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Quando nasce un bambino.

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La trasmissione della vita psichica (dalla nascita di un bambino alla nascita di una madre), apre a tutta una serie di considerazioni sulla sofferenza psichica; considerazioni che spingono il clinico alla considerazione che la madre e il bambino meritano un tipo di ascolto (e di setting) ben specifico (mai rigido e spesso adattabile alle diverse situazioni/luoghi istituzionali).

La gravidanza coinvolge “a livello di fantasie tre generazioni” (Maiello,1983) e proietta la donna in una condizione in cui si trova ad essere figlia della propria madre e madre del proprio figlio. Questa condizione così particolare porta, la donna stessa, al confronto (e rielaborazione) di tutti i vissuti in un gioco di identificazioni multiple, lì al centro (forse) di un incrocio tra passato, presente e futuro.

Stern (1997) ha messo in evidenza come alla nascita del bambino corrisponda la nascita psicologica della madre: mentre il corpo è impegnato nella gestazione fisica del feto, nella mente della madre prende vita l’idea del tipo di madre che potrebbe essere; al contempo, inoltre, nella sua mente comincia a formarsi l’immagine di come potrebbe essere il suo bambino. Come dice pertanto Stern, sono tre le gravidanze che procedono contemporaneamente: abbiamo la gravidanza fisica, quella psichica e la nascita del bambino immaginario nella mente della madre.

A queste tre c’è da aggiungere una sorta di quarta gravidanza, che è quella di coppia e in senso più ampio, le rappresentazioni interne legate all’esperienza di ciascun genitore con la famiglia di origine.

Lo stato di gravidanza (e la nascita), costituiscono un momento privilegiato per stabilire l’alleanza terapeutica perchè la donna vive una condizione di “trasparenza psichica” (Bydlowski,2004) uno stato psichico che consente, quindi, il ricordo e la rielaborazione di tutte le fantasie e vissuti che condizioneranno la futura relazione con il figlio e il partner.

Per poter diventare madre, la donna, deve esser passata attraverso la fase edipica e dopo averla superata, può recuperare la madre pre edipica (la buona madre originaria) con le sue valenze di tenerezza e protezione. La donna che aspetta un bambino ha bisogno di identificarsi con un’immagine materna così da poter ricevere il bambino che sigilla il debito tra le due generazioni.

Nella maternità (come in ogni relazione) si aprono conflitti e ambivalenze emotive.

Il processo che porta all’acquisizione della nuova identità genitoriale è infatti complesso e non lineare; è così che in questa fase è possibile che molte donne debbano affrontare un possibile rischio di baby blues, depressione post partum o psicosi puerperale.

E’ possibile incontrare le pazienti subito dopo il parto, in reparto, nell’intimità ancora un po’ preservata (e non del tutto invasa ad esempio da familiari e amici), della primissima relazione madre/bambino.

E’ necessario un ascolto attento e rispettoso per avvicinarsi e sintonizzarsi con realtà spesso caotiche a causa dell’esplosione di angosce primitive difficili da contenere e metabolizzare.

Marta Harris sottolineava come l’osservazione attenta (a cui va però aggiunto anche l’ascolto), di una madre e il suo bambino costituiscono “un’esperienza emotiva che esige nel terapeuta un lavoro mentale perché si tratta di pensarla e sentirla, non solo di reagirvi”.

E’ importante che il terapeuta possa offrire alla madre (che sia in pochi colloqui o in una più lunga psicoterapia), un’esperienza di contenimento mentale che va intesa come capacità di accogliere i contenuti legati alle qualità emotive che accompagnano l’esperienza del diventare madri.

Ogni maternità comporta nel mondo interno dei due futuri genitori (madre e padre) la riattualizzazione di esperienze precoci vissute in passato che costituiscono la trama di fondo che influenzerà (che sia per analogia o contrasto) in forma di ripetizione o rielaborazione, la qualità della relazione con il bambino.

Lavorare con la maternità è il più delle volte, lavorare con la confusione ma soprattutto con il terrore.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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