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Separarsi da un manipolatore narcisista.

“Quando ci siamo conosciuti, lui era molto gentile e premuroso; uno da fiori ad ogni appuntamento, un uomo soddisfatto che stava raggiungendo tutti i suoi obiettivi professionali e personali. Era indubbiamente un uomo geloso, ma la sua gelosia non mi infastidiva: anzi! Mi sentivo lusingata da tutte queste attenzioni. Lui un giorno mi propose di sposarlo ed io, certa di aver trovato il mio principe azzurro, dissi sì senza il minimo dubbio. Le mie amiche erano tutte gelose della mia storia d’amore.
Poco a poco però le cose cambiarono.
Lui cominciò ad essere sempre più sgradevole e odioso; è riuscito a farmi il vuoto intorno. Insulta la mia famiglia, i miei amici, mi ha fatto licenziare a causa della morbosa gelosia. Ho la sensazione – Dottoressa- che il passaggio da coppia a famiglia (ora abbiamo un figlio), lo abbia destabilizzato. Il problema è che mentre – quando litighiamo- è un uomo crudele, subito dopo poi mi dice piangendo a grosse lacrime, che cambierà, che devo perdonarlo e che lui mi ama più della sua stessa vita.
Quando è crudele dice di sentire un vuoto dentro di sé e la colpa di questo vuoto, è mia. Ho parlato con i miei suoceri e mi hanno detto che lui è sempre stato irascibile ma dicono anche che il matrimonio gli ha fatto bene e che ora è più stabile; mi dicono di portare pazienza e credere nell’amore e nella famiglia.
Il problema è che le crisi peggiorano e ora ho paura anche per mio figlio.. Ha preso a strattonarmi, mi ha fatta cadere dalle scale e riempiendomi di pugni mi ha minacciata di morte.
Il marito della signora è un manipolatore narcisista: cosa significa?
Parliamo di un soggetto dai particolari inquietanti e pericolosi; spesso la persona in questione ha come un doppio volto – una doppia maschera- una che usa all’esterno (ad esempio negli ambienti di lavoro) e una che usa in famiglia, nelle mura domestiche.
La sua capacità di manipolazione è tale da riuscire (con manovre molto sottili) a mettere la vittima sul banco degli accusati portandola a diventare colpevole mentre lui, diventa – magicamente – la vittima.
Questo tipo di violenza la vediamo frequentemente in quelle coppie che giungono da noi per procedere con il percorso che li porterà verso la separazione e/o divorzio; così come è spesso frequente vedere queste scene, nelle eterne lotte /trattative portate avanti con l’ex coniuge. Queste lotte sono spesso così forti che anche lo psicologo che svolge la funzione di CTU o CTP (Consulente tecnico d’ufficio o di Parte) può essere querelato (perché preso di mira).
Per quanto concerne i figli, il manipolatore o la manipolatrice, riesce spesso a tenere la maschera così incollata al proprio volto, da indurre i figli a schierarsi dalla sua parte, portando i bambini ad allontanarsi pian piano dall’altro genitore.
Il rischio è che se avvocati, magistrati o esperti non si rendono conto di ciò, alla violenza familiare si aggiunge anche la violenza istituzionale.
La separazione non sempre mette fine alla manipolazione distruttrice dell’ex coniuge; spesso infatti le molestie proseguono anche con procedure finanziarie, il diritto di visita dei bambini, le scelte educative, e così via.
Impariamo a chiedere aiuto: senza vergogna.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.
Sul divorzio
Oggi vorrei affrontare un altro argomento correlato all’articolo precedente della collega e al strettamente intersecato con il mio di ieri dedicato al matrimonio. Vi parlerò del divorzio.
Il divorzio è un evento paranormativo che traumatizza tutte le aree del legame, all’interno di una coppia inoltre “è considerato dai clinici come una crisi prevedibile del ciclo vitale della famiglia, sebbene l’attacco al legame che i soggetti avvertono è forte e traumatico” (V. Cigoli).
Il divorzio e la separazione, rappresentano una fase di cambiamento e sconvolgimento che interessa l’intero progetto di vita pensato e delineato nel corso del tempo da una coppia. Questa fase comporta una riorganizzazione di diversi aspetti della propria vita che riguardano gli aspetti economici, l’abitazione, le relazioni, i legami familiari.
Una separazione e un divorzio possono arrivare al termine del processo anche in maniera positiva quando entrambi i genitori hanno compreso le cause e le dinamiche implicite che hanno portato ad una fine prematura del rapporto.

