(Il disturbo schizoide di personalità è caratterizzato da un modello pervasivo di distacco e disinteresse generale nelle relazioni sociali e da una gamma limitata di emozioni nei rapporti interpersonali. La diagnosi avviene in base a criteri clinici.)
Caregiver emotivamente freddi, negligenti, e distaccati durante l’infanzia sono fattori che possono contribuire allo sviluppo del disturbo schizoide di personalità alimentando la sensazione del bambino che le relazioni interpersonali non sono soddisfacenti.
I pazienti con disturbo schizoide di personalità sembrano non avere alcun desiderio di relazioni strette con altre persone, inclusi i parenti e non sembrano minimamente disturbati dai giudizi che gli altri possono avere di loro (siano essi positivi o negativi).
Le caratteristiche fondamentali del bambino che potrebbe sviluppare un disturbo schizoide di personalità sono due:
- bisogni fisici ed educativi del bambino vengono attesi in modo adeguato ma molto formale, inoltre il bambino viene preparato a una socialità normale ma senza che vi siano grandi aspettative o particolare interesse per le sue emozioni o per la sua persona.
- interazione sociale ed emotiva all’interno della famiglia è scarsa; la vita in casa è priva di calore e colore. Il bambino dedica molto tempo ad attività tranquille, silenziose, ordinate ma soprattutto solitarie (es raccolta di francobolli o lettura).
Questo bambino difficilmente arriva in studio da un terapeuta poiché agli occhi della famiglia si tratta di un bambino normale magari solo un po’ solitario o taciturno.
Osservato dal punto di vista delle esperienze vissute durante l’infanzia, il disturbo schizoide di personalità differisce dal narcisista con cui ha -tuttavia- in comune: difetto di empatia per la mancanza di investimenti forti sulle doti o competenze speciali del bambino e (dal disturbo evitante di personalità) perché il bambino non viene spinto ad aver paura del giudizio degli altri.
“Le difficoltà cui la vita lo metterà di fronte discendono soprattutto dalla contraddizione tra l’adeguatezza dei suoi strumenti di rapporto e l’isolamento affettivo in cui egli si trova costretto” (Cancrini, L.,2016).
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.
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