
C’è una domanda che ultimamente affolla e riempie, fino quasi a non trovare più spazio di contenimento, la mia mente: dove abbiamo/stiamo sbagliando?
Nei colloqui clinici emerge con una sforza spaventosamente crescente, la domanda da parte di donne (siano esse giovanissime adolescenti, giovani adulte o donne mature), che sono ferme, bloccate, in relazioni disfunzionali.
Siamo abituati a sentire e vedere nei vari mezzi (social, tv e così via), storie di donne vittime di qualsivoglia relazione abusante, tanto che, non di rado ho letto di persone che non sopportano più che si parli di femminicidio o di questi argomenti.. Una sorta di “egocentrismo intellettuale”, per dirla con le parole di Piaget* che fa sì che difficilmente la persona si sposti dal proprio unico (e certo giusto) punto di vista…
Una cosa è possibile sia vera o comunque degna della nostra attenzione/riflessione: siamo proprio sicuri che il modo con cui si parla di “queste vicende”, sia quello giusto? Molti programmi televisivi fanno leva su un alto grado di collusione che è facile provare con le vittime (che per la maggior parte dei casi, sono morte); quando infatti parliamo di femminicidio, riferiamo a un termine che deriva dall’inglese femicide; termine criminologico introdotto per la prima volta dalla criminologa Diana H. Russell all’interno di un articolo del 1992 per indicare le uccisioni delle donne da parte degli uomini per il fatto di essere donne. Secondo quanto formulato da Diana Russell “il concetto di femmicidio si estende al di là della definizione giuridica di assassinio e include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine”.
I primi riferimenti ufficiali al termine “femminicidio”, si ritrovano all’interno della Risoluzione del Parlamento europeo (PE) dell’11 ottobre 2007 sugli assassinii di donne (femmicidi) in Messico e America Centrale e sul ruolo dell’Unione Europea nella lotta contro questo fenomeno, nonché nel Rapporto annuale sui diritti umani presentato dal PE nel 2010, in cui se ne ribadisce la condanna.
Quello però su cui volevo porre la riflessione oggi, non è la questione terminologica o prettamente teorica della cosa, quanto portare una riflessione su base esperienziale.
“Dottoressa lui mi ha regalato il primo anello dopo 1 mese di fidanzamento. Sono tre diamanti: uno perché mi ha amato, uno perché mi ama e uno perché mi amerà”.. A. ha 16 anni e dopo 4 mesi di fidanzamento è finita in ospedale per ripetute percosse da parte del fidanzato che però, lei dice, la ama più di ogni altra cosa.
“Dottoressa è sempre stato un compagno meraviglioso! Mi regalava tutto.. la luna e le stelle.. certo.. nel sesso le cose erano un po’ strane ma col tempo mi ero abituata. Essere chiamata in un certo modo ed esser presa in modo anche violento col tempo mi è piaciuto visto che a lui piaceva tanto.. Insomma… Tra le lenzuola dei poeti non me ne faccio niente… ci vuole l’uomo vero”.. Lo stesso che insegue V. notte e giorno, lo stesso che diffonde loro contenuti privati, lo stesso che ha spinto la ragazza a tentare il suicidio un numero di volte difficile anche da scrivere.
Poi ci sono le tante, troppe donne che per amore della famiglia (quella che ostinano a voler vedere ma che non è mai esistita) stanno insieme ad uomini che le picchiano e le tengono segregate in casa, tenute come puro gioco erotico a disposizione dei propri vizi e bisogni.
E’ vero.. non sono solo donne le vittime, ci sono anche uomini che considerati deboli, timidi e “senza palle”, si trovano in situazioni analoghe vittime di donne aggressivamente fallofore, ma dovendo fare un discorso prettamente statistico, si tratta di una emergenza del femminile.
Guardo, ascolto e contengo le storie di queste donne; guardo ascolto e rifletto sulle storie che passano in televisione, che leggo sui libri…
E non posso non chiedermi “dove stiamo sbagliando?”
Sento spesso dire “al primo schiaffo scappate!”, ci fu detto anche durante un seminario tenuto da un famosissimo psicodiagnosta; è una frase che odio.. la verità è che al primo schiaffo non bisogna mai arrivarci.
Non c’è amore che non implichi rispetto umano per l’amato/amata; non c’è orco che non lo sia stato prima (nessuno passa dall’essere un principe all’orco cattivo dalla sera alla mattina; se poi ci ostiniamo a non voler vedere certi comportamenti, quella è un’altra storia).
Ognuno nella sfera intima (intesa ad ampio raggio), può decidere cosa fare.
E se puoi decidere: puoi dire anche no.
#PromozioneDelBenesserePsicologico
*la tendenza a percepire, capire ed interpretare il mondo dal proprio punto di vista. Il bambino non può adottare il punto di vista percettivo e concettuale di un’altra persona.
“Finisce bene quel che comincia male”
Dott.ssa Giusy Di Maio.