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Lacerazione del vestito Identitario: H. e il cutting.

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Una ragazza di origini straniere arriva al consultorio su invio della madre. La giovane di 15 anni è in realtà molto felice di essere da noi (le motivazioni intrinseche appaiono pertanto piuttosto forti sin da subito), e H. non ha problemi a raccontarci la sua storia.

Brevemente: la ragazza si presenta come una giovane molto carina e curata; è leggera quando si muove nello spazio, quasi sembra sia fatta di seta, resistente e di spessore sottile. Ciò che colpisce è – tuttavia- una sorta di spettralità che quasi avvolge la ragazza; una sorta di alone di tristezza che si mescola con la sua evanescenza dei movimenti.

La giovane dice di essersi trasferita in Italia con la madre quando lei aveva all’incirca 3 anni; del padre non si sa nulla. La madre aveva un ottimo lavoro nel paese di origine ma ha deciso ugualmente di trasferirsi.

Dalla raccolta anamnestica sappiamo che la famiglia (composta dalle sole 2 donne) si trasferisce frequentemente: pur restando nella stesa regione, la diade cambia comune di residenza almeno 2 volte l’anno. H. non ha amici e nemmeno un fidanzato (cosa che vorrebbe, invece con tutto il cuore); ama il teatro ma non può frequentare nessuna compagnia a causa dei continui trasferimenti; ha smesso gradatamente di mangiare “tanto mangio sempre da sola!” dorme sempre meno (fa un uso smodato delle maratone netflix), non ha interessi per nulla e dice di sentirsi pesante nel petto.

Da successive informazioni e un ulteriore colloquio con la madre, sappiamo che H. da qualche tempo usa infliggersi tagli sul corpo.

Circa il 70% dei giovani tra i 12 e i 14 anni usa provocarsi ferite, piccoli tagli e/o bruciature. L’autolesionismo è stato inserito nel DSM V all’interno dei “disturbi diagnosticati per la prima volta nell’infanzia, fanciullezza e adolescenza” come autolesionismo non suicidario e autolesionismo non suicidario non altrimenti specificato.

Nock, 2006 o Fliege, 2009, evidenziano come l’autolesionismo in adolescenza sia associato con la depressione, relazioni familiari disfunzionali, isolamento scolastico, ansia, etc; sembra inoltre che tale condotta possa essere letta come una strategia disadattiva di coping. Le strategie di coping sono infatti tutte quelle con le quali le persone affrontano le situazioni potenzialmente stressanti. Il coping viene definito come l’insieme degli sforzi cognitivi, affettivi e comportamentali di un individuo attivati per controllare specifiche richieste interne.

Sappiamo – con Freud, 1928- che l’Io è innanzitutto un’entità corporea, è infatti il derivato sia di tutte quelle sensazioni corporee che di quelle provenienti dalla superficie del corpo; è ciò che Winnicott – ad esempio- ci rende noto quando parla dell’handling materno ovvero di tutte quelle attività che riguardano la manipolazione del corpo del neonato (pulizia, massaggi, coccole, e così via).

Sappiamo che H. si trova in quella delicata fase della vita che è l’adolescenza.. un adulto in divenire che lotta continuamente con le spinte regressive (che lo vogliono ancora bambino) e le spinte date dal suo nuovo corpo sensuale e sessuale che chiede e domanda.. un corpo che (si) sente adulto.

Nella labilità identitaria sperimentata da H., labilità che vede non solo la presenza della fase del ciclo di vita connotata dall’adolescenza, ma anche una labilità che fa sì che H., sia una ragazzina senza origine e senza alcun legame con la sua storia familiare, la giovane sembra infliggersi dolore su l’unica parte che sente (forse) ancora appartenerle: la pelle.

H., non ha un padre e non ha un centro stabile, un fulcro generazionale e familiare che la inscrive in un lignaggio di provenienza; un lignaggio che le fa sentire che lei sia parte di quel qualcosa; di quella famiglia, di quel luogo.

H., sperimenta quotidianamente un dolore: il dolore del sentirsi estranea a se stessa, straniera nel suo stesso corpo nudo, sprovvisto di quel vestito identitario che dovrebbe identificarla.

Il dolore psichico forte, impensabile..

Il dolore per quel buco identitario si attesta nel registro del reale con la lacerazione della pelle. Il dolore rende reale una sofferenza psichica che sarebbe altrimenti senza corpo; la vista del sangue caldo che sgorga rende viva e reale la sua sofferenza..

