Questa tappa del nostro viaggio ha bisogno di essere vissuta fino in fondo. Sarà una tappa particolare, ci vedrà spettatori e ascoltatori di una storia giovane di sofferenza. Una sofferenza particolare, spesso nascosta.. soffusa.. ovattata.. a volte incomprensibile. Il paziente evitante desidera delle strette relazioni interpersonali ma ne è anche spaventato. La diagnosi di disturbo evitante di personalità viene raramente posta come diagnosi principale o esclusiva.
Il Disturbo Evitante di Personalità – La storia di Fabio – PODCAST Spreaker – In viaggio con la Psicologia
Il Disturbo Evitante di Personalità – La storia di Fabio – PODCAST Spotify – In viaggio con la Psicologia
“Mi chiamo M., sono venuto qui perchè ho 34 anni, vivo con mia madre e sono in un periodo particolare. La mia storia inizia e finisce con mamma. Dovevo sposarmi ma lei, che non è mai stata d’accordo con questo matrimonio, ha finito per avere ragione.. Ho assecondato le sue idee su I. perchè “il sangue non è acqua” e se mamma ha una certa opinione sicuramente ha ragione. Sono un ragioniere anche se ho una laurea ma ho deciso di non progredire e fare scatti di carriera perchè non voglio la responsabilità di altre persone.. Ho solo due amici e se capita che non possano uscire per qualche motivo io non esco; mia madre mi dice sempre cosa fare, pulisce, cucina, “mi tiene pronto e pulito”.. Mamma è ovunque però ha più esperienza e sa bene come vanno le cose in questo mondo..
(i sentimenti di ambivalenza provati da M verso sua madre saranno via via sempre più evidenti e crescenti nel corso dei vari colloqui)
M racconta che da bambino provava ansia e disagio ogni volta che si trovava fuori dalla propria casa. A scuola era uno strazio e un tormento; provava agitazione, sudava e tremava non appena varcava la porta del proprio appartamento. Veniva poi preso in giro dai coetanei perchè lo indicavano come un “bamboccio sempre attaccato alla gonna della madre”.
Le persone con disturbo dipendente di personalità hanno un bisogno persistente ed eccessivo di essere accudite (APA,2000). Si tratta di persone sottomesse e obbedienti che temono la separazione (sia essa da un genitore, dal partner o da un amico di fiducia). Si appoggiano così tanto agli altri da essere completamente incapaci di prendere qualsiasi decisione (anche la più banale).
Nel disturbo dipendente di personalità si hanno problemi con la separazione in quanto anche solo il pensiero di poter essere lasciati e di dover vivere la separazione, fa sentire svuotati, disperati, sul punto di crollare e/o impazzire. Accade spesso che pur di restare attaccati a qualcuno, queste persone accettino di vivere relazioni maltrattanti (partner che maltrattano fisicamente o psicologicamente).
Mostrando carenza di fiducia nelle proprie capacità, queste persone esprimono raramente la propria opinione aderendo completamente all’idea altrui. Si tratta di soggetti ipersensibili alle critiche, che si sentono sole e a disagio facilmente; si tratta di persone dubbiose, pessimiste e altamente negative. Sono a rischio per depressione, ansia e disturbi dell’alimentazione.
La costante paura della separazione, espone queste persone a rischi suicidari specie quando cominciano a comprendere che la relazione sta per finire.
Statistiche alla mano il disturbo è diffuso in circa il 2% della popolazione con distribuzione in entrambi i sessi.
Il funzionamento psicologico per coloro che presentano il disturbo dipendente di personalità è connotato da sentimenti di inadeguatezza. Studi condotti hanno evidenziato una possibile eziologia del disturbo in uno stile genitoriale iperprotettivo e/o autoritario
Quando nelle successive sedute la madre di M., si è presentata a colloquio, è apparsa come la tipica mamma matrona. Fisicamente abbondante e autoritaria nei modi, dalla scarsa emotività e per niente propensa ad ascoltare le ragioni del figlio.
Coloro che hanno questo disturbo mettono in atto comportamenti atti a compiacere gli altri al fine di instaurare una dinamica in cui l’altro si prende cura del soggetto in questione che resta sottomesso.
Alcuni possono reagire in maniera aggressiva al loro sentirsi legati agli altri e alla relativa impossibilità di separarsi (modalità passivo-aggressive).
In terapia le persone con disturbo dipendente di personalità tendono a trasferire sulla figura del terapeuta tutta la responsabilità del loro miglioramento. La terapia ha pertanto tra gli obiettivi principali quello di fare sì che i pazienti si assumano la responsabilità di sé stessi.
La terapia psicodinamica è simile, in questo caso, alla terapia per la depressione e si focalizza sul tema della perdita (reale o immaginaria).
