“La cosa più importante che i genitori possono insegnare ai loro figli è come andare avanti senza di loro.”
FRANK A. CLARK
Questa tappa del nostro viaggio ci riporterà sulle strade della relazioni, quelle delle origini, quelle forse più intense.. quelle tra genitori e figli. Percorreremo quindi terreni complessi ma emozionanti. Un viaggio tra limiti e libertà..
Buon Ascolto..
Tra limiti e libertà – la relazione tra genitori e figli – In Viaggio con la Psicologia – Podcast Spreaker
Tra limiti e libertà – la relazione tra genitori e figli – In Viaggio con la Psicologia – Podcast Video
L’isola del tempo (senza tempo) ovvero la stanza d’analisi in cui si viene a creare (e ad agire) la relazione paziente/terapeuta, non è fatta dai soli elementi che concorrono a formare il setting materiale e immateriale; anche il corpo dell’analista stesso diviene luogo di agito e per agire.
Il controtransfert corporeo (che interessa il corpo dell’analista) consente di arrivare alla comprensione (possibile) del fantasma fondamentale.
Gli adolescenti vivono in quella condizione che li fa costantemente oscillare tra il desiderio di relazione e la paura dell’intrusività, tra desiderio di contatto e difese che si ergono come barricate difficili da far crollare, erette per evitare di subire il controllo dell’oggetto (Super-Io perverso).
La qualità del legame con oggetti genitoriali inaffidabili e abusanti modellano e influenzano le successive relazioni. Accade, ad esempio, che i conflitti con i genitori si riattualizzino nella seduta con l’analista rievocando o rivivendo quelli più arcaici.
(Ecco perché la terapia è qualitativamente e quantitativamente molto diversa dalla semplice chiacchierata che chiunque è convinto di poter offrire come supporto, al disagio della persona).
Modalità relazionali genitoriali che non riconoscono l’identità e l’indipendenza del figlio, producono una violazione del figlio stesso, tale da indurre traumi che ostacoleranno la costruzione di una relazione in cui si riesce ad esprimere in maniera sana (e intima) i propri bisogni di cure.
Il movimento del bambino verso l’oggetto sarà così tanto compromesso da produrre difese autistiche, narcisistiche oppure le basi per un falso sé, fino a giungere all’identificazione con l’aggressore e un’introiezione del senso di colpa.
(Attenzione quindi a parlare di traumi o aggressioni, presunte o reali, con troppa facilità).
Quale il possibile destino dell’adolescente?
Ripetere il trauma (che sarà rimesso in scena anche durante la seduta).
“Il vincolo perverso che transferalmente si può ricreare offre l’occasione di liberarsi dalla ripetizione, consentendo il progressivo affrancarsi dalle aree traumatiche” (Cinzia Carnevali, Paola Masoni, 2021).
Cosa può accadere nel setting?
Nell’incontro del qui e ora, si può ripetere il trauma del là e allora; questi adolescenti possono instaurare un legame (con l’analista) che oscilla tra intimità patologica (simbiotica e perversa), collusiva, difese narcisistiche oppure esplosioni di rabbia.
E’ necessario, spesso, dimenticare la linearità del pensiero non essere statici e rendere il setting elastico al pari di una rete di contenimento dei circensi; un setting morbido al cui interno l’analista è capace di farsi usare (Winnicott, 1969) fino a (ri)vivere sulla propria pelle le modalità intrusive e aggressive subite dagli adolescenti durante l’infanzia.
In questa tappa del nostro viaggio faremo un interessante immersione sotto la superficie dell’apparenza e del pregiudizio.
Andremo a fondo della questione “Gelosia” e scandagliando bene il fondale avremmo probabilmente la possibilità di rinvenire elementi importanti che ci aiuteranno a comprenderne il significato di questo sentimento nei bambini e magari riconsiderarlo in positivo quando possibile..
Buon Ascolto..
Psicologia e bambini. La Gelosia tra fratelli e sorelle.. – In viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast
Psicologia e bambini. La Gelosia tra fratelli e sorelle.. – In viaggio con la Psicologia – Spotify Podcast
La crescita è un processo piuttosto complesso che reca la sua complessità nell’etimologia stessa del termine.
Crescere deriva infatti dal latino e dalla stessa radice di “creare”: cresco, quindi creo.
Diventando più grande, sviluppo (si spera in meglio ovvero nella migliore delle loro possibilità), le mie qualità.
Crescendo, creo la versione migliore di me.
La crescita non è soltanto un processo legato all’accrescimento -ad esempio- delle parti del proprio corpo (altezza, peso, forma), ma indica un processo (creativo) che si situa al confine tra l’ambiente e l’organismo.
Tra me e l’ambiente (fisico) e il campo psicologico in cui sono immerso, si situa quel processo creativo che permette crescita, sviluppo e creazione del mio Io.