Poi il nulla..

Lo stato onirosimile in cui la giovane cade dopo aver compiuto il suo gesto.

H., ha davanti a sé un lungo percorso, un percorso che per forza di cose vede in prima linea anche sua madre. Le due donne avranno molto da dirsi, da raccontarsi. Ci saranno molte ferite da disinfettare, molte da suturare cominciando lentamente ad intessere punto dopo punto la leggera trama di cui H., è fatta.

Ogni punto segnerà una piccola scoperta nella storia familiare della ragazza e la madre – come un ago tenuto tra le mani da un sapiente chirurgo- dovrà lentamente legare con sottili fili di congiunzione, ogni passaggio della storia della ragazza.

Come la seta H. è resistente, ma dovrà imparare ad avere cura delle sue (molte) cicatrici.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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Identità digitali e Social – un’analisi Psicoanalitica del fenomeno – PODCAST

La nostra prossima tappa ci farà viaggiare ancora una volta in luoghi virtuali e luoghi reali, luoghi social e luoghi sociali. Faremo un viaggio nelle reti delle nostre innumerevoli connessioni, alla scoperta dei nuovi modelli di interazione nell’era dell’iper-connessione, dei nativi digitali e della generazione Z.
Cosa direbbe Freud delle identità digitali?

Ecco un’ “Analisi” psicoanalitica del fenomeno.
Buon ascolto..

Identità digitali e Social – un’analisi Psicoanalitica del fenomeno – PODCAST
Identità digitali e Social – un’analisi Psicoanalitica del fenomeno – Podcast – Spotify

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Psicologia, Identità e Social – Podcast

Il mondo e il tempo in cui viviamo pare siano in una fase di movimento e cambiamento convulso e disordinato. Potremmo dire che oggi, quasi tutti, in un modo o nell’altro, viviamo una vita in real, nel “reale” e una social, nel “virtuale” e che spesso queste si intersecano e si influenzano; a volte generando confusione, altre volte no.
Come stanno cambiando le nostre interazioni?

Come le nostre identità?


Scopriamolo insieme.. buon ascolto.

Psicologia, Identità e Social – In viaggio con la Psicologia – Podcast
Psicologia, Identità e Social – Podcast – Spotify

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Psicologia del trasloco.

L’altro giorno parlando con una paziente in terapia è venuto fuori un tema piuttosto interessante che toccava un nodo cruciale del vissuto di quella persona. La signora G. lamentava un personale senso di smarrimento e confusione ogni volta che ha dovuto cambiar casa. Nel caso di G. in effetti questa situazione si è ripetuta abbastanza spesso per una persona della sua età (40 anni). Era reduce da un ultimo trasloco ad Aprile e nel recente passato aveva cambiato casa almeno sei/sette volte negli ultimi 15 anni. Insomma una vera e propria girovaga a causa del lavoro, di decisioni personali o per scelte legate all’amore. Può essere che la sua iniziale richiesta di una consulenza psicologica per questa sensazione costante e debilitante di smarrimento, confusione, insicurezza e tristezza sia in parte anche legata a questo suo costante girovagare e questo continuo cambiare e traslocare?

In effetti cambiare casa e fare il trasloco presuppongono un momento di profondo cambiamento dove si mettono in discussione una parte delle nostre certezze e delle sicurezze. Si rompono alcuni equilibri personali e familiari e questa condizione crea inevitabilmente una situazione decisamente stressante.

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Cambiare casa e città ci fa perdere importanti punti di riferimento e quindi simbolicamente ci fa “perdere la testa”. Tutto questo perché noi umani siamo tendenzialmente abitudinari e qualunque tipo di cambiamento anche quello più banale (lo spostamento di una scrivania in ufficio o di un mobile in casa ) può crearci disagio o anche solo fastidio.

Quando si parla di cambiare casa, la condizione di stress può già investirci quando si deve scegliere la nuova abitazione: servizi, costo, mutuo, esigenze economiche e fisiche, i conflitti familiari con i figli o con il partner.. Poi il momento del trasloco diventa stressante già dai primi giorni, in cui si vivono momenti di caos per la preparazione degli scatoloni che invaderanno la casa e ci costringeranno a sopravvivere in una condizione psico-fisica scomodissima, nei giorni precedenti il definivo trasloco nella nuova casa.

Ovviamente un trasloco a 20 anni sarà diverso da un trasloco in età adulta