storia delle devianze.. Non hai letto le dispense che ti ho lasciato?”

Che cos’è -veramente- la devianza?

Per devianza si intende un comportamento che si allontana in modo più o meno pronunciato dai modelli sociali dominanti.

Si tratta di un concetto normativo perché non si riferisce ad una caratteristica intrinseca del comportamento, ma a un giudizio etico espresso su di esso e relativo poiché varia sia in base al periodo storico di riferimento che con il variare del gruppo di riferimento stesso.

Nella sociologia “devianza” assume il carattere di pericolosità nei confronti del sistema sociale (delinquenza); il dato interessante è però il fatto che -contemporaneamente- tale devianza si rivela funzionale al sistema stesso poiché costituisce da un lato una possibilità di innovazione e dall’altro, una valvola di sfogo alle tensioni sociali attraverso l’individuazione di capri espiatori.

I primi studi sulla devianza furono condotti dalla scuola di Chicago ed erano mirati all’individuazione dei fattori ambientali che favoriscono il comportamento deviante.

Da quel momento si sono succedute diverse interpretazioni:

per la scuola struttural-funzionalista la devianza è espressione della dissociazione fra modelli culturali proposti dal sistema sociale e i mezzi da questo previsti per raggiungerli. Per R.K. Merton, la devianza sorge quando una volta che sono stati rifiutati mete e percorsi istituzionali, si cercano modalità alternative di adattamento.

Per Cohen, la devianza, è legata all’appartenenza a una classe socialmente svantaggiata dove, gli individui culturalmente deprivati, consapevoli di non poter raggiungere le mete proposte dal sistema, trovano la loro identità in una sub-cultura emarginata.

(Nel frattempo, aspettando le elezioni del 25 settembre):

“Matteo… Matteo… ancora con questa storia della Madonna.. Vuoi che ti spieghi le allucinazioni cosa sono? Nah… questo non è delirio mistico, questa è propaganda fina.. fina.. come si dice a Napoli”

Siccome i disturbi del comportamento alimentare sono una cosa serissima, vi lascio il video che ho condiviso qualche mese fa in cui presento al lettore i DCA

I disturbi del comportamento alimentare (DCA) indicano quella specifica classe di disturbi che comporta una eccessiva preoccupazione per il proprio peso corporeo, per le sue forme, e sono caratterizzati da una alterata relazione con il cibo. Con l’approfondimento di oggi, voglio condividere con voi una riflessione che muoverà intorno a tali disturbi. Presenterò la classe dei disturbi così come presentati nel DSM 5 (Manuale Diagnostico e Statistico Dei Disturbi Mentali); proveremo a riflettere sulle possibili ipotesi eziologiche e sul ruolo simbolico assunto dal cibo stesso. Perché alcune persone sovvertono il legame con un qualcosa che di per sé, ha valenza funzionale, trasformandola -invece- in qualcosa di disfunzionale?

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio