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“Doc mi abbuffo” #PromozioneDelBenesserePsicologico

“Ciao Dottoressa, eh.. come sto… Sto che ho questo pensiero continuo del cibo… un pensiero che mi terrorizza.. certe volte non capisco se io sia terrorizzata dal cibo in sé o dal pensiero del cibo fatto sta che… che…

Cioè…

Hmmm… Vabbè Doc io mi abbuffo!”

Sara mostrava segni piuttosto evidenti della malattia; i denti gialli/neri altamente corrosi dal vomito acido, le dita molto gonfie con le unghie cortissime piene di calli causati dal vomito autoindotto; spasmi nervosi, tic e dolori ricorrenti descritti analogamente a quanto la ragazza fa con il cibo: nasconde il dolore salvo poi gettarlo tutto via, d’improvviso, con lamenti continui (Sara non mangia oppure, preda della crisi bulimica ingurgita quantità di cibo enormi, salvo poi rigettare tutto velocemente).

Sara puzza; nonostante la giovane sia perfettamente curata, composta, rigida e molto schematica nel suo riferire le emozioni e “le questioni” della giornata, emana sempre uno strano odore.

L’estrema razionalità del contenitore (corpo) di Sara, cozza con la fragilità del suo contenuto; l’Io di Sara è spaesato, perso e sempre in cerca di qualcosa (o qualcuno) che lo contenga allora… quando lui soffre si fionda sul primo cibo (che sia cotto, crudo, congelato, bollente, poco importa) così da non farsi più sentire.

Quando Sara però.. si sveglia dal torpore dei sentimenti, si sente in colpa, si fa schifo e getta tutto via con il vomito.

Il cibo diviene allora un mezzo per dire, per vivere e sentire quando il caos identitario è talmente forte da rendere sordi, ciechi e muti.

Il DSM-5 definisce un episodio di abbuffata come l’ingestione di una quantità di cibo significativamente superiore a quella che la maggior parte degli individui assumerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili, caratterizzato dalla sensazione di perdere il controllo durante l’abbuffata. Il soggetto attua inoltre delle condotte compensatorie o eliminatorie, volte ad eliminare il cibo e le calorie assunte con questo; rientrano in tali condotte uso e abuso di farmaci (es lassativi) o l’abuso di attività fisica. Criterio diagnostico comune all’Anoressia nervosa, l’eccessiva influenza del peso e della forma corporei sui livelli di autostima dell’individuo.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio

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Mangerò per il tuo piacere: Mukbang.

“Donne e uomini senza desiderio che aboliscono il desiderio primario che è quello del cibo”.

Con il termine mukbang si indica un recente fenomeno che consiste nel compiere abbuffate online.

Il Mukbang è a tutti gli effetti l’elicitazione di un disturbo alimentare.

Buon Ascolto.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

I disturbi alimentari: Emma.

Attraverso la storia di Emma indaghiamo i disturbi alimentari. Emma non vuole mangiare sarà anoressica, bulimica oppure è obesa? E se avesse deciso di nutrirsi di sola aria inseguendo la corrente del respirianesimo?

Questa tappa del nostro viaggio sarà dedicata ad un sentimento molto forte che in un modo o in un altro un po' tutti abbiamo affrontato provandolo in prima persona o indirettamente, magari subendolo da qualcuno. Oggi parleremo dell'Invidia. L’invidia è un sentimento di rancore ed ostilità nei confronti di qualcuno che possiede qualcosa che il soggetto invidioso desidera, ma non possiede.Buon Ascolto!
  1. L'Invidia
  2. Gli effetti del divorzio dei genitori sui bambini
  3. Teorie della mente.. penso che tu pensi
  4. Conversazione a due sulla Psicologia – Separarsi nell'epoca dei Social
  5. Dillo allo psicologo (non al cyberspazio)

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio.

L’emozione che mangia.

“Magnatell n’emozione”.

Nella mia lingua madre – mangiarsi una emozione- viene detto a coloro che tendono ad essere sempre cupi, ombrosi e mai sereni; si tratta di quelle persone che quasi per partito preso “non si mangiano l’emozione”, mostrandosi perennemente impensieriti da qualcosa.

Sono quelle persone incapaci di vivere l’emozione, di goderla; persone che non riescono a sorridere quasi come dovessero scontare chissà quale pena per avere ceduto, mangiando l’emozione stessa.

Recentemente riflettevo sulla potenza del detto.

Durante gli studi universitari, un Professore (analista) che si occupa di disturbi alimentari, ne sosteneva la genesi nel “sessuale femminile”; il mio collega (analisi che condivido ampiamente) parla (basandosi su una larga casistica da lui trattata), di psicopatologia della relazione; per me è – anche- la psicopatologia del piccolo.

