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Il poeta e la schizofrenia: Leopoldo Maria Panero.

Fonte Immagine Google.

Volendo compiere una sorta di viaggio circa la relazione (possibile) tra creazione artistica e schizofrenia, si potrebbero quasi rintracciare tre ramificazioni (forse periodi), che hanno portato alla comprensione che anche (se non) soprattutto, i manicomi sono stati luoghi del sentir e del vivere artistico.

I manicomi sono spesso stati in odor di arte.

Inizialmente il folle è stato considerato come lontano dalla possibilità della creazione artistica; il folle infatti non ha “qualità” umane. Successivamente si è immaginato che il folle (e la sua creazione artistica) potessero coesistere solo nella fasi inter critiche, quando – in sostanza- nella ciclicità della malattia, vi era una pausa della fase critica. Gaston Ferdière, uno psichiatra francese, che si occupò di Antonin Artaud sosteneva, ad esempio, che Artaud stesso fosse un grande artista ma solo quando la follia era controllata dalle terapie (Artraud fu trattato con 62 elettroshock).

L’ultima (per così dire) fase, prevede invece il considerare la follia come generatrice stessa della creazione artistica.

Leopoldo Maria Panero nasce a Madrid il 21 agosto 1948 e muore in manicomio a Las Palmas de Gran Canaria il 5 marzo 2014.

E’ uno schizofrenico ma anche uno dei più grandi poeti spagnoli.

Dall’età di 20 anni ha vissuto continuativamente negli ospedali psichiatrici (da cui poteva anche uscire, dopo aver preso la terapia farmacologica, e tornare la sera).

E’ secondogenito di 3 figli; il padre (Leopoldo Panero Torvado) era un noto poeta e la madre Felicidad Blanc, intratteneva rapporti con Luis Cernuda poeta e letterato di Siviglia, antifascista e per questo esiliato negli Stati Uniti poi in Messico.

Leopoldo scrive di sé di come a 4 anni scrivesse già poesie o meglio, di come le dettasse alla madre che le trascriveva. Leopoldo ricorda le sue poesie come molto amare e forti; nonchè cariche di crudeltà.

Benito Fernandez in Vita y legenda de Leopoldo Maria Panero, scrive di come Leopoldo si definisse a 4 anni poetiso. Il piccolo poeta declamava con aria da adulto le sue opere; appariva d’improvviso durante le conversazioni letterarie del padre portando sotto braccio un pugno di riviste e in testa un cappello stracciato. Sosteneva inoltre di essere Capitan Marciales, un personaggio frutto della fantasia, il tutto improvvisando monologhi interminabili assumendo un tono della voce impostato.

L’infanzia di questo bambino di 4 anni, del tutto particolare si esprime nelle sue parole:

“Fatemi uscire dalla tomba mia/ là mi lasciarono con gli abitanti/ delle cose distrutte/ che ormai non erano più che/ quattromila scheletri”.

A 18 anni Leopoldo entra in contatto con gli psichiatri e a 20 anni comincia la sua vita nei manicomi. Tenterà il suicidio due volte (era inoltre consumatore di sostanze stupefacenti e sarà incarcerato per consumo di marijuana).

Intervistato da Janus Pravo (suo traduttore italiano) dirà: Sono nel fallimento più assoluto. Sai però che io considero il fallimento la più splendente vittoria.

Leopoldo diviene così il poeta matto che fuma 200 sigarette al giorno, consuma 50 lattine di Coca-Cola light e prima di uscire dall’ospedale assume la sua terapia fatta da due pasticche di neurolettici.

Leopoldo dirà :

I pazzi sono quelli che cadono, coloro che vincono. C’è chi cade e chi non cade. La follia è la pura verità.

L’opera di Leopoldo Maria Panero è solcata dalla lacerazione dell’Io

Nello specchio il mio volto non c’è. Avere come specchio/ unico questi occhi di vetro, questa nebbia.

Una nebbia, una scissione dell’Io che sembra meno lacerato e più presente di tante persone che vivono nella convinzione di avere una certe integrazione dalla loro…

Panero incarna il paradosso di colui che “estraneo al mondo”, capisce, comprende e vive il mondo.

Il paradosso della follia che apre.. lacera e squarcia e forse perchè no.. rende per questo più vivo un reale del tutto illusorio.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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Tra follia e creazione artistica: Robert Schumann.

La storia che oggi leggeremo racconta di una grande compositore, della sua follia e della sua creazione artistica sapientemente e indissolubilmente legate:

la storia di Robert Schumann.

Buona Lettura.

Il 4 Marzo 1854 il quarantaquattrenne Robert Schumann viene accolto nel manicomio di Endenich in seguito alla sua richiesta. E’ in questo manicomio che sarà seguito dallo psichiatra Richarz, fino alla sua morte nel 1856.

La psichiatria dell’epoca vive sotto l’opera di Philippe Pinel che nel Trattato differenzia la follia in 5 categorie: melancolia, mania con e senza delirio, demenza e idiotismo; molto probabilmente il nostro Schumann fu classificato tra i malati di melancolia. Schumann infatti, pochi giorni prima aveva cercato di suicidarsi gettandosi nel Reno (questo tuttavia non fu il primo tentativo di suicidio, ma il secondo) e il suicidio stesso era considerato tratto patognomonico della melancolia.

Robert viveva insieme all’eccellente pianista-moglie Clara Wieck; dal primo bacio del 25 novembre 1835 passeranno 5 anni prima di unirsi nel vincolo matrimoniale (passando attraverso una causa legale); Schumann infatti porterà in tribunale il suocero/maestro di pianoforte, accusato di aver offeso la libertà delle persone, rifiutando di dare la mano della propria figlia a Schumann stesso.

La vita di Schumann è costellata di lutti; fratelli e sorelle moriranno. Robert inoltre era sofferente fin da bambino di stati depressivi in conseguenza della morte del padre; inoltre anche la madre era depressa (segno della trasmissione familiare del disagio). Uno dei lutti peggiori da affrontare fu per Robert quello dell’amata sorella (così tanto amata da generare voci su un presunto legame incestuoso).

Il lutto però più importante fu per Schumann quello della perdita della sua mano destra; la mano perderà la funzione del dito terzo facendo cessare in Schumann ogni desiderio di poter diventare un grande pianista come Chopin. Nel 1832 Robert lega due dita della mano destra per poter allenare il medio e renderlo più forte e indipendente alla tastiera; questa pratica era piuttosto comune all’epoca ma per Schumann qualcosa andò storto giungendo alla completa perdita di tutto l’uso della mano.

Robert potè quindi dedicarsi alla sola composizione.

Clara divenne per Schumann la sua mano perduta. Interprete, mano e cuore mancante al compositore sofferente.

Robert inoltre era affetto da paralisi (forse a causa del mercurio usato per trattare la sifilide) e da maniacalità (curata con ipnosi e magnetismo); in quegli anni comporrà opere di straordinaria bellezza e inquietudine, mostrando l’evidenza clinica secondo cui il delirio e le allucinazioni sono presenti anche nelle fasi fortemente depresse.

Il dubbio diagnostico tra schizofrenia e disturbo bipolare (maniaco depressivo) è incentrato sul ruolo del delirio nelle due categorie.

Il delirio è una errata interpretazione della realtà; il soggetto infatti non riesce a dare una corretta lettura del mondo che lo circonda ma lo interpreta in funzione di un Io modificato. Al delirio si accompagnano le allucinazioni (percezioni di voci interne o esterne o di immagini). Nella iniziale storia della psichiatria, il delirio è stato legato alla schizofrenia, all’Io diviso, frammentato ma successivamente si è scoperto che anche nella melancolia e maniacalità vive questa condizione.

Per quanto concerne Schumann, quindi, è possibili ipotizzare un inquadramento dei suoi sintomi nelle alternanze maniacali e depressive e che in tale quadro si innesti la demenza propria della paralisi progressiva. Schumann quindi, soffriva molto probabilmente di una condizione a doppia diagnosi “disturbo bipolare e infezione luetica cerebrale”.

La nostra fortuna -tuttavia- è stata che Schumann non perdesse mai l’impulso vitale che ci ha regalato il genio che – nonostante tutto- ha saputo essere.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.