Capita spesso (conversando anche con colleghi), di aver sperimentato l’esperienza del paziente (più o meno giovane che sia), che stanco dei suoi (presunti) continui fallimenti, viva con un certo shock il prender coscienza del fatto che il dottore o la dottoressa che ha innanzi, non sia sempre stato un genio.
L’attualità pone i nostri giovani in una difficile posizione: quella dell’eccellenza.
Se studi o lavori poco importa, devi essere una macchina che va ad una certa velocità, infallibile e sempre perfetta.
Quando mi capita di raccontare dei debiti scolastici presi negli anni (uno, sempre lo stesso: matematica.. Il mio incubo) oppure del fatto che alcuni esami universitari siano andati (solo) discretamente (non ho mai rifiutato un esame; il solo pensiero di dover ripetere in maniera meccanica qualcosa, basta ad ammazzarmi la fantasia), questi ragazzi sembrano non crederci
“Cioè Dottorè.. pure senza essere infallibili si può arrivare da qualche parte, nella vita?”
E lì.. la risposta: solo essendo fallibile arrivi da qualche parte, nella vita.
L’estate appena terminata (con mio immenso dispiacere), porta via con sé tutte le sfide personali e professionali che come suo solito, sa portarmi. Se infatti l’estate – di norma- è un periodo di relax, a me ha sempre “imposto” una qualche sfida.
Un giorno (scherzano, ma non troppo) una persona mi disse “questa estate per te è terrorifica” in effetti – ridendo- mi resi conto che l’attivazione dell’asse ipotalamo- ipofisi- surrene HPA (coordinatore centrale della risposta neuroendocrina allo stress), era piuttosto attiva.
Non sono una persona che ama parlare in termini di “obiettivi”; credo che tale definizione schematizzi un vissuto o un tipo umano (che è la cosa da cui scappo per natura.)
Amo parlare di percorsi, di strade e incroci. Amo gli incontri, specie quelli che ti scaldano come i raggi del sole. Non amo il buio e il freddo (capirete il mio attuale stato d’animo), non amo il nero e dovessi indicarmi come un oggetto, mi definirei una gonna gipsy piena di colori, con dei sonori sonagli disseminati tra la stoffa, che gioca a prendere in giro il vento mentre si chiude e apre d’improvviso.. quando meno te lo aspetti.
I percorsi sono belli perché puoi decidere come giungere alla data destinazione scegliendo la strada che meglio preferisci seguire; puoi fermarti per un caffè, fare uno sprint improvviso; puoi imparare a gestire la fatica dell’accumulo di acido lattico che crea dolore, puoi spingere il tuo corpo quando meno te lo aspetti.
I percorsi sono belli perché se hai il coraggio di credere nella fattibilità delle tue potenzialità, racconteranno molto per te e di te.
Un’altra stagione è passata e per me che sono nata il giorno di un mese che congiunge – trasportati dal vento- i pollini primaverili verso la calda estate, l’idea di ricoprirmi di strati pesanti non è che mi renda proprio felice.
Non amo le sovrastrutture e gli strati; non amo ciò che copre.
Il coraggio più grande resta sempre lo stesso, la capacità di portare avanti il proprio processo di costruzione di sé, piaccia o meno agli altri, piaccia o meno a chi è sempre pronto a mettere etichette.
A te, quanto piace essere te stesso?
Vi saluto con la foto che racchiude la mia estate. Quella scattata “un famoso giorno di”..
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.
Mi piace:
Mi piace Caricamento...