I pensieri ossessivi sono idee o rappresentazioni che si presentano in maniera ripetuta nella mente della persona che ne soffre, in modo stereotipato.
Questi pensieri sono spesso penosi, tanto che la persona tenta quasi sempre, senza successo, di resistervi. I pensieri ossessivi vengono, tuttavia, riconosciuti dal soggetto come propri, sebbene siano involontari e spesso ripugnanti.
Inoltre le ossessioni sono molto debilitanti, tanto da condizionare seriamente la vita delle persone che ne soffrono.
In questo video parleremo anche, in breve, delle ossessioni più diffuse..
Buona visione!
Ossessioni… cosa sono? – ilpensierononlineare – Youtube
Il termine cleptomania (dal greco kléptein – rubare), fu usato per la prima volta nel 1838 dall’alienista francese Jean-Etienne Dominique Esquirol che utilizzò il termine per indicare una propensione ad un impulso difficilmente controllabile del furto, causata probabilmente da un disturbo psichiatrico. Lo psichiatra Bleuler in seguito, osservo che in queste persone non c’erano altri comportamenti di tipo antisociale e che spesso gli oggetti rubati non avevano particolare valore. Addirittura nel XIX secolo i clinici e i medici in generale, osservarono che in prevalenza il disturbo si presentava nelle donne e lo associarono a possibili disfunzioni uterine, fortunatamente questa tesi fu abbandonata non molto tempo dopo. Dopo di che, l’interesse clinico per questo disturbo fu lentamente abbandonato.
Fino agli anni settanta del ventesimo secolo, ci fu un generale disinteresse. Con la prima edizione del Manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM) l’interesse per questo particolare disturbo venne ripreso.
La cleptomania non è un disturbo comune, si stima che circa 6 persone su mille ne soffrono e circa il 5 % dei taccheggiatori abituali. I cleptomani agiscono sotto l’ “effetto” di un impulso incontrollabile. Quando rubano sono soli e non hanno complici, sono consapevoli del rischio legale che corrono e cercano quindi di non farsi scoprire. Non ricavano profitto dagli oggetti che rubano, infatti generalmente li buttano, li regalano, li collezionano (spesso senza utilizzarli) o addirittura, in alcuni casi, provano a restituirli. Circa i due terzi dei cleptomani sono donne.
Topo cleptomane – Immagine google.
Il disturbo ha il suo esordio durante l’adolescenza e può avere un decorso cronico oppure avere lunghi periodi di remissione, alternati da fasi in cui l’impulso per il furto è molto forte e si arriva anche a rubare 3 o 4 volte durante la stessa giornata. Le fasi in cui il sintomo si acuisce sono legate a situazioni stressanti (lutti, separazioni). Purtroppo per la maggior parte dei cleptomani passa molto tempo prima che arrivino a cercare un aiuto professionale, a causa del senso di vergogna che provano per un comportamento socialmente poco tollerato e che proprio non riescono a controllare.
Alcuni studi hanno osservato che la cleptomania può associarsi ad altri disturbi più comuni come alcolismo, disturbi di personalità, deficit d’attenzione, disturbo ossessivo compulsivo, bulimia, deficit d’attenzione, anoressia..
Una comorbilità abbastanza evidente è con la bulimia nervosa. Alcuni studi hanno dimostrato che circa il 25% delle persone con bulimia, hanno anche episodi di cleptomania. Negli uomini invece è stata osservata una correlazione con disturbi sessuali e traumi alla nascita. Nelle famiglie di cleptomani, invece, si trovano spesso storie di depressione, alcolismo e anche di cleptomania.
Secondo Carl Abraham (psicoanalista tedesco), il cleptomane sin da piccolo non ha ricevuto prove d’amore concrete e gratificazioni, quindi il furto potrebbe essere interpretato come il tentativo di trovare un piacere sostitutivo a quelle mancanze oppure una vendetta fantasmatica contro le figure genitoriali incapaci di dargli, quando necessario, le giuste gratificazioni.
immagine google
Per Charles Kligerman, invece il cleptomane, che in passato ha ricevuto una ferita narcisistica, attraverso il furto riesce a ricostruire temporaneamente il proprio Sé. C’è in queste persone una regressione ad una modalità infantile di cercare la propria indipendenza, che richiede una gratificazione immediata (prendere senza chiedere). Tutto ciò si accompagna ad una fragilità strutturale del Super-Io e ad un bisogno di essere scoperti e quindi essere puniti (dall’autorità).
Lo stile comportamentale del cleptomane, è stato anche associato ai disturbi ossessivo-compulsivi, perché ha alcune caratteristiche comuni con questi disturbi; ad esempio, pensieri ricorrenti o ripetitività dei comportamenti che condizionano negativamente gran parte della quotidianità della persona.
Per i cleptomani, l’atto di rubare è vissuto (o piuttosto seguito) da una sensazione di “piacere”. Ed è proprio questa “sensazione di piacere” insieme con la paura del giudizio negativo degli altri, ad allontanare queste persone da un percorso terapeutico. Molte volte intraprendono un percorso di cura solo nel momento in cui devono affrontare problemi legali conseguenti ai furti. Per le persone che soffrono di questo disturbo esistono diverse strategie di cura. Su tutte, dove ci sono tutti i presupposti, la psicoterapia è molto efficace, qualunque sia l’approccio teorico di riferimento (Sistemico-Relazionale, Psicoanalitico o Cognitivo Comportamentale). A volte può aiutare anche una terapia familiare o di coppia. Inoltre i gruppi di mutuo aiuto (Tipo alcolisti anonimi), associati ad una psicoterapia individuale, possono aiutare moltissimo. Nei casi molto gravi può essere associata alla psicoterapia anche una terapia farmacologia.
Attraverso un piccolo estratto di un colloquio clinico scopriamo insieme la storia di Sergio; storia fatta di dubbi, perplessità e bisogno di scoprire l’emotività.
Coloro che inviano la mail, acconsentono alla resa pubblica di quanto espressamente detto. Tutte le informazioni personali (ad esempio nome), così come tutti gli altri dati sensibili, sono coperti dal segreto professionale e dalla tutela del cliente (ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi). Le fonti di invio delle mail sono molteplici (non legate al solo wordpress).
La richiesta che ho deciso di prendere in carico oggi, giunge da un ragazzo. La sua mail mi ha particolarmente colpito a causa della profondità con cui il giovane è riuscito a rimandare dubbi e incertezze del suo vissuto. Si tratta di una storia familiare e affettiva complessa (motivo che mi ha spinta a limare diversi dettagli).
La delicatezza è lo stato d’animo che maggiormente mi ha accompagnata.
“Cara Dottoressa, sono un ragazzo stanco (…) Nella mia famiglia le cose non sono mai andate bene. Mio padre soffre da sempre di disturbo ossessivo compulsivo e mia madre di ansia. La loro è una coppia che per me, non ha senso di esistere (…). Non fanno che litigare, da sempre, e buttano su di me (senza ritegno) qualsiasi problematica di coppia (anche quella più intima, dando a me la colpa del loro fallimentare matrimonio). Si aspettano sempre l’eccellenza da me; non sono mai riuscito a godermi gli studi e nonostante io ora abbia un lavoro notevole, non penso di meritare quel che ho raggiunto (mia madre si ostina ad appendere in casa tutti gli attestati che ho conseguito, quasi fossero suoi trofei dimenticando di dire almeno: un bravo). Negli anni ho sviluppato prima una profonda ossessione legata ad una mia possibile omosessualità poi tutta una serie di compulsioni sul quale, non mi dilungherei…
Ho abusato di pornografia e di autoerotismo; poi un giorno ho conosciuto lei, online. Non so per quale motivo ma un giorno in cui stavo malissimo mi sono detto “vado da lei” e così.. stiamo insieme da 8 anni e mezzo.
Lei ha una storia particolare (mi sento in dovere, come clinica, di proteggere la storia della ragazza; per sommi capi dirò che è stata per diversi anni in una casa famiglia).
Sono anni che andiamo avanti e indietro dallo studio del terapeuta per aiutare lei a superare il suo trauma; così facendo ho lasciato me da parte, dimenticandolo non so dove. Il sesso è praticamente inesistente; se la sfioro lei mi picchia, piange.. e finiamo con noi sul divano che cerchiamo di trovare un punto a quanto accaduto. Io la amo.. è quanto negli anni mi ero immaginato come una storia.. Ma ultimamente, mi chiedo, Dottorè.. “ma che cos’è una coppia?.”
Gentile Ragazzo,
grazie per la tua mail e grazie -soprattutto- per la condivisione della tua storia di vita; una storia – mi rendo conto- non facile da rendere all’altro, predigerita.
Mi colpiscono diversi dettagli, del tuo racconto; emerge il racconto di un uomo che in una prima parte appare arrabbiato e cosciente di non essere la colpa di un “fallimentare matrimonio” che molto probabilmente non doveva esserci. Racconti – molto dettagliatamente- della tua vita familiare, delle liti, del fatto che in famiglia state meglio quando non vi vedete (gli esempi che fornisci su come sappiate gli orari di tutti, in modo da non incontrarvi mai, la dice lunga).
Parli di una casa fredda e del fatto che tutti, invece, vedano la tua famiglia come perfetta “hai un bel lavoro, sei giovane, stai con una donna più grande e la tua famiglia è unita”; siete riusciti -in sostanza- a mettere in atto quasi una farsa, in cui ciascuno recitaa soggetto, la sua parte: come nell’opera teatrale, infatti, ciascun membro della tua famiglia (che per sopravvivere si è immedesimato in un certo personaggio), vive un conflitto personale con quello che parrebbe il capocomico (tuo padre).
Da qui si snoda la tua vita, quella fatta di ossessioni, fobie, paranoie.. e Lei.
Mi racconti di una coppia (quella che hai sempre sognato), in cui però il centro è solo lei. Sono otto anni e mezzo in cui hai dimenticato di prenderti cura di te.. o meglio.. Hai usato dei palliativi (lo sport, le amicizie, lo studio), che ti hanno dato l’illusione di esistere.. Probabilmente si tratta di una “sopravvivenza” nata da un tacito accordo in cui hai deciso di smettere di pensare (lasciando così libero sfogo alle compulsioni).
Non posso dirti cos’è una coppia. La visione dell’amore e della dualità appartiene a una sfera del tutto personale.
Posso però dirti cosa vedo, io, quando ho innanzi due persone che condividono un sentimento che si fa percorso di vita.
L’alchimia che unisce due persone è percepibile ad occhi nudi; è come una fiamma, un’aura di bellezza che avvolge le due persone. E’ qualcosa che fa quotidianità che lega salda e rinsalda ogni giorno il sentimento tra i due. La coppia non è statica ma una dualità in formazione continua e costante; un prolungamento che fa di due separati un unicum mentale di difficile dissoluzione.
Nelle coppie solide che giungono presso una consultazione (che bada bene, non sono quelle che non litigano mai o che sono necessariamente felici), hai la percezione di vedere alternativamente sabbia e acqua, fuoco e vento, tempesta e sereno. Sono coppie in cui ciascuno alternativamente vive il proprio ruolo nella libertà dell’esperienza amorosa e sensoriale.
C’è poi l’aspetto della sessualità: una coppia condivide una sessualità che sia piena e soddisfacente per entrambi; non ci sono mezze misure. Il sesso si vive nella sua piena espressione, una espressione tipica (personale) per ciascuna dualità.
La coppia è quotidianità , bisogno di condividere il prima possibile, con l’altro.
Leggo della tua storia di coppia e mi dici che senti il bisogno di avere amicizie femminili. Non sai bene in cosa ti sei cacciato, con una nuova ragazza che hai conosciuto, sai solo che lei capisce.
L’essere compreso, accolto e contenuto mi sembra la mancanza più forte che da sempre vivi.
L’impossibilità di pensarti bisognoso di cure e debole, ti ha fatto – forse- rinchiudere in una relazione in cui per forza di cose tu sei, ancora, quello che non ha bisogno.
Curi l’altro per dimenticarti di te, ma ora, l’altro che è in te bussa con sempre più insistenza chiedendo di aprire.
Con veemenza, “l’altro da te” sta per buttare giù la porta.
Credo – vista anche la tua passione per la psicologia- che ci sia bisogno di raccogliere le urla che senti diventare sempre più insistenti, dentro di te.
Datti il tempo, L., di capire cosa vuoi, per il tuo futuro.
Sei un ragazzo che ha delle notevoli risorse a disposizione e una forte intelligenza; c’è anche però, in te, una rabbia molto forte che ha bisogno di essere eviscerata per essere compresa prima che questa.. tolga linfa vitale a te.
(La sera in cui ho risposto al ragazzo, lui mi ha inviato una nuova mail. Mi ha profondamente ringraziato per la spiegazione sulla coppia che a suo dire, lui non avrebbe mai potuto rendere meglio. Non credo di aver fornito una spiegazione particolarmente esaltante, ma le parole che il ragazzo mi ha riferito, mi fanno davvero ben sperare).
Non siamo destinati a seguire il copione familiare.
Le ossessioni sono pensieri ripetitivi e intrusivi che assillano la mente e di cui è molto difficile liberarsene. Spesso alle ossessioni sono legate le compulsioni, che sono delle azioni, dei rituali con delle regole ben precise, ripetuti in determinate circostanze e diverse volte al giorno, atti a “controllare” le idee ossessive.
Chi ha questi sintomi soffre di un disturbo ossessivo – compulsivo.
la paura di contaminarsi con lo sporco e i germi: chi ne soffre generalmente tende a lavarsi in continuazione (le mani ad esempio);
le idee ossessive legate al controllo: queste persone sono ossessionate dal timore che possano essere responsabili di un evento grave, controllano tante volte se hanno spento il gas o se hanno lasciato il rubinetto aperto;
ci sono le idee ossessive legate all’ordine e alla simmetria: queste persone sono impeccabili, hanno tutto super ordinato, mettono oggetti in un ordine preciso e allineati, perché temono che se si sconvolgesse quell’ordine potrebbe accadere qualcosa;
ci sono inoltre le ossessioni legati ad argomenti inerenti la religione o la religiosità e a “pensieri proibiti” e sessuali (bestemmie, immagini blasfeme) che possono occupare e ossessionare la mente.
La storia che vi propongo oggi è un primo colloquio osservato tempo fa; quando – infatti- non faccio riferimento al protocollo che dobbiamo seguire “oggi”, nel tempo della pandemia, vuol dire che il colloquio è avvenuto in un periodo precedente. Il caso di M., è un primo colloquio osservato presso il Centro di Salute Mentale (al tempo il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali di riferimento era il DSM IV e non il V; come l’art.17 Capo I, del nostro Codice sostiene la documentazione sui pazienti va conservata per almeno 5 anni successivi alla conclusione del rapporto professionale).
Buona Lettura.
M., 28 anni, si rivolge al Centro di Salute Mentale chiedendo di uno psicologo; il giovane è accompagnato da una sorella maggiore che appare piuttosto preoccupata a causa del desiderio mostrato negli ultimi giorni, dal fratello, di voler lasciare il lavoro “di questi tempi poi! Vi immaginate dopo che casino diventa!”
Durante il colloquio (la sorella resta, su invito dello stesso M., in sala d’attesa), il ragazzo appare teso e piuttosto reticente nel parlare di sé, nel dare una descrizione della propria vita, della propria storia e mostra inoltre estrema sospettosità.
Con molta pazienza riusciamo a sapere che M., è stato assunto da qualche mese nell’Arma dei Carabinieri e si sente molto angosciato al pensiero di dover portare la pistola. M., comincia lentamente a raccontare di sé, dice che è stato il padre ottantacinquenne ad averlo spinto a intraprendere la carriera nell’Arma per la quale si è dovuto trasferire in un’altra città. In seguito a una crisi d’ansia molto forte, gli sono stati dati alcuni giorni di riposo; adesso è a casa in malattia. In precedenza aveva fatto vari lavori precari, terminati perché subentravano incomprensioni col datore di lavoro. Spesso si sente in ansia nei rapporti con gli altri per il timore di essere rimproverato per qualcosa.