Quando la decisione della fine di un rapporto è univoca (cioè presa direttamente solo da uno dei coniugi), l’altro coniuge può vivere il distacco improvviso emotivamente come una condizione assimilabile al lutto.
Nel 2005 David Sbarra e Robert Emery, due psicologi americani hanno teorizzato il “modello ciclico del lutto”.
Questo modello prevede tre emozioni caratterizzanti che al termine di una relazione possono presentarsi inizialmente una per volta con forte intensità per poi presentarsi in maniera simultanea in un secondo momento. Ecco il ciclo delle emozioni:
- L’ Amore caratterizza il sentimento di perdita e quella segreta speranza che tutto si possa “aggiustare” e rimarginare. Il rischio di rimanere bloccati su questa emozione porta alla negazione psichica della separazione perché la persona coverà dentro di se sempre la speranza che possa avvenire una riconciliazione;
- La Collera aumenterà a causa della frustrazione subita. Si avrà la sensazione di essere stato ingannato e si darà la colpa all’altro per il dolore percepito. Il rischio di una fissazione su quest’emozione determinerà una visione alterata della realtà che porterà a investire solo ed esclusivamente l’altro coniuge delle colpe della separazione. L’ex sarà quindi considerato a tutti gli effetti la rovina della propria vita;
- La Tristezza invece è legata a quel sentimento di profondo sconforto, vuoto e solitudine che si può provare in una situazione del genere. Purtroppo la fissazione a questa emozione può provocare stati depressivi e in alcuni casi più gravi pensieri suicidari. In questi casi in genere la colpa della separazione viene data a se stessi.
Se elaborati correttamente queste emozioni e questi contenuti dolorosi possono portare all’accettazione della separazione con la prospettiva della costruzione di un nuovo progetto di vita personale. Infatti, la fine del rapporto, anche se ricca di dolore e sofferenza, una volta elaborata, può rappresentare comunque la possibilità di una crescita interiore. La persona che si appresta ad affrontare questo cambiamento deve però affrontare la fine del legame, mettendosi in discussione e incuriosendosi della nuova realtà che la separazione comporta.

Questo processo di elaborazione del divorzio è dura e dolorosa, richiede un faticoso lavoro su se stessi. Però con un buon supporto psicologico è possibile superare queste fasi per poi cominciare ad investire su se stessi valorizzando le proprie risorse personali, ripensandosi e riadattandosi alla nuova realtà.
Non ci riesco: Self Serving Bias e errori al servizio del sé.
E’ opinione abbastanza diffusa, pensare che la maggior parte delle persone gode di scarsa autostima. Lo psicologo umanista Carl Rogers nel 1958 ,osservò come anche chi in apparenza tendeva a mostrarsi sicuro e privo di complessi, in qualche modo fingeva e tendeva a disprezzarsi.
L’argomento però appare piuttosto complesso in quanto, da altri studi sull’autostima , emergeva invece che anche i soggetti con basso profilo, davano risposte che tutto sommato rientravano nella media.
La domanda quindi che sorge spontanea diventa allora: “la bassa autostima è solo una finzione?”

Per comprendere meglio l’argomento, dobbiamo far capo ad un altro concetto fornitoci dalla psicologia sociale, quello del self serving bias, ovvero della: ” tendenza a percepire se stessi in modo eccessivamente positivo e a favore del sé”.
Studi in proposito hanno evidenziato come le persone tendano a guardare diversamente gli eventi al quale dovranno poi dare una spiegazione. In presenza di un successo, il merito è tutto attribuito a se stessi; in presenza di un fallimento, questo è attribuito a fattori esterni come la sfortuna. E’ un pò il tipo di ragionamento che tutti abbiamo fatto almeno una volta a scuola : “se all’interrogazione siamo andati bene, è tutto merito della nostra preparazione conquistata con ore e ore di studio, se invece va male, è il professore ad averci preso di mira oppure ad averci chiesto quell’unica cosa che non avevamo studiato”.
Questo fenomeno è appunto incentrato sugli stili attributivi per cui si ha la tendenza ad attribuire a se stessi i successi e a negare responsabilità in merito agli insuccessi; si tratta di uno degli errori o bias più potenti.
Recenti studi hanno evidenziato come le attribuzioni a favore del sè, attivino aree del cervello connesse con la ricompensa e il piacere, ma uno dei dati più interessanti è quello che mostra come le attribuzioni a favore del sé siano connesse anche con le liti coniugali. Accade infatti che durante i litigi tra coppie (specie durante quelli che terminano con un divorzio), i partner tendano ad incolparsi a vicenda (spostano cioè la colpa/attenzione all’esterno). Attribuire i propri insuccessi a qualcosa di esterno è infatti meno deprimente che considerarsi immeritevoli (nel caso appena citato, responsabili per la fine di un matrimonio).

Un modo per prevenire tali “errori”, consiste nell’eseguire un giusto training guidato da un esperto psicologo – psicoterapeuta. Un recente filone di indagine consiste nella riduzione/eliminazione dei bias con un processo detto “debiasing”. Si tratta in sostanza, di aiutare la persona a cambiare la propria prospettiva (in maniera guidata e controllata), utilizzando ad esempio degli incentivi.
Dott.ssa Giusy Di Maio