
La storia che vi propongo oggi è un primo colloquio osservato tempo fa; quando – infatti- non faccio riferimento al protocollo che dobbiamo seguire “oggi”, nel tempo della pandemia, vuol dire che il colloquio è avvenuto in un periodo precedente. Il caso di M., è un primo colloquio osservato presso il Centro di Salute Mentale (al tempo il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali di riferimento era il DSM IV e non il V; come l’art.17 Capo I, del nostro Codice sostiene la documentazione sui pazienti va conservata per almeno 5 anni successivi alla conclusione del rapporto professionale).
Buona Lettura.
M., 28 anni, si rivolge al Centro di Salute Mentale chiedendo di uno psicologo; il giovane è accompagnato da una sorella maggiore che appare piuttosto preoccupata a causa del desiderio mostrato negli ultimi giorni, dal fratello, di voler lasciare il lavoro “di questi tempi poi! Vi immaginate dopo che casino diventa!”
Durante il colloquio (la sorella resta, su invito dello stesso M., in sala d’attesa), il ragazzo appare teso e piuttosto reticente nel parlare di sé, nel dare una descrizione della propria vita, della propria storia e mostra inoltre estrema sospettosità.
Con molta pazienza riusciamo a sapere che M., è stato assunto da qualche mese nell’Arma dei Carabinieri e si sente molto angosciato al pensiero di dover portare la pistola. M., comincia lentamente a raccontare di sé, dice che è stato il padre ottantacinquenne ad averlo spinto a intraprendere la carriera nell’Arma per la quale si è dovuto trasferire in un’altra città. In seguito a una crisi d’ansia molto forte, gli sono stati dati alcuni giorni di riposo; adesso è a casa in malattia. In precedenza aveva fatto vari lavori precari, terminati perché subentravano incomprensioni col datore di lavoro. Spesso si sente in ansia nei rapporti con gli altri per il timore di essere rimproverato per qualcosa.
Da sempre fa vari gesti rituali riguardanti la chiusura delle porte, delle manopole del gas e si sente costretto a ripetere tra sé e sé frasi riguardanti la combinazione tra numeri e oggetti. Orfano di madre dall’età di 4 anni è stato cresciuto dalle sorelle maggiori. Dal punto di vista scolastico, non ha mai avuto problemi, così come nei rapporti interpersonali, M., dice infatti di avere poche ma buone amicizie e ha anche una fidanzata a cui, tuttavia, cerca di nascondere la sue ansie e i comportamenti ripetitivi in quanto teme che questi possano essere visti come qualcosa di bizzarro. Nonostante ciò egli non può fare a meno di eseguirli.
Alcuni sintomi espressi da M.( è angosciato perché porta la pistola, è in ansia nei rapporti con glia altri, ha paura di essere rimproverato, compie gesti rituali) e osservati direttamente dal clinico (rigidità, reticenza nel parlare, sospettosità) potrebbero orientare la nostra attenzione verso i disturbi d’ansia. L’ipotesi diagnostica più rispondente ai comportamenti e alla sintomatologia espressa ci porterebbe a ipotizzare un disturbo ossessivo – compulsivo. M., riferisce infatti delle sue ossessioni riguardanti la chiusura delle porte, delle manopole del gas; il ragazzo riconosce inoltre che questi pensieri sono solo un prodotto della sua mente, ma si sente costretto a compiere tali comportamenti ripetitivi (compulsioni). Tali comportamenti causano disagio marcato.
Dalle informazioni ottenute dal primo colloquio comprendiamo l’importanza di proseguire con ulteriori colloqui al fine di “indagare e scoprire” il significato dell’esecuzione del rituale, raccogliere informazioni sulle diverse fasi dello sviluppo, capire da quanto tempo è presente il disturbo, come si è sviluppato, quali sono state le circostanze di insorgenza della sintomatologia e le ragioni per cui la persona sta chiedendo un colloquio psicologico proprio ora.
Sembrano, dalle informazioni a nostra disposizione, non essere presenti i criteri per il disturbo d’ansia generalizzato, poiché il disturbo è caratterizzato da 6 mesi di ansia e preoccupazioni difficilmente controllabili, ma che non sono ossessioni. Per confermare l’ipotesi diagnostica sarebbe opportuno suggerire la somministrazione di alcuni strumenti ausiliari: quali lo STAI per la misurazione dell’ansia, l’MMPI-2 con attenzione al valore D (depressione) e il Rorschach per valutare la personalità di M., tali strumenti vanno affiancati al colloquio psicologico.
Vista la capacità di M., di adesione a un piano di realtà potremmo pensare a una terapia con enfasi espressiva ad approccio cognitivo- comportamentale con l’obiettivo di sostituire le idee ossessive, intrusive con pensieri razionali in funzione del benessere dell’utente.
A livello di risorse di rete, indubbiamente sarebbe consigliabile attivare un sostegno familiare, sia indagando a fondo gli eventi precipitanti che esacerbano i sintomi, sia aiutando la famiglia a comprendere la natura del problema, affinché riescano assieme a M. a gestire i sintomi in maniera più efficace. Qualora si ritenesse utile o necessario, si può consigliare un consulto psichiatrico per valutare una eventuale terapia farmacologica.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.