Da sempre fa vari gesti rituali riguardanti la chiusura delle porte, delle manopole del gas e si sente costretto a ripetere tra sé e sé frasi riguardanti la combinazione tra numeri e oggetti. Orfano di madre dall’età di 4 anni è stato cresciuto dalle sorelle maggiori. Dal punto di vista scolastico, non ha mai avuto problemi, così come nei rapporti interpersonali, M., dice infatti di avere poche ma buone amicizie e ha anche una fidanzata a cui, tuttavia, cerca di nascondere la sue ansie e i comportamenti ripetitivi in quanto teme che questi possano essere visti come qualcosa di bizzarro. Nonostante ciò egli non può fare a meno di eseguirli.
Alcuni sintomi espressi da M.( è angosciato perché porta la pistola, è in ansia nei rapporti con glia altri, ha paura di essere rimproverato, compie gesti rituali) e osservati direttamente dal clinico (rigidità, reticenza nel parlare, sospettosità) potrebbero orientare la nostra attenzione verso i disturbi d’ansia. L’ipotesi diagnostica più rispondente ai comportamenti e alla sintomatologia espressa ci porterebbe a ipotizzare un disturbo ossessivo – compulsivo. M., riferisce infatti delle sue ossessioni riguardanti la chiusura delle porte, delle manopole del gas; il ragazzo riconosce inoltre che questi pensieri sono solo un prodotto della sua mente, ma si sente costretto a compiere tali comportamenti ripetitivi (compulsioni). Tali comportamenti causano disagio marcato.
Dalle informazioni ottenute dal primo colloquio comprendiamo l’importanza di proseguire con ulteriori colloqui al fine di “indagare e scoprire” il significato dell’esecuzione del rituale, raccogliere informazioni sulle diverse fasi dello sviluppo, capire da quanto tempo è presente il disturbo, come si è sviluppato, quali sono state le circostanze di insorgenza della sintomatologia e le ragioni per cui la persona sta chiedendo un colloquio psicologico proprio ora.
Sembrano, dalle informazioni a nostra disposizione, non essere presenti i criteri per il disturbo d’ansia generalizzato, poiché il disturbo è caratterizzato da 6 mesi di ansia e preoccupazioni difficilmente controllabili, ma che non sono ossessioni. Per confermare l’ipotesi diagnostica sarebbe opportuno suggerire la somministrazione di alcuni strumenti ausiliari: quali lo STAI per la misurazione dell’ansia, l’MMPI-2 con attenzione al valore D (depressione) e il Rorschach per valutare la personalità di M., tali strumenti vanno affiancati al colloquio psicologico.
Vista la capacità di M., di adesione a un piano di realtà potremmo pensare a una terapia con enfasi espressiva ad approccio cognitivo- comportamentale con l’obiettivo di sostituire le idee ossessive, intrusive con pensieri razionali in funzione del benessere dell’utente. A livello di risorse di rete, indubbiamente sarebbe consigliabile attivare un sostegno familiare, sia indagando a fondo gli eventi precipitanti che esacerbano i sintomi, sia aiutando la famiglia a comprendere la natura del problema, affinché riescano assieme a M. a gestire i sintomi in maniera più efficace. Qualora si ritenesse utile o necessario, si può consigliare un consulto psichiatrico per valutare una eventuale terapia farmacologica.
Lorenzo si presenta in studio un pomeriggio caldo e pieno di sole. Aveva contattato lo studio per chiedere un incontro di consultazione senza però essere troppo specifico “Buongiorno sono Lorenzo e vorrei sapere come procedere per fissare un incontro con la psicologa”.
Il giorno dell’incontro il ragazzo si presenta in perfetto orario. Entra in studio un bel ragazzo di 30 anni molto diverso dai giovani che comunemente si vedono; è abbastanza alto e in forma. Il giovane è vestito con un pantalone verde scuro, cargo, che gli arriva al ginocchio; una maglietta color sabbia a mezze maniche e delle scarpette vans nere. Il ragazzo rimanda una immagine leggera e spensierata; colpiscono le sue mani dalle lunghe dita e i polsi piccoli e delicati. Queste mani così curate e morbide che poco hanno in comune con le mani dure e rozze che spesso vediamo, sembrano essere pronte per accarezzare e contenere. Il ragazzo porta poi un paio di occhiali neri che si adagiano su un viso regolare incorniciato da una curatissima barba.
