Tra le canzoni che più amo cantare ci sono le tue.
Non saprei scegliere allora oggi condivido questa. Chi mi conosce sa che ho una passione spropositata per il tempo futuro.
Ci auguro la speranza di poter essere (e stare) nel -nostro- tempo futuro; ma per potersi pensare (poi essere) nel futuro, abbiamo bisogno di cuori che sappiano ascoltare come grandi orecchie e che sappiano abbracciare come grandi mani.
Chissà perché siamo così tanto legati a questo giorno del calendario.
Chissà perché..me lo chiedo spesso. In fin dei conti non è altro che la fine di una giornata e l’inizio di un’ altra. Ma nonostante questa consapevolezza inconscia, tutti noi siamo portati a caricare questa giornata e l’avvento della mezzanotte, di un significato speciale, qualcosa di quasi magico.
L’inizio di un nuovo anno ha sempre qualcosa di speciale. Per qualche motivo bizzarro è quel giorno di un intero anno in cui ci va di fare un resoconto di ciò che è successo nei 365 giorni trascorsi. Ma è anche il giorno dei progetti, dei buoni propositi, della speranza, con lo sguardo rivolto al futuro che ci aspetta. Così con lo sguardo rivolto all’orizzonte del prossimo futuro ci leghiamo a sprazzi di pensieri malinconici del tempo andato.
Quest’anno è stato devastante a livello emotivo, ci ha resi fragili e impotenti, responsabili e irresponsabili, impauriti e coraggiosi; è come se avessimo viaggiato alla deriva, di notte, su di una zattera scassata e con il mare in tempesta. Tutti abbiamo lottato per sopravvivere, nonostante non avessimo potuto contare su dei punti di riferimento (dov’era la terra ferma? quanto tempo sarebbe durata la tempesta? a chi chiedere aiuto?) e sulla certezza che quella zattera potesse reggere all’impatto delle onde e alla furia del vento. Strapazzati e ancora intontiti, siamo ancora su quella zattera, pare abbia resistito.. e in fondo, lì verso l’orizzonte si intravede, seppur fioca, la luce dell’alba. Il mare è ancora minaccioso, ma la tempesta sembra attenuarsi.
Il nostro futuro è quell’orizzonte sereno, la nostra sicurezza è la terra ferma che si intravede con le prime luci dell’alba, e non è poi così lontana. Adesso bisogna remare verso terra, tocca a noi, abbiamo ancora tanta forza, quella necessaria per metterci al sicuro. Remiamo insieme.
La mia zattera l’ho chiamata Ferry boat e non aspetterò domani per viaggiare verso terra.
Buon 2021 a tutti! E come diciamo a Napoli un abbraccio circolare!!!
Nei vari approfondimenti che sto condividendo con voi, ho spesso citato o evidenziato il fatto che il nostro sistema cognitivo sia un economizzatore di risorse. Il tempo in cui ci troviamo a vivere la nostra quotidianità è sempre più veloce, caotico e per nulla favorevole alle decisioni lente e meditate.
Ciò che oggi vi presenterò è un modo che il nostro sistema cognitivo ha di agire in maniera veloce ed essenziale (il che però non vuol dire privo di errori), ovvero le euristiche.
Buona lettura.
“Linda 31 anni, single schietta e molto intelligente, ha studiato filosofia; da studentessa era molto coinvolta in tutto ciò che era legato all’ambito sociale e delle discriminazioni. Partecipava alle manifestazioni antinucleare e amava vestirsi con abiti lunghi a fiori”.
Basandosi su tale descrizione, è più probabile che Linda sia:
1- Una cassiera in una banca
2- La cassiera in una banca e sia anche attivista in un gruppo femminista.
La maggior parte delle persone pensa che Linda sia una femminista attivista in quanto la sua descrizione si presta meglio all’idea, alla “rappresentazione” che nell’immaginario ha una donna attivista. Per giudicare qualcosa comparandolo intuitivamente alla rappresentazione mentale che si considera di “una certa categoria”, usiamo l’euristica della rappresentatività.
Tale euristica si basa sulla rilevanza degli attributi di una persona considerata come criterio per poter considerare la persona stessa come membro di una certa categoria. Si tratta di giudicare l’appartenenza di una persona a una categoria, sulla base della considerazione di quanto quella persona incarni il prototipo della categoria stessa. Con questa euristica le persone giudicano in modo veloce in quale categoria inserire gli altri.
“Ha più abitanti Mosca o Madrid?”
Probabilmente abbiamo risposto sulla base di un veloce sguardo mentale circa la grandezza delle due città e sulla loro successiva comparazione. Si tratta dell’euristica della disponibilità ovvero la tendenza a giudicare la frequenza o la probabilità di un evento o situazione, sulla base di quanto è facile pensare esempi di quel dato evento o situazione. Ciò che è rilevante non è tanto il contenuto del ricordo, quanto la facilità con cui un contenuto è ricordato o immaginato.
Una delle problematiche legata all’uso di tale euristica concerne però il fatto che si tende ad attribuire peso eccessivo a una situazione più recente e vivida rispetto ad una meno recente. Se “un certo giorno” ascoltiamo al telegiornale che ci sono state delle sparatorie nelle scuole, alcuni giorni dopo saremo portati a considerare il fenomeno della violenza e delle sparatorie nelle scuole, come più radicato e forte di quanto nella realtà, non sia. Ciò che tale euristica evidenzia è che le persone sono lente a dedurre casi particolari da una verità generale, ma sono incredibilmente veloci a dedurre una verità generale da un caso vivido.
Gli eventi facilmente immaginabili (quelli cognitivamente più disponibili) influenzano anche la sensazione di colpa, rimpianto, frustrazione e sollievo. Se la nostra squadra perde o vince una gara importante all’ultimo minuto, successivamente cominciamo ad immaginarci come sarebbe potuta andare “se”..
Immaginare alternative migliori e meditare quello che potremmo fare la prossima volta per avere un risultato migliore, ci aiuta ad arrivare meglio preparati al futuro. Si tratta dell’euristica della simulazione o pensiero controfattuale, secondo cui ci si può immaginare scenari e risultati alternativi. Tale euristica ha come risvolto il poter vivere di rimpianti o attribuire eccessiva importanza alla fortuna.
Quando dobbiamo emettere un giudizio in una situazione di incertezza, riduciamo l’ambiguità ancorandoci a un punto di riferimento stabile, facciamo dei progressivi aggiustamenti e prendiamo la decisione. L’euristica dell’ancoraggio e adattamento stima (partendo da un valore inziale cui ancorarsi), un qualche valore a cui viene accomodato un nuovo oggetto. Se ad esempio chiedo ad una persona “pensi che io sia alto meno di 1,75 cm?” la persona in questione ha un ancoraggio a “,meno 1,75” pertanto darà un valore molto vicino a quel numero dicendo magari “sì, credo tu sia alto 1,74” Il rischio in questo caso può essere sottostimare o sovrastimare la persona o l’oggetto considerati.
Le euristiche sono state considerati da molti studiosi, un “modo sciocco” di pensare che porta solo l’essere umano ad incorrere in errore, dimenticandosi di connettersi con il proprio mondo interno e la propria capacità riflessiva.
L’essere umano infatti – nonostante alcuni approcci teorici- non è qualcosa di rigidamente prestabilito e non funziona con modalità “input/output”. Se in certi casi le euristiche si sono mostrate come un modo freddo, veloce e rapido di prendere una scelta (ad esempio in caso di pericolo per la propria o altrui sicurezza), spesso riflettere e meditare evita fraintendimenti ed errori di cui, nel futuro, potremmo pentirci.
Alla scoperta di due approcci alla vita che muovono lungo un continuum che li vede agli antipodi. L’uno “ottimismo irrealistico” che fa sentire come Polyanna immersi in un mondo roseo, l’altro il “pessimismo difensivo” che prova a salvarci dalle possibili insidie dell’ottimismo irrealistico.
“Le visioni del futuro sono così rosee che farebbero arrossire Polyanna”
Shelley E. Taylor, Positive Illusions, 1989.
L’ottimismo predispone l’essere umano a un approccio positivo alla vita. E’ ottimista colui che tende a considerare solo i lati migliori della realtà in cui è calato; colui che sa valutare e/o attendersi solo sviluppi favorevoli circa il corso degli eventi che gli si pongono innanzi.
Tuttavia molti di noi possiedono ciò che il ricercatore Neil Weinstein definisce un “ottimismo irrealistico nei confronti degli eventi futuri della vita”. E’ interessante a tal proposito, citare i dati di una survey condotta tra il 2006 e il 2008 in cui molte persone dichiararono di aspettarsi un miglioramento della propria vita (di qualsiasi aspetto) nei prossimi 5 anni, maggiore di quanto fosse successo nei 5 anni appena trascorsi (Daron, 2010). Il miglioramento che i soggetti intervistati sembravano aspettarsi, è particolarmente interessante visto che la survey è stata condotta nel pieno del periodo della recessione economica che ha colpito il mondo.
Come provare a leggere o interpretare questi dati?
Linda Perloff (1987) sostenne che l’ottimismo illusorio potesse aumentare la nostra vulnerabilità in quanto potenzialmente deleterio: ma in che modo? l’ottimista a tutti i costi, tende infatti a sottostimare la possibile negatività di un evento o la possibilità che qualcosa possa andare storto con l’inevitabile risultato che non vengano prese delle precauzioni di fronte a quello che potrebbe essere invece un potenziale pericolo.
In un sondaggio condotto tra la Scozia e gli Stati Uniti, i ventenni hanno valutato di avere molte meno probabilità dei loro compagni di essere infettati dal virus dell’AIDS (Abrams,1991; Pryor e Reeder, 1993). Allo stesso modo i giocatori d’azzardo ottimisti, tendono a persistere ostinatamente (più dei pessimisti) nel loro gioco anche dopo che hanno accumulato perdite su perdite (Gibson e Sanbonmatsu,2004).
Gli studiosi sono ancora impegnati nello studio dell’ottimismo in quanto consapevoli del fatto che essere ottimisti comporti miglioramenti nella gestione della vita (promozione del senso di autoefficacia; promozione della salute fisica; promozione nel benessere dell’individuo). Tuttavia è molto più probabile che la “virtù stia nel mezzo”.
Julie Norem (2000) definisce il pessimismo difensivo come “un valore adattivo legato all’anticipazione di problemi e al controllo dell’ansia da parte della persona motivata a compiere azioni efficaci”, in sostanza il pessimismo difensivo piò salvarci dalle insidie dell’ottimismo irrealistico.
Da studi condotti (Robins e Beer, 2001), è emerso che gli studenti che iniziano il proprio percorso universitario considerando “troppo” la propria preparazione/capacità accademica, tendono poi ad avere (durante il percorso di studi), gravi danni alla propria autostima poichè incapaci di fronteggiare lo stress dovuto a qualche piccolo – spesso inevitabile- fallimento. Ciò che invece sembrerebbe fare il pessimismo difensivo, è anticipare i possibili problemi/ostacoli, puntando a fare leva su una risoluzione efficace.
Se prima di un esame, colloquio di lavoro o qualsiasi evento di vita (anche una convivenza), mi prendo del tempo per meditare e vagliare le possibili conseguenze della mia azione/strategia, applicando anche quel pizzico di pessimismo difensivo “questa cosa potrebbe andare male se..”, molto probabilmente aumenterò la possibilità che di converso quella data cosa finisca bene, in quanto sarò più pronto ad attuare delle strategie maggiormente adattive anche in caso di errore o fallimento.
In un tempo sempre più veloce dove l’essere umano sembra perdere ogni giorno sempre più il legame con il proprio desiderio, abbandonarsi alla riflessione sembra oggi più che mai, uno dei modi per recuperare e riuscire laddove fino a poco prima si falliva.
Il tempo è il protagonista nel bene o nel male della nostra esistenza, ma come facciamo a riferirci ad esso come a qualcosa di reale?
L’unica cosa ad essere reale è la nostra idea di tempo, perché il tempo non è altro che una concettualizzazione mentale di un qualcosa di astratto. È l’idea sostantivata che designa l’alternarsi regolare del giorno e della notte dovuto alla rotazione della terra sul proprio asse; un modo per definire quel fenomeno dell’invecchiamento che è di tutta la materia vivente e non; è un tentativo patetico dell’uomo di dare un senso e una regola a tutto ciò che pensa di conoscere.
In virtù di tale definizione, mi sembra abbastanza evidente che la nostra paura di qualcosa di intangibile di cui conosciamo nulla o che ci illudiamo di conoscere almeno in parte e in qualche modo di controllare, è lecita. Anche e in particolar modo quando la nostra capacità e libertà di scelta nel presente ci viene preclusa da vincoli che possono essere di natura soggettiva o ambientale. In tal modo la nostra già sbiadita immagine del nostro presunto futuro svanisce, allora tutte le nostre convinzioni scandite da obbiettivi e previsioni cadono inesorabilmente, quindi abbiamo paura.
Questa paura deriva dal fatto che la stessa natura umana è portata a vivere disseminando per strada continui appoggi che si basano sulla nostra capacità predittiva, che a sua volta deriva dalla nostra esperienza; venuti a mancare tali appoggi che derivano quindi da una mancata attività esperienziale in quel campo, senza rendercene conto cadiamo nel baratro delle incertezze e quindi nel terrore verso l’avvenire.
L’uomo ha bisogno di certezze perché spesso senza di esse sopraggiunge l’ansia che prelude all’incertezza e allo sconosciuto. Se queste certezze non si possono avere spesso ci rivolgiamo alla fede o in qualunque cosa possa dare un senso al non senso.
Passato, presente e futuro nel bene e nel male sono persistenti nella nostra vita, sono caratterizzanti e significativi rispetto al nostro vissuto con il susseguirsi di problemi, opportunità e soluzioni.
Ad esempio, un problema che caratterizza il futuro, nell’epoca che viviamo, risulta essere abbastanza comune nella generazione dei giovani molto sensibile alla attuale instabilità del sistema sociale, economico e sanitario mondiale.
La sorta di insicurezza nella quale ci troviamo a vivere può creare nevrosi collettive e individuali, che alimentano timori e paranoie nei singoli e nei gruppi che nel peggiore dei casi possono sfociare in estremismi verbali e comportamentali più o meno gravi che a volte condizionano moltissime persone e popoli interi.
Il problema del passato invece può avere un peso specifico più determinante. Ad esempio, un rifiuto e una negazione di esso, nella visione psicologica e psicoanalitica, potrebbe derivare da traumi più o meno gravi. Per trauma intendo inquadrare tutta una serie di situazioni che possono aver inciso in modo distruttivo sulle certezze, sulla morale, sull’esperienza e sulla coscienza dell’individuo inteso, ovviamente, nel suo contesto ambientale ed esperienziale. Il rifiuto del passato è sintomo di una carenza, di una mancanza che genera una falla in un sistema chiaramente precario.
Le nostre certezze riguardo il tempo si rivolgono unicamente al passato, in quanto tangibile e osservabile nell’ immenso scorrere dei fotogrammi dei nostri ricordi; il futuro non esiste in quanto esso è continuamente soggiogato dal presente che è l’attimo irrisorio che esiste e poi muore cedendo all’ incombenza del passato.
Enzo Avitabile feat Pino Daniele “E’ ancora tiempo” – Album “Black Tarantella”
La società contemporanea soffre di un male: l’indifferenza.
Indifferenza alla memoria, alla storia, agli eventi e alle loro conseguenze.
L’uomo contemporaneo nonostante l’expertise di secoli e di svariati eventi continua sistematicamente a persistere negli stessi errori a distanza di tempo.
La sua bramosia di potere politico ed economico spinta da un pizzico di eccessiva presunzione, mette a riposo la memoria di un recente passato ricadendo inevitabilmente nel vorticoso labirinto di un errore, dal quale non sarà facile uscirne.
<< La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente >> (Hosbsawm).
Questo potrebbe essere l’errore reale della nostra società?
I giovani perdono interesse nella memoria storica perché stanchi di una realtà già vissuta, già vista, già studiata, che non appartiene più al loro mondo impregnato fin troppo nel benessere e nella velocità.
Un mondo a parte, un’ isola felice in mezzo ad un mare sconosciuto e percepito come buio e profondo. Il mondo delle connessioni estemporanee, veloci, sintetiche. Un mondo in cui la percezione del tempo è relativa e confusa.
Quindi la sensazione è che la memoria storica sia diventata solo una grande cassaforte il cui contenuto è conosciuto solo in parte. Essa viene aperta solo quando è necessario per far cronaca. Il suo contenuto è troppo ingombrante e poco conveniente, lo si osserva da lontano, forse da troppo lontano e si dimentica troppo in fretta quello che si è visto.
Il futuro è in balia di una corrente che gira sempre in tondo.
Dobbiamo ricordare che Noi siamo attori protagonisti, autori del nostro futuro, ma soprattutto contenitori del ricordo e della memoria.