Crescere è un atto di fiducia; ci si fida e affida a sé stessi certo, ma anche (e soprattutto) al prossimo.
I genitori che chiedono una consultazione per i propri bambini, portandoli in studio come fossero pezzi di un puzzle da riunire/comporre, perdono la fiducia nei propri bambini.
Il disagio va riconosciuto e accolto ma va -per prima cosa- rispettato.
Troppi genitori pensano ai figli come “giocattoli rotti”, dimenticando che l’elicitazione di un disagio è una richiesta silenziosamente urlata che merita ora, dal genitore, fiducia.
Il genitore deve -ora- fidarsi e affidarsi; fidarsi del proprio bambino e del terapeuta; affidarsi al terapeuta.
Crescere è un atto di creazione costante e continuo, spesso discontinuo vero… ma è pur sempre un movimento che non si arresta con il raggiungimento dell’età adulta.
Se ci pensiamo bene anche il corpo non resta mai nella forma fisica raggiunta “ad una certa età”, ed ecco che anche le esperienze che quotidianamente viviamo, continuano ad avere influenza su di noi: sulla nostra psiche.
E allora più che ai puzzle (che non ho mai sopportato perché non trovo il piacere di far combaciare in forme e pezzi prestabiliti una figura prestabilita), ritorniamo alla possibilità di essere come i semi.
Piantiamo da qualche parte il nostro seme, la nostra essenza, che attecchirà in un terreno che avrà costantemente bisogno di cure, nutrimento e attenzione.
Crescere è il nostro atto creativo quindi -rivoluzionario- perché la creazione ha sempre con sé una piccola quota di rivoluzione.
Le prime relazioni, specie quelle con i genitori, incidono in maniera significativa sulla nostra vita futura e sullo sviluppo della nostra personalità. In particolare le norme implicite ed esplicite trasmesse dai genitori, insieme allo stile familiare, diventano parte integrante dell’identità, delle abitudini, dei comportamenti, del modo di agire e di pensare della persona che sarà.
Ma qual è lo stile educativo migliore per i bambini?
Partiamo da quello per antonomasia più rigido e serioso: lo stile educativo autoritario.
Quello autoritario è caratteristico di quelle famiglie in cui ai “no” numerosi, si affiancano tante regole inflessibili, punizioni severe e a volte minacce di “botte”. In queste famiglie i figli sono poco o per nulla coinvolti nelle decisioni familiari. I genitori sono molto esigenti e si aspettano che i figli obbediscano senza possibilità di esporsi.
In genere i figli di famiglie autoritarie sono diffidenti nei confronti dei genitori e non hanno un dialogo vero, perché non gli è permesso. Considerano le punizioni ingiuste, non si confidano con i genitori, sono abituati a mentire e cercano sempre di allontanarsi da loro.
Lo stile permissivo è all’esatto opposto dello stile autoritario. In genere le famiglie con stile permissivo non contraddicono i figli e cedono spesso alle richieste e ai capricci dei propri figli. I figli, in questo caso, non hanno grossi limiti, sono liberi di scegliere da soli, anche quando magari non hanno la capacità e la maturità per farlo. Questo comporta, purtroppo che spesso i figli si sentano, in situazioni complesse, un po’ in balia degli eventi, perché non supportati e aiutati. Insomma, si aspetta che i figli si educhino da soli.
I genitori permissivi sono, in effetti, tolleranti e incoraggianti, ma spesso diventano incoerenti. Ciò accade perché quando si sentono attaccati o devono affrontare situazioni troppo difficili e serie, il loro tentativo di riprendere il controllo e esercitare la disciplina diventa inefficace e appaiono deboli; oppure possono diventare improvvisamente, intolleranti e autoritari.
Un eccesso di stile permissivo rischia di sfociare nella trascuratezza.
Lo stile trascurante è quello che adottano i genitori distaccati e non coinvolti, che tendono a distanziarsi “emotivamente” dai propri figli e mostrano così uno scarso interesse nei loro confronti. Questi genitori lasciano fare ai figli ciò che vogliono, non li sostengono e non forniscono, ai propri figli, quasi nessuno strumento per la comprensione del mondo e le regole. Risultano assenti dalla vita dei propri figli e quando sono costretti ad interagire con loro, si infastidiscono e risultano ostili.
I figli di questi genitori in genere vivono continuamente un distacco, un abbandono. Rischiano così di crescere inesperti, immaturi, con la sensazione di non valere abbastanza e con un forte sentimento di rivalsa. La loro fortuna potrebbe essere quella di incontrare e vivere, nel loro ambiente di vita, con altre figure di riferimento importanti e ben disposte nei loro confronti.
