“La musica è una vera magia, non a caso i direttori hanno la bacchetta come i maghi”
Ezio Bosso.
Da bambina vivevo immersa nel mio mondo musicale.
Non so per quale motivo mi sia avvicinata al pianoforte (ho alcuni ricordi, in realtà, che però tengo gelosamente chiusi nelle stanze più remote dei ricordi d’infanzia). Il mio “non sapere” non è legato alla musica in sé, quanto allo strumento.
Il pianoforte è infatti tra tutti gli strumenti quello “distante”: non si abbraccia, non si cinge con le labbra né con le braccia ma ti sta di fronte lì.. maestoso ad osservarti.
Il pianoforte, acuto osservatore, produce inoltre un suono differente in base al modo con cui i tasti vengono percossi (c’è poi la questione della tecnica usata, della scuola.. dita più o meno piatte.. in punta.. la questione del polso, l’assetto della schiena) e così via..
Il mio mondo musicale prevedeva che da grande diventassi direttore d’orchestra.
Amavo (e amo) le mani; il movimento aereo e fluttuante delle dita leggere e spensierate.. lunghe e affusolate..
Le mani abbracciano, cingono, tengono, uniscono, legano, accarezzano, puntano.
Le mani diventano finestra sul mondo della possibilità.
Amavo – inoltre- l’idea di diventare musica; l’idea di “giocare sul serio“, divertendomi, danzando e guidando tutti gli strumenti.
Per me – in effetti- Muti era magico!
Ho avuto il mio percorso musicale (e ho il mio percorso fatto di suoni, pause, accordi, dissonanze, legature..)
Crescendo non ho fatto il direttore d’orchestra (e nemmeno la cantante lirica o jazz, non a tempo pieno, direi..); ho avuto le mie soddisfazioni in campo musicale e nell’hic et nunc la musica cammina al mio fianco in modo trasformato, concimato e potenziato.
“La musica ci insegna la cosa più importante che esista: ascoltare”.
Ezio Bosso
L’ascolto e i sogni…
Da quando giocavo a fare Sanremo.. a cantare le opere liriche più famose.. a dirigere i Berliner, a suonare Rachmaninov per immense platee, mi sono ritrovata seduta di fronte a sconosciuti nella totale posizione di ascolto (attivo ed empatico).
Il mio sogno in realtà si sta compiendo giorno dopo giorno.
Non ci sono platee, strumenti fisici (non sempre, almeno, vedi musicoterapia); non ci sono tasti reali o peso da dosare..
Ne siamo sicuri?
Il momento della terapia vede coinvolti due attori partecipanti che a turno diventano anche spettatori; il peso da dosare sono le parole, gli sguardi che diventano tasti da essere percossi a modo specifico in ciascun momento della terapia; gli strumenti sono i nostri corpi, caldi, che si scrutano e si penetrano, che si difendono e si osteggiano..
Strumento è poi anche la mente, attiva, confusa.. sgabello su cui adagiare il proprio corpo stanco e affaticato dalla lettura in corso..
Poi c’è l’ascolto..
Filo conduttore di tutto il percorso terapeutico a cui seguiranno gli applausi…
..Se tutto va come deve andare..
Un ragazzo in terapia lamentava la difficoltà, sentita come un vero e proprio dramma, del non riuscire a raggiungere i suoi obiettivi.. i suoi sogni..
I sogni non si raggiungono (per fortuna).. si trasformano, si mescolano, ci modificano per portarci a ridefinire il nostro spazio di interesse..
I sogni sedimentano e non devono diventare fardelli che sentiamo come una eco mortifera, ma devono vivere al nostro fianco intessendo trame nella e della nostra memoria.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.