La vita umana ha la necessità di incontrare le mani nude di una madre, “le mani che salvano dal precipizio dell’insensatezza” *.
“Le cure materne, diversamente da quello che accade in ogni ambito della nostra vita individuale e collettiva, non sono mai anonime, generiche, protocollari, standard; non si dirà mai abbastanza dell’importanza della cura materna che non è mai cura della vita in generale, ma sempre e solo cura di una vita particolare. “
Il ruolo della madre è in continua evoluzione e rincorre i tempi della iper-modernità. Le cure materne sembrano quasi entrare in contrasto con la velocità “maniacale del (nostro) tempo“. Ma la cura materna, come dice Recalcati, non si misura con il numero delle ore dedicate ad i figli, ma piuttosto con la presenza della parola e del desiderio; “la presenza senza parola e senza desiderio può essere ben più deleteria di un’assenza che magari sa anche donare (poche) parole ma giuste” *. Quello che sembra essere insostituibile ed estremamente necessario, nel discorso della cura materna, è la testimonianza che può esistere “una cura che ami il particolare più particolare del soggetto” *.
“Solo se lo sguardo della madre non si concentra a senso unico sull’esistenza del figlio la maternità può realizzare appieno la sua funzione”
Il mio collega, Il Dott. Rinaldi, ha recentemente pubblicato un pensiero in cui presentava il concetto di “madre sufficientemente buona”.
Quello che desidero fare con voi oggi, è approfondire ancora di più questo potente concetto perchè di maternità non si parla mai abbastanza.
La maternità non è mai troppa (o troppo poca).
Buona lettura.
Quando veniamo al mondo, lo facciamo in uno stato di “incompiuti”. L’infans (il bambino non ancora dotato di parola) crea in maniera allucinatoria un oggetto che sia in grado di fornire soddisfazione (oggetto soggettivo); tale creazione è resa possibile proprio dalle cure materne in assenza delle quali, non è possibile trovare l’infans.
Winnicott a tal proposito, riferisce di una madre “good enough” – abbastanza buona o sufficientemente buona.
L’espressione riferisce all’adattamento che la madre fa, nei confronti dei bisogni del neonato; ciò che l’autore pone in evidenza con la sua teoria è – dal punto di vista prettamente teorico- fare una differenziazione con i modelli teorici precedenti che avevano invece distinto tra mondo interno ed esterno del neonato.
Ciò che Winnicott vuole evidenziare è che la madre è una donna reale “actual” e in quanto tale l’unica cosa che può fare è essere “abbastanza o sufficientemente” buona: non perfetta. Questa donna, questa madre, è una donna reale che all’inizio della vita dell’infante e per un periodo di tempo abbastanza lungo e in maniera ripetuta, riesce ad essere in sintonia (non in simbiosi) con il bambino e che sia in grado di presentargli l’oggetto (il seno) nello stesso momento in cui il bambino lo cerca, creando una zona di illusione (allucinatoria) in cui il bambino crede di essere onnipotente e di aver creato da sè il seno: Il seno è lì perchè io l’ho voluto.
A tal proposito mi sembra doverosa un piccola precisazione.
Allattare al seno non rende più madri; allattare al seno non rende più donne.
Non allattare al seno non rende meno madri; non allattare al seno non rende meno donne.
Ogni donna deve avere la libertà di poter decidere, senza essere soffocata dai giudizi, cosa poter fare del proprio “corpo materno” e come presentare questo corpo al proprio bambino. Una madre è una donna.
Il discorso che faccio qui, è di natura prettamente psicologica pertanto non legata all’importanza o differenza, in termini nutrizionali, del “bere latte materno o meno”. Per questo aspetto rimando la questione a chiunque sia più competente di me, se vi fossero pediatri all’ascolto possono tranquillamente dire la loro.
Ciò che è importante per il neonato è tutto ciò che ruota intorno all’allattamento, al nutrimento. Anche il biberon fa parte di ciò; nutrire il neonato con disinteresse, dare il seno in maniera distratta, mentre si parla con altre “mille” persone, si vede la televisione o si è nervosi.. dare il biberon nello stesso modo distratto, sono azioni ugualmente “deleterie”. Analogamente invece, dare il biberon in un momento di tranquillità, parlando dolcemente al bambino, coccolandolo e curandolo, offrendogli il proprio tempo, il proprio interesse e manipolandolo con tutte le funzioni che Winnicott ci ha descritto (holding, handling e object presenting), consentono al bambino non solo di instaurare un rapporto migliore con chi si prende cura di lui, ma anche di comprendere meglio i confini del proprio corpo (psichico e non), in formazione.