Esistono poi i genitori con uno stile iperprotettivo ed ansioso. Questi non sono distaccati e neppure demotivanti, ma si sovrappongono continuamente alle scelte e alle iniziative dei propri figli. Nonostante abbiano una buona capacità di stabilire un legame significativo con i propri figli e siano molto consapevoli dell’importanza dell’educazione dei propri figli, risultano di contro essere veramente troppo preoccupati.
Questa iper-preoccupazione porta a una costruzione di una “bolla” protettiva attorno ai propri figli che non permette a questi di poter sbagliare, mettersi in situazioni potenzialmente pericolose, andare incontro ad insuccessi. Questo purtroppo non concede ai figli di provare a raggiungere l’autonomia personale, che è necessaria per imparare dalle proprie esperienze e rafforzarsi.
In questa situazione i figli possono ribellarsi improvvisamente, oppure (come spesso accade) adeguarsi e adagiarsi delegando anche decisioni molto personali ai genitori. Rischieranno di diventare adulti incapaci di gestirsi da soli, incapaci di prendere decisioni e abituati ad essere serviti ad ogni loro comando e desiderio.
Infine c’è lo stile autorevole, che pare essere il migliore. Questo stile educativo ci fornisce una chiara lettura di come un deciso equilibrio tra le varie componenti sia fondamentale per fornire un messaggio educativo chiaro e coerente ai propri figli. In questo caso infatti i genitori esigeranno rispetto e forniranno regole di comportamento coerenti con l’età e le caratteristiche individuali dei propri figli.
I genitori, inoltre, saranno desiderosi di riconoscere i bisogni dei propri figli e solleciteranno la propria opinione. Faranno in modo di condividere momenti con loro, ma non saranno invadenti. Li aiuteranno, ma non si sostituiranno alle attività che i figli possono tranquillamente svolgere da soli. Forniranno feedback coerenti e attenti. A differenza del genitore permissivo, il genitore autorevole saprà dire “no”, quando necessario, in coerenza con i valori che vuole trasmettere ai propri figli.
Infine, il genitore autorevole promuoverà l’autonomia del proprio figlio mettendo a freno le proprie ansie eccessive e sa che certi errori e dolori aiutano a crescere.
I figli dei genitori autorevoli, risultano in media i più capaci, i più fiduciosi nelle proprie possibilità e socialmente i più responsabili e maturi. In genere, risultano da adolescenti i meno inclini ad assumere sostanze e a farne abuso e anche meno aggressivi e quindi meno inclini a ricorrere alla violenza.
Tutte le informazioni personali (ad esempio nome), così come tutti gli altri dati sensibili, sono coperti dal segreto professionale e dalla tutela del cliente (ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi).
La storia che voglio condividere con voi oggi, è piuttosto particolare. E’ stata la ragazza in questione a chiederne condivisione nella speranza di muovere la riflessione “nei genitori”, ovvero in tutti coloro che per un motivo o un altro, rivestono un ruolo analogo.
Proviamo ad andare con ordine.
Per genitorialità si intende una funzione molto delicata e complessa che si snoda lungo la vita di coloro che decidono di avere un bambino; a rendere complessa tale funzione è, come vedremo, il fatto che genitore non si nasce né si diventa ( intendo con ciò che non si tratta di una funzione che mira al raggiungimento di uno scopo X che, una volta raggiunto, comporta il riconoscimento di buon genitore). Non è qualcosa di statico ma è un processo in divenire, sempre attivo, in cui ci si conosce e riconosce, in cui si è esposti al continuo fluire e mutamento della vita (della famiglia). Nella genitorialità vi sono sia aspetti individuali relativi quindi alla nostra idea (in parte conscia e in parte inconscia) di come un genitore deve essere e, sia aspetti di coppia ossia della modalità relazionale che i partner condividono nell’assolvere questo specifico compito. Non è quindi l’evento biologico a fare un genitore, essendo questo un evento che produce significativi cambiamenti individuali e relazionali che, saranno presenti ed in continua evoluzione lungo tutto il resto del ciclo vitale degli individui coinvolti. L’elemento fondamentale nasce dal fatto che si parte da una coppia (2 individui) per poi giungere a una famiglia (3 o più individui) che analogamente ad un team, coopereranno per creare un ambiente sano, accogliente che possa favorire l’emergere delle qualità proprie di ciascun membro coinvolto. All’interno della funzione genitoriale vi sono tutta una serie di “compiti” (mi si passi il termine, ma il riferimento tecnico/scientifico me lo impone), che al momento però, non sono rilevanti per il discorso portato avanti.
Giulia ha 16 anni e giunge in consultazione di sua spontanea volontà; le motivazioni intrinseche della ragazza sono molto forti ed evidenti fin da subito, mentre ad essere scostante è la madre.
La ragazza ha un evidente e urgente bisogno di parlare con me; quando si siede è vistosamente in agitazione ma non si tratta di un’agitazione convulsa quanto più di una necessità che finalmente sta per trovare rete di contenimento.
Il nucleo familiare è originario di una città del centro e si è trasferito da qualche mese al sud perché il padre ha deciso di trasferirsi in una certa azienda per fare finalmente carriera; da sempre schiavo del suo lavoro aspetta con ansia la possibilità di esser riconosciuto anche all’estero e forse, ora, ha trovato il giusto trampolino di lancio. La madre di Giulia è una donna abbastanza vuota; convinta di essere superiore alle altre donne, si muove nel mondo con aria superba e convinta del suo esser migliore degli altri, spara sentenze a zero senza rendersi conto che così facendo, fa “il gioco” di chi tanto critica.
Giulia si è integrata benissimo in città, dove vivevano prima era vittima di bullismo (è una ragazza molto alta e grande, per l’età che ha) mentre ora sente di potersi esprimere liberamente; ha inoltre una relazione d’amore con una ragazza e vive la sua sessualità in maniera libera e spensierata.
Cosa agita allora Giulia?
Un giorno, navigando su una certa piattaforma, legge alcuni commenti sulle pagine da lei maggiormente frequentate, da parte di una utente che spamma parti del suo corpo di continuo. Questo nome attira l’attenzione della giovane perché notando il tipo di interazione che viene utilizzato, Giulia sembra riconoscere qualcosa di familiare.
La ragazza comincia a seguire questo account e nota pagine e pagine di discussione che questo “nome” fa su diversi blog e social.
“Quello che mi sconvolgeva Dottoressa era la stupidità delle conversazioni; l’illusione da parte di questi soggetti coinvolti che in quelle conversazioni, fosse raccontata la realtà”
Giulia scopre in breve tempo che quell’account è sua madre e comincia a non dormire la notte perché immersa nel bisogno di capire “perché, per quale motivo”.
Ciò che delude maggiormente la ragazza, è il fatto che sua madre si sia creata una vita parallela; racconta di essere completamente un’altra persona e passa le ore intere ad adescare persone online.
“Provo un senso di schifo e vergogna io, per lei. Quei disperati che le scrivono poi… Ma secondo lei un professore impegnato o un professionista del marketing passano le ore là sopra così.. senza fare niente? Se mia madre ha potuto inventare tutto, di sicuro lo hanno fatto anche loro. Che merda dottoressa… che schifo… Il fatto che quella donna lì sia mia madre e che si sieda a tavola con me, la sera e dorma con mio padre mentre di giorno fa quelle cose, mi provoca un dolore così forte da non sapere più dove metterlo”.
Infatti il dolore di Giulia diviene così insopportabile da provocarle tutta una serie di sintomi psicosomatici talmente forti da farla ammalare per davvero (senza specificare ci saranno problemi medici di salute, sul lungo termine)
Il padre di Giulia non si è mai accorto di niente (così come la madre, per quanto concerne il motivo del disagio della figlia). La ragazza non ha mai avuto il coraggio di confessare alla madre di sapere, di aver trovato il materiale (le prove) di ciò che lei fa online e fuori dallo schermo.
La situazione appare quindi complessa perché fermi nella situazione in cui sai qualcosa che non dovresti sapere, la mente comincia a girare su se stessa notte e giorno, senza sosta, senza motivo.
Come clinica sperimento l’ansia in prima persona: alcuni colloqui sono senza aria, senza via d’uscita; non si vede nemmeno lontanamente la scritta “exit” e sento molto la sofferenza di Giulia.
Non c’è stata persona, lo sapete, che abbia varcato la porta dello studio che mi sia rimasta indifferente; ciascuno a modo suo si prende un piccolo spazio nel mio vissuto lasciando traccia emotiva ma Giulia è una ragazza da cui faticherò a distaccarmi.
Riesce a leggere la realtà in una maniera sincera e realistica; si mette in gioco e segue passo passo, senza opporre resistenza ma anzi, chiedendole, le mie interpretazioni.
“Sa Dottoressa… le madri non solo ti mettono al mondo dandoti la vita… spesso… il mondo possono anche togliertelo: deludendoti”
Con la nostra prossima tappa vi accompagnerò in un mondo per lo più sconosciuto, un mondo fantastico a volte, ma tante altre strano e caotico. Viaggeremo sui binari delle montagne russe della preadolescenza. Genitori e figli; cosa succede con l’avvento della preadolescenza e quali sono i nuovi compiti di sviluppo per i genitori e la famiglia? Per i ragazzi sarà un continuo alternarsi di sensazioni e emozioni: appartenere per separarsi, paura del cambiamento e il fascino per le nuove scoperte. Buon Ascolto..
Psicologia dell’età evolutiva – la Preadolescenza – PODCAST – In viaggio con la Psicologia
Psicologia dell’età evolutiva – la Preadolescenza – PODCAST – In viaggio con la Psicologia – Spotify