Cos’è questa emozione da mangiare?

In effetti la prima rinuncia che le persone affette da disturbo alimentare (nello specifico anoressia nervosa o Disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo), compiono, è partecipare a pranzi, cene o situazioni di condivisione “dell’emozione cibo”.

Quando alcune pazienti hanno deciso di uscire andando a cena fuori, pur non condividendo il cibo, non hanno tratto piacere – emozione- dall’uscita stessa; l’ossessione del controllo sul cibo ha finito per controllare loro stesse portandole ad estraniarsi dal contesto emotivo/relazionale.

Altre pazienti, invece, decidono direttamente di evitare le occasioni di condivisione del cibo.

L’emozione è completamente negata, esclusa, rigettata.

La paura che l’emozione stessa possa prendere il sopravvento fagocitando fino a portare all’abbuffata (sconfinando negli altri disturbi alimentari: bulimia nervosa, disturbo da alimentazione incontrollata, Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con specificazione, Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione, come da criteri DSM V), è troppo forte.

Meglio chiudere tutto, tappare l’emozione.

Io non mangio.

La genesi dei disturbi alimentari può essere multisfaccettata (il mio parere personale mi spinge a non rinchiudermi nelle spiegazioni univoche del se/allora); credo che nei vari strati delle sfaccettature si possano depositare sottili lamelle di dolore più o meno vario, diverso e sentito a modo proprio.

Non dimenticate di mangiare stasera: Magnate n’emozione!

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

Night eating Syndrome (Sindrome da Alimentazione Notturna)

La Sindrome da Alimentazione Notturna è stata descritta per la prima volta nel 1955 da Albert Stunkard.

Questa sindrome è ormai riconosciuta come un Disturbo del Comportamento Alimentare ed è inserita nel DSM IV (come disturbo alimentare non altrimenti specificato) e più recentemente nel DSM V (nella categoria “Other Specified Feeding or Eating Disorder”).

Nello specifico questo disturbo è caratterizzato da una perdita del controllo sul cibo durante le ore notturne (iperfagia serale) e un alimentazione quasi nulla durante le ore diurne. Che significa generalmente, scarso appetito durante il giorno e anoressia mattutina. In genere la quantità di cibo consumata di sera e di notte è tra il 25% e il 50% dell’introito energetico giornaliero.

Questo Sindrome può essere associata anche a disturbi del sonno. Infatti, chi ne soffre, si sveglia durante le ore notturne per consumare grandi quantità di cibo calorico (snack, patatine, gelato..). Spesso vengono consumati cibi ricchi di carboidrati e dolci. Vengono quindi consumati per lo più cibi di conforto e ipercalorici.

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Le persone con questo disturbo hanno spesso problemi di sovrappeso o di obesità. Le loro abbuffate notturne sono caratterizzate da vissuti di tensione, stress, ansia, paura e sensi di colpa, quando finiscono di mangiare. Descrivono inoltre un grande senso di inadeguatezza, sconforto, angoscia, disgusto per se stessi e rimorso per il loro comportamento. Provano vergogna a riferire dei propri problemi e tendono a nascondere il cibo che consumano, agli altri.

Questo disturbo del comportamento alimentare è speso collegato con disturbi legati allo stress e alla depressione, ma anche a immagine di sé negativa, perfezionismo e preoccupazione per il proprio peso e per la propria forma. Il cibo è come se venisse usato come “automedicazione”; una sorta di “ristoro” emotivo dopo giornate passate a rimuginare su pensieri negativi o vissuti d’ansia, stress e depressione.

Secondo il National Istitute of Mental Health questo problema tocca circa l’ 1,5% della popolazione, senza differenza di genere e circa il 6/16% dei soggetti obesi.

Come per altri disturbi alimentari, un trattamento efficace per la Sindrome d’Alimentazione Notturna richiede in genere un approccio multidisciplinare.

In genere si inizia informando i pazienti sulla loro situazione, poi lavorando sulla consapevolezza e sugli aspetti emozionali e psicologici, si può procedere attraverso una sorta di rieducazione ai modelli alimentari corretti. Questo lavoro necessita ovviamente di un approccio multidisciplinare con lo Psicoterapeuta e il Nutrizionista (o Dietologo). A questi interventi può essere molto utile affiancare anche una “riabilitazione fisica”, attraverso l’introduzione di esercizio fisico. Ovviamente nei casi in cui vi è una comorbidità con altri disturbi psichiatrici può essere necessaria anche una terapia farmacologica.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi