Mi è capitato ieri durante un paio di sedute di terapia e poi ancora stamattina nel mio studio con un’altra paziente, (seppur in maniera diversa) una coincidenza strana. In qualche modo il focus delle terapie, in queste tre sedute, si è incentrato in maniera consistente sugli aspetti comunicativi delle relazioni interpersonali e familiari. Questo intreccio di coincidenze relazionali mi ha sorpreso e mi ha spinto a coinvolgere anche voi in questo fondamentale aspetto della nostra quotidianità.
Il termine comunicare anticamente significava mettere in comune. Poi nel corso del tempo il significato si è evoluto in: far conoscere, far sapere, divulgare, diffondere, rendere partecipe di un sentimento; ( comunicare la propria tensione ). Si può comunicare a parole (verbale) con i gesti oppure attraverso le nostre espressioni del viso e la postura del corpo (non verbale). Possiamo persino comunicare stando semplicemente in silenzio.

In tutti i diversi sistemi relazionali in cui le persone vivono e interagiscono c’è comunicazione. Attraverso la comunicazione e le relazioni le persone nei diversi contesti co-costruiscono ciò che sono.
“Non si può non comunicare”
Watzlawick, Beavin e Jackson (1967)
Questa affermazione implicherebbe il fatto che se siamo coinvolti in una interazione è impossibile sottrarci dal comunicare qualcosa. Ciò implica che bisognerebbe essere più consapevoli di come ci interfacciamo e interagiamo con gli altri e come queste persone con cui comunichiamo rispondono a tali segnali, al significato relazionale di questo processo e alla posizione che occupiamo all’interno della relazione.
Ma le prime esperienze comunicative partono da molto lontano, hanno inizio con le
relazioni sociali primarie (i genitori o altre figure significative).
Le nostre prime comunicazioni (genitore-figlio) hanno inizio prima della nascita. E’ quello che potremmo definire dialogo intrauterino madre-figlio. Al 5° mese di gestazione “il feto risponde a stimolazioni pressorie e di temperatura di oggetti posti sulla parete addominale” (Di Sano, Esposito,2001);
Quella tra madre e figlio è una comunicazione costante, infatti il feto “lancia” messaggi alla mamma e lei risponde socializzando e interpretando anche con fantasie sull’evento.
Questa modalità comunicativa e il comportamento che ne consegue inseriscono il feto a pieno titolo nella vita di relazione prendendo parte al dialogo familiare.
Le prime relazioni di attaccamento e i rispettivi stili comunicativi con le figure
significative daranno un impronta forte e contribuiranno a formare modelli relazionali della nostra futura vita di relazione e che quindi influenzeranno, nel bene o nel male, i nostro modo di interagire e comunicare con gli altri.
Questi modelli vengono chiamati “Modelli Operativi Interni” e sono definiti come “la
rappresentazione interna che un individuo ha di se stesso, delle proprie figure di attaccamento e del mondo, nonché delle relazioni che legano tali
rappresentazioni tra loro” (Loriedo e Picardi, 2000).

“Finisce bene quel che comincia male”
dott. Gennaro Rinaldi