Lorenzo racconta di essere un professore di lettere sempre immerso nello studio. La prima cosa che ci racconta è proprio del suo lavoro.. in sostanza Lorenzo si racconta tramite il lavoro fornendo solo informazioni superficiali. A domande più specifiche dice di essere il primo di due figli (ha una sorella genio, come la definisce lui) e dei genitori che non fanno altro che litigare buttandogli da sempre, addosso, la colpa per la loro relazione sbagliata.
Lorenzo dice di aver sempre sofferto di un complesso di inferiorità verso il mondo intero; ama i suoi studi ma non li ha mai goduti in pieno perchè anche un 9 portato a casa era “un non 10”, un 30 “non è un 30 e lode”.. pertanto il padre era sempre pronto a trovare un difetto in questo ragazzo.
Tutto peggiora quando Lorenzo in adolescenza si convince (parole sue) di essere omosessuale e la paura di questa omosessualità lo spinge a mettere in atto tutta una serie di condotte come: lavarsi ripetutamente le mani, contare continuamente, studiare fino a svenire sui libri, consumare pornografia con lo scopo di capire il suo orientamento sessuale. Lorenzo comincia ad avere attacchi di panico, fobie e talvolta attacchi di paranoia.
Nonostante ciò il ragazzo si laurea e lavora (sembra essere stato in grado di gestire il suo malessere). Negli anni sembra essere rientrato il suo terrore della presunta omosessualità e tra alti e bassi porta avanti una vita piuttosto monotona.
Dai dati a disposizione si potrebbe ipotizzare una diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo ; dall’altro lato però emergerà, durante i colloqui con Lorenzo, una sua paura verso i rapporti, paura così forte da temere di sentirsi schiacciato, invaso o inglobato dall’altro vivendo un dilemma cronico essendo egli combattuto tra il bisogno emotivo di relazione e l’incapacità di invischiarsi in qualsiasi rapporto, sentendosi come sempre esposto al rischio di perdere alternativamente l’oggetto e sé stesso (cosa che potrebbe indicare anche un possibile disturbo schizoide o schizotipico).
Alla somministrazione del TAT Test (strumento che consente al clinico un’analisi globale dell’intera persona attraverso l’analisi delle emozioni, degli atteggiamenti e dei processi cognitivi del soggetto), emerge una proiezione da parte del ragazzo di tutti i conflitti vissuti verso l’ambiente famigliare; ambiente sentito come vuoto, freddo e privo di vita. Nel test emergeranno desideri, bisogni e speranze del giovane professore.. così come sarà, nel corso dei numerosi colloqui tenuti, più chiaro al ragazzo stesso che il suo orientamento sessuale non era verso l’omosessualità (da lui temuta) ma che era – molto probabilmente- solo l’espressione di una paura nei confronti dell’autorità paterna inscenata nel reale, sotto forma di una possibile identificazione con la sorella tanto amata, invece, dai genitori.
Lorenzo nel corso dei colloqui sembra prendere sempre più coscienza dei suoi limiti ma soprattutto delle sue possibilità. Lentamente comincerà a uscire, comincerà a frequentare un corso di Judo e conoscerà una ragazza.
Il giovane in realtà aveva avuto delle relazioni con le donne, ma erano sempre state relazioni a metà (affettivamente). Si trattava di ragazze superficiali, magari bellissime ma con poca sostanza.. a lui invece piacevano le intellettuali con cui parlare per ore.
Il ragazzo, uomo adesso in costruzione, appare ogni giorno sempre più sicuro di sé.
Sa che può piangere, sa che può ridere, sa che non c’è nulla di male nell’abbandonarsi al godimento, al desiderio e al bisogno.
Il disturbo ossessivo – compulsivo è relativamente frequente infatti è il disturbo di personalità con più alta frequenza ma spesso viene confuso con il disturbo ossessivo-compulsivo.
Qual è la differenza tra questi due disturbi? La differenza tra disturbo ossessivo-compulsivo (nevrosi) e quello di personalità è per la differenza tra sintomi e tratti del carattere duraturi. Il primo (dist. ossessivo- compulsivo) è tormentato da pensieri ricorrenti e spiacevoli a cui seguono comportamenti rituali che sono egodistonici (cioè percepiti come incompatibili con l’idea di se stesso); mentre i criteri del secondo (il dist. di personalità) nel DSM sono schemi di comportamento che possono essere egosintonici, cioè coerenti con l’idea di sé.
I primi contributi psicoanalitici relazionano i tratti del carattere (ordine, parsimonia e ostinazione) con la fase anale regrediti a causa dell’angoscia di castrazione associata alla fase edipica con un Super –Io punitivo e meccanismi di difesa come isolamento affettivo, formazione reattiva, annullamento retroattivo, spostamento.
Oltre le tematiche prettamente psicoanalitiche legate alla fase anale (teorizzata da Freud), a favorire il disturbo di personalità ossessivo compulsivo ci sono elementi interpersonali che riguardano la stima, gestione della rabbia e dipendenza, stile cognitivo ed equilibrio tra lavoro e relazioni;
Per quanto riguarda la stima di sé (molto bassa), questi pazienti non sono stati valorizzati da piccoli, probabilmente per situazioni reali o perché avevano bisogno loro di una maggiore o una diversa “attenzione” dagli adulti significativi. Inoltre queste persone mostrano un desiderio inappagato di dipendenza e rabbia per i genitori, entrambi inaccettabili. Probabilmente nelle relazioni intime hanno paura di essere travolti da intensi desideri di essere amati. Hanno di contro un bisogno esasperato di controllo verso le fonti esterne di affetto che sono percepite come effimere. Ma alla paura di perderli si contrappone la paura di distruggerli.
Un altro aspetto che caratterizza questo disturbo è la ricerca di perfezione a tutti i costi perché solo “in quel momento saranno apprezzati dai genitori”. Sono persone che crescono con la sensione di non aver mai fatto abbastanza. Il genitore sempre insoddisfatto è interiorizzato da un super-Io severo: Per questo motivo pare non si sentino mai soddisfatti, perché non riescono a compensare il desiderio di ottenere sollievo dal Super- Io che li tormenta.
Mentre gli isterici sopravvalutano gli stati affettivi a spese della precisione del pensiero, per loro è il contrario. Temono ogni situazione emotivamente non controllata, infatti hanno la tendenza ad avere un pensiero logico, privo di emozioni ma lo è solo in ambiti ristretti. I loro schemi di pensiero sono rigidi e dogmatici. Presentano, come detto anche in precedenza una mancanza di fiducia in se stessi ed ambivalenza. Sono persone dedite al “dettaglio” e difficilmente si abbandonano a spontaneità e flessibilità. Tutto ciò porta un enorme sforzo cognitivo ed emotivo. Sono inoltre tormentati da credenze non adattive, infatti in situazioni di lavoro o scolastiche, ad esempio, porteranno avanti solo compiti se considerati perfetti. Anche solo un piccolo errore genera un disastro. Rimuginazione e dubbio sono all’ordine del giorno. Proprio per questi motivi, legati ad uno stile cognitivo e ad un carattere eccessivamente rigido, per queste persone con questo disturbo di personalità la depressione è ad alto rischio.
Nell’ambito delle relazioni la struttura del carattere porta ad un senso di sé pubblico, uno privato ed uno inconscio. Ognuno con la sua dimensione verso i superiori e subalterni ma la loro percezione soggettiva è diversa. Il senso di sé privato non si sente apprezzato, ma è conscio e si sentono superiori moralmente ai subalterni e sono fieri di non torturarli nonostante il loro sadismo. Il senso di sé inconscio ha due dimensioni: masochismo e ossequio per i superiori e controllo sadico per i subalterni, che è inaccettabile e perciò rimosso. Nelle relazioni con i superiori, temono l’umiliazione per il fatto di essere dipendenti, per cui si sottomettono (comportamento masochista) ai loro modelli rigidi e si torturano perché non son all’altezza.
“Finisce bene quel che comincia male”
dott. Gennaro Rinaldi
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