La terapia cognitivo comportamentale riunisce interventi sia comportamentali che cognitivi per aiutare i pazienti ad acquisire un maggior controllo sulla propria vita (in termini comportamentali ad esempio, si prevede un addestramento all’assertività in modo che gli individui possano esprimere meglio i propri desideri all’interno di una coppia; dal punto di vista cognitivo si insegna al paziente a mettere in discussione l’idea di inadeguatezza e incapacità).
Il disturbo ossessivo – compulsivo è relativamente frequente infatti è il disturbo di personalità con più alta frequenza ma spesso viene confuso con il disturbo ossessivo-compulsivo.
Qual è la differenza tra questi due disturbi? La differenza tra disturbo ossessivo-compulsivo (nevrosi) e quello di personalità è per la differenza tra sintomi e tratti del carattere duraturi. Il primo (dist. ossessivo- compulsivo) è tormentato da pensieri ricorrenti e spiacevoli a cui seguono comportamenti rituali che sono egodistonici (cioè percepiti come incompatibili con l’idea di se stesso); mentre i criteri del secondo (il dist. di personalità) nel DSM sono schemi di comportamento che possono essere egosintonici, cioè coerenti con l’idea di sé.
I primi contributi psicoanalitici relazionano i tratti del carattere (ordine, parsimonia e ostinazione) con la fase anale regrediti a causa dell’angoscia di castrazione associata alla fase edipica con un Super –Io punitivo e meccanismi di difesa come isolamento affettivo, formazione reattiva, annullamento retroattivo, spostamento.
Oltre le tematiche prettamente psicoanalitiche legate alla fase anale (teorizzata da Freud), a favorire il disturbo di personalità ossessivo compulsivo ci sono elementi interpersonali che riguardano la stima, gestione della rabbia e dipendenza, stile cognitivo ed equilibrio tra lavoro e relazioni;
Per quanto riguarda la stima di sé (molto bassa), questi pazienti non sono stati valorizzati da piccoli, probabilmente per situazioni reali o perché avevano bisogno loro di una maggiore o una diversa “attenzione” dagli adulti significativi. Inoltre queste persone mostrano un desiderio inappagato di dipendenza e rabbia per i genitori, entrambi inaccettabili. Probabilmente nelle relazioni intime hanno paura di essere travolti da intensi desideri di essere amati. Hanno di contro un bisogno esasperato di controllo verso le fonti esterne di affetto che sono percepite come effimere. Ma alla paura di perderli si contrappone la paura di distruggerli.
Un altro aspetto che caratterizza questo disturbo è la ricerca di perfezione a tutti i costi perché solo “in quel momento saranno apprezzati dai genitori”. Sono persone che crescono con la sensione di non aver mai fatto abbastanza. Il genitore sempre insoddisfatto è interiorizzato da un super-Io severo: Per questo motivo pare non si sentino mai soddisfatti, perché non riescono a compensare il desiderio di ottenere sollievo dal Super- Io che li tormenta.
Mentre gli isterici sopravvalutano gli stati affettivi a spese della precisione del pensiero, per loro è il contrario. Temono ogni situazione emotivamente non controllata, infatti hanno la tendenza ad avere un pensiero logico, privo di emozioni ma lo è solo in ambiti ristretti. I loro schemi di pensiero sono rigidi e dogmatici. Presentano, come detto anche in precedenza una mancanza di fiducia in se stessi ed ambivalenza. Sono persone dedite al “dettaglio” e difficilmente si abbandonano a spontaneità e flessibilità. Tutto ciò porta un enorme sforzo cognitivo ed emotivo. Sono inoltre tormentati da credenze non adattive, infatti in situazioni di lavoro o scolastiche, ad esempio, porteranno avanti solo compiti se considerati perfetti. Anche solo un piccolo errore genera un disastro. Rimuginazione e dubbio sono all’ordine del giorno. Proprio per questi motivi, legati ad uno stile cognitivo e ad un carattere eccessivamente rigido, per queste persone con questo disturbo di personalità la depressione è ad alto rischio.
Nell’ambito delle relazioni la struttura del carattere porta ad un senso di sé pubblico, uno privato ed uno inconscio. Ognuno con la sua dimensione verso i superiori e subalterni ma la loro percezione soggettiva è diversa. Il senso di sé privato non si sente apprezzato, ma è conscio e si sentono superiori moralmente ai subalterni e sono fieri di non torturarli nonostante il loro sadismo. Il senso di sé inconscio ha due dimensioni: masochismo e ossequio per i superiori e controllo sadico per i subalterni, che è inaccettabile e perciò rimosso. Nelle relazioni con i superiori, temono l’umiliazione per il fatto di essere dipendenti, per cui si sottomettono (comportamento masochista) ai loro modelli rigidi e si torturano perché non son all’altezza.
“Finisce bene quel che comincia male”
dott. Gennaro Rinaldi
Approfondisci anche leggendo l’articolo Obsessum sulla nevrosi ossessiva.
“R., trentenne, detenuto da qualche anno, si presenta a colloquio una mattina d’autunno. La figura altissima ed esile si scontra con uno sguardo fisso, continuo e pressante (come spesso fa chi ha bisogno di attenuare l’aggressività). R., ti guarda senza sosta portando intorno a sè un’aura di elettricità tanto che sembra di vedere ogni piccola particella elettrica di carica opposta entrare in contatto sprigionando una qualche forma di energia.
R., ti sfida ma senza darlo a vedere “hai mai guardato qualcuno negli occhi? sei bravo a cucinare? sai.. ho questo – prende un coltello- ahahaha- ride- tranquilla.. non lo userò con te….
Forse!”
All’interno del gruppo dei disturbi di personalità drammatica, troviamo :
disturbo antisociale di personalità, borderline, istrionico e narcisistico.
Ciò che contraddistingue questi disturbi (come abbiamo avuto modo di notare con qualche disturbo già trattato), è il comportamento altamente drammatico emotivo o imprevedibile tale da impedire loro di avere relazioni che siano solide e soddisfacenti.
Le cause di questo gruppo di disturbi (insieme al gruppo dei disturbi di personalità bizzarra), non sono state ancora comprese; i trattamenti si sono dimostrati moderatamente efficaci per disturbi che sono al momento ancora fonte di studio e osservazione.
I soggetti con disturbo antisociale di personalità, detti anche psicopatici o sociopatici presentano un quadro pervasivo di inosservanza e violazione dei diritti degli altri (APA, 2000). Insieme ai disturbi correlati all’uso di sostanze si tratta del disturbo maggiormente correlato al comportamento criminale, negli adulti.
La maggior parte delle persone con tale disturbo, ha manifestato aspetti della condotta disturbata già prima dei 15 anni; rientrano in questi comportamenti l’abbandono scolastico, scappare di casa, distruggere cose altrui e soprattutto la crudeltà verso gli animali.
I soggetti con disturbo antisociale di personalità mentono di continuo; hanno difficoltà a tenere il posto di lavoro, sono irresponsabili dal punto di vista economico oppure hanno molti debiti che non pagano. Si tratta di persone impulsive, molto irritabili e aggressive.
L’avventatezza è un’altra caratteristica: i sociopatici hanno scarsa considerazione per la sicurezza propria e altrui; sono egocentrici e non riescono a portare avanti relazioni strette; sono di converso molto abili a trarre piacere e benefici a spese degli altri.
Raramente causano danno o dolore fisico a sè, pertanto i clinici sostengono che essi abbiano mancanza di coscienza morale. Ciò che sappiamo di questi soggetti, lo dobbiamo agli studi eseguiti nelle carceri, unico luogo dove possiamo incontrarli visto che, prima o poi, avranno problemi con la giustizia.
Gli studi indicano nei soggetti sociopatici tassi di alcolismo e di altri disturbi correlati ad abuso di sostanze; intossicazione e abuso potrebbero innescare alcuni comportamenti ma di converso sembra che il disturbo stesso porti ad una maggiore probabilità che il soggetto abusi di sostanze.
Tralasciando le ipotesi psicodinamiche o cognitive per il disturbo, circa le possibili ipotesi di intervento, non abbiamo trattamenti specifici/efficaci. Uno degli ostacoli principali che si incontra è la carenza di coscienza; non a caso coloro che seguono una terapia lo fanno solo perchè obbligati. Negli ultimi anni si è tentato un approccio con farmaci psicotropi (antipsicotici atipici).
Oggi il termine Paranoia è spesso utilizzato in maniera
errata,(rispetto al suo reale significato), in particolar modo nel gergo giovanile
dove il termine sembra essere spesso utilizzato come rafforzativo di noia o in
maniera imprecisa, per evidenziare una personale situazione di ansia, forte
stress, paura e angoscia, dovuta a situazioni spiacevoli personali (andare in
paranoia, cadere in paranoia, stare in paranoia) e a condizioni passeggere di
alterazioni mentali legate all’assunzione di droghe o alcol (“questa roba mi fa
andare in para”).
Il termine Paranoia (in psicologia e psichiatria) in realtà
indica uno stile pervasivo del pensiero legato a un sistema di convinzioni,
spesso a tema persecutorio che però non corrispondono alla realtà. In realtà il
significato del termine ha subito numerose variazioni nel corso degli anni e
dell’evoluzione degli studi clinici in psicologia e psichiatria. Inizialmente,
infatti il termine “paranoia” (utilizzato già in greco, con il significato di
“follia”), venne ripreso dallo psichiatra Emil Kraepelin per indicare generalmente
disturbi psichiatrici caratterizzati da deliri e credenze illusorie, senza la
compromissione delle facoltà cognitive, e anche da Freud tra la fine dell’ottocento
e gli inizi del novecento, per indicare deliri e presenza di voci interiori in
alcuni casi di psicosi da lui trattati.
Immagine google – the telegraph
Oggi il termine in sé, viene essenzialmente usato per
indicare uno stile di pensiero caratterizzato da una serie di credenze a tema
persecutorio. Il pensiero paranoide e i deliri paranoidei, ad esempio,
caratterizzano alcuni disturbi e quadri clinici più complessi, come le psicosi
(schizofrenia), episodi psicotici correlati all’uso di sostanze o in alcuni
casi, le demenze.
Il pensiero paranoide è uno stile pervasivo di pensare e relazionarsi agli altri particolarmente rigido ed ego sintonico che caratterizza quello che nei principali manuali diagnostici Psichiatrici e Psicologici-Psicodinamici (Dsm IV – V, ICD 10, Gabbard e Pdm) come Disturbo di Personalità Paranoide.
L’ ICD 10 ne dà questa definizione :“Disturbo di personalità caratterizzato da eccessiva sensibilità ai
contrattempi, da incapacità a perdonare le offese, da sospettosità e tendenza a
distorcere l’esperienza interpretando azioni neutrali o amichevoli di altri
come ostili e offensive, da sospetti ricorrenti, ingiustificati, riguardo alla
fedeltà sessuale del coniuge o del partner sessuale, e da un senso tenace e
combattivo dei diritti personali. Vi può essere inclinazione a dare eccessiva
importanza alla propria persona e vi è spesso eccessivo autoriferimento” F
60.0 (ICD 10, 2011).
Immagine google.
Le persone con questo disturbo di personalità generalmente
sono alla costante ricerca di lati oscuri e tracce della verità che viene loro
celata e che va oltre l’apparente significato della situazione che hanno
vissuto. Sono praticamente incapaci a rilassarsi perché sono quasi sempre
iperattivati a causa della loro indole al controllo e alla sospettosità
dilagante. Questo loro atteggiamento, generalmente li porta ad una distorsione
del “significato” della realtà ( ma non della sua percezione). Dal punto di
vista psicodinamico si può dire che la persona resta nella posizione
schizoparanoide, scinde e proietta nel mondo esterno la “propria cattiveria”;
in questo modo la persona vivrà in un mondo di relazioni in cui il proprio
ruolo sarà quello della vittima alle prese, costantemente, con aggressori o
persecutori esterni (i due meccanismi di difesa principali sono quelli della
proiezione e della identificazione proiettiva)
Questo può seriamente compromettere la maggior parte delle
relazioni, che saranno discontinue, perché la persona si approccerà a tutte le
relazioni con il sospetto e l’idea che “prima o poi finirà o succederà qualcosa
che mi deluderà”. Può capitare in tal senso che la persona si trovi a vivere
una costante angoscia legata alla convinzione che il mondo sia popolato da
potenziali nemici bugiardi, ipocriti, inaffidabili. Questo li spinge ad essere
molto controllanti, ma con una stima deficitaria di se stessi, che però possono
compensare con sentimenti di grandiosità.
Inoltre sono
terribilmente preoccupati che persone rappresentanti l’autorità li umilino o si
aspettino di vederli sottomessi. Una paura ricorrente è quella di dover essere soggetti
al controllo esterno. Ad esempio, in contesti lavorativi, possono temere che
chiunque cerchi di avvicinarli (per qualunque motivo) stia segretamente
tramando di sopraffarli.
immagine google.
Per le persone con un Disturbo Paranoide di Personalità è davvero molto utile la Psicoterapia, infatti, nonostante sia complicato l’instaurarsi di un buona alleanza terapeutica con il terapeuta, dopo il paziente può cominciare a trarne grossi benefici. La Psicoterapia può infatti aiutare la persona a distinguere e discernere, tra aspetti legati alle emozioni e quelli legati alla realtà. Inoltre, il fatto di contenere i sentimenti piuttosto che agirli, in terapia, può offrire al paziente la possibilità di una relazione d’oggetto nuova che con il tempo può essere interiorizzata. Inoltre, una nuova visione e prospettiva può garantire un cambiamento del modello relazionale e comunicativo della persona. Il paziente, infatti, giunge a un “dubbio creativo” sulle proprie percezioni del mondo. Ciò porta ad un lento e graduale cambiamento in positivo, per il paziente, per la famiglia e le relazioni. ��