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Sulla Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne

Oggi è la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne.

Purtroppo i numeri sono impietosi. Le cronache italiane quasi quotidianamente devono raccontare di violenze e femminicidi.

Va bene la sensibilizzazione, ma bisogna responsabilizzare le persone ad atti concreti contro il perpetuarsi di queste violenze.

Negare è come difendersi dall’idea che quella cosa stia accadendo veramente, per sfuggire alla paura, ma non è un meccanismo di difesa efficace, ha solo la capacità di spostare il problema e non di risolverlo.

Bisogna cambiare qualcosa a livello psicologico, culturale, sociale, giuridico; bisognerebbe iniziare un circolo virtuoso, in cui lo Stato può farsi garante di un percorso continuo, sicuro e completo per le donne vittime di violenza e per i bambini che hanno perso la madre.

Photo by Anete Lusina on Pexels.com

Di seguito riporto alcuni stralci molto interessanti di un articolo del 2018, di Anna Costanza Baldry (1970 – 2019) (Psicologa, Criminologa), che ho avuto la fortuna di conoscere da studente universitario. Una delle maggiori esperte sul fenomeno della violenza di genere, in Italia. La Baldry ha anche collaborato con la Polizia di Stato, con la NATO e le Nazioni Unite.

” […] è importante capire come ogni persona ha una responsabilità, nel senso professionale, oltre che personale, nello scalfire il fenomeno della violenza, e quindi dire basta al negazionismo e guardare nella realtà quelli che sono questi comportamenti e quindi anche di fatto agire di conseguenza.
Non esiste il reato di femminicidio, è un omicidio a tutti gli effetti. Anche se la legge, passata proprio nel 2018, che tutela gli orfani di femminicidio, ha introdotto il fatto che, l’essere ucciso da qualcuno con cui si era legati da una relazione affettiva, è più grave, perché viene leso un rapporto di fiducia e di stima.
Femminicidio è un termine che c’è già da tanto tempo nella nostra cultura e nella letteratura sociologica e criminologica, che fa riferimento proprio a questi tipi di omicidi, cioè all’omicidio della donna in quanto donna.

… è emerso che nel 70% dei casi l’omicidio non è stato un raptus.”

Anna Costanza Baldry

” […] Non è mai un raptus, perché se si va a vedere il numero delle perizie richieste e fatte, che hanno avuto come esito la non imputabilità (quindi la non capacità di intendere e di volere, che è quell’espressione giuridica che riconosce che la persona, al momento del fatto, non era in sé e quindi non è imputabile, quindi non si può sottoporre né ad indagini e né tanto meno ad un processo) è molto residua in questi casi. Si parla di situazioni dove presumibilmente c’era sotto anche un aspetto patologico.[…] “

Anna Costanza Baldry

” […] Dietro a questi comportamenti omicidiari, ma anche dietro la violenza, ci sono una serie di fattori di rischio, che possono essere più legati all’individuo, possono essere legati al contesto.. Però, al netto di questi fattori individuali, relazionali, contestuali, fattori di rischio quindi, come precedenti penali, abuso di sostanze, l’essere cresciuto in un determinato contesto sociale e culturale, avere dei disagi, dei disturbi psicologici, va detto che in ogni caso quello che c’è alla base di molti di questi comportamenti violenti, misogini è la sopraffazione e il potere.[…]”

Anna Costanza Baldry

dott. Gennaro Rinaldi

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Violenze domestiche: conseguenze psicologiche e fisiche.

Il fenomeno della violenza domestica ha a che fare con una serie di azioni che hanno luogo all’interno della relazione che partono dal passato e arrivano al presente. Questa serie di condotte e azioni riguardano l’aspetto psicologico, economico, fisico e sessuale. Nel tempo le conseguenze di questi atti possono portare a danni di natura fisica e psicologica.

La violenza psicologica è moto subdola e può riguardare tutta una serie di atteggiamenti intimidatori, vessatori, denigratori. Sono subdoli perché spesso non esplicitati e di difficile comprensione da parte delle persone estranee alla coppia. Il partner tende infatti a mettere in atto tutta una serie di “strategie” di isolamento, limitazione dell’espressione personale e terrore, nei confronti dell’altro partner. Attuando ricatti, insulti verbali, colpevolizzazioni nel privato e nel pubblico, umiliazioni e denigrazioni. Spesso l’ “efficacia” pervasiva di questi atti porta ad un vero e proprio “lavaggio del cervello” e la sensazione da parte delle vittime, di vivere sempre con la paura che possa succedere qualcosa di molto grave. La continua esposizione a queste condizioni portano le donne (che nella maggior parte dei casi sono le vittime delle violenze domestiche) ad avere gravi danni sul piano psicologico.

La conseguenza di queste situazioni porta la donna vittima di violenza a colpevolizzarsi continuamente, portando dentro di sé una sensazione costante di inadeguatezza. Entra così in un circolo vizioso di accondiscendenza e sottomissione alle richieste del maltrattante, così da risultare il più possibile adeguata alle sue richieste, per non farlo adirare.

Si crea così una sorta di perversa dipendenza psicologica dall’aggressore maltrattante.
La maggior parte delle donne che denunciano il partner che le maltratta, spesso non hanno intenzione di lasciarlo, ma solo di contenerlo e controllarlo. Capita che una volta subite le prime violenze le donne, loro malgrado, interpretano il ruolo di vittima. La serie di atti prima descritti e la pressione psicologica generata dal comportamento del maltrattante genera nella donna, come fonte di sofferenza, il senso di colpa per il sospetto di essere responsabili di quella reazione, in sintesi di meritarla.


In diversi i casi può accadere un ribaltamento della situazione: il soggetto maltrattante dopo la violenza diventa vittima della vittima, che ora si trova in una posizione di dominanza, desiderando il perdono.
Si invertono così i ruoli se la donna minaccia l’allontanamento fisico l’uomo risponde con il vittimismo. Questo altalenarsi della relazione in un sorta di danza perversa di dominanza/sottomissione, permette alla donna di restare. La donna infatti in questo caso avverte il vittimismo del compagno come un momento di gratificazione e quindi s’illude di poter avere la possibilità di “aggiustare” e controllare la relazione.

Immagine Personale

Le donne spesso denunciano questi fatti a parenti ed amici i quali non hanno le capacità o non avvertono la necessità di impedire l’aggressione fisica e psicologica.
La famiglia può rappresentare una risorsa e un aiuto, ma tante volte può diventare un ostacolo e paradossalmente può giustificare in qualche modo le violenze. Infatti può capitare che alcune famiglie possono incoraggiare la donna a tenere unito il matrimonio per ragioni etico religiose, giustificando anche la loro linea di pensiero con il fatto che i danni non sembrano particolarmente gravi.
Ad esempio può capitare quando nel compagno maltrattante viene riconosciuta una situazione di sofferenza, una qualche patologia mentale o psichica. In questo caso la donna non legittima la separazione in quanto comprende la sofferenza dell’altro, subordinando la propria di sofferenza.

La violenza fisica comprende invece tutta quella serie di azioni atti a far del male (procurare dolore fisico e segni) e quindi a spaventare la vittima, che può temere continuamente per la sua incolumità. La violenza fisica può essere esperita in tanti modi diversi (calci, pugni, morsi, colpi alla testa, torsioni del braccio, soffocamento, scossoni, spintoni). Queste violenze fisiche sono agite proprio per spaventare e rendere l’altra persona in un stato di soggezione e controllo.

La violenza economica riguarda tutta quella serie di espedienti volti ad evitare che la donna arrivi ad avere una indipendenza economica. Ciò ovviamente ha come finalità quella di rendere la donna sempre e comunque dipendente e senza nessuna possibilità di pensare di poter essere economicamente emancipata. Anche quando la donna ha un lavoro, il maltrattante farà in modo di gestire o sperperare il denaro del lavoro della partner., che sarà costretta a nascondere una parte dei propri introiti.

La violenza sessuale riguarda tutti quegli atti legati alla sfera del sessuale. Il partner in questo caso è costretto ad avere rapporti sessuali, con minacce, violenze e ricatti. Costrizione ad avere rapporti anche con terzi e visionare o fare video.

Immagine Personale


La violenza e gli abusi contro le donne non hanno alcuna giustificazione, qualunque natura essi abbiano.

Non bisogna mai sottovalutare i primi segnali di una escalation violenta.

Mai sottovalutare le offese, mai sottovalutare la limitazione delle libertà, mai sottovalutare i gesti e le intenzioni, mai sottovalutare una spinta o uno schiaffo!

Denunciare e chiedere aiuto è un grande passo verso la libertà.

La violenza domestica e contro le donne non può essere tollerata!

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Esser/CI.

Immagine Personale.

“Non sono migliore di te”.. disse… “Neanche io, di te”.. rispose..

Si resero conto che da soli erano una potente individualità; avevano sogni e aspettative; lividi sulla pelle.. una pelle che pulsava come ferita aperta da cui sgorgava sangue vivo, caldo. Erano sopravvissuti incerti alle curve della vita; avevano attraversato notti lunghe, fredde e insonni. Avevano vomitato fiumi di parole schiumate da rabbia e rancore per qualcosa che -forse- non sarebbe mai stato.

Si erano donati.. rinchiudendosi nella passione calda di un abbraccio senza fine.. stretti tra le labbra serrate, rubate, tra le mura di palazzi fatiscenti.

Si erano desiderati.. incazzati..

Si erano sfiorati come fossero stati due ladri, di nascosto..

Si erano cercati..

Si erano amati.

Insieme non erano migliori o peggiori.

Sapevano, tuttavia, che per qualsiasi cosa avrebbero agito come un team: in maniera interdipendente.

“Faccio la mia parte… Io… E tu fa la Tua..” Ognuna delle nostre singole azioni – insieme- viene potenziata.. che sia migliore o peggiore, poco importa.

Compresero così il vero potere: passare dall’esser”, “all’esser/CI”.

25 Novembre 2020, Giornata Internazionale per l’eliminazione delle violenza contro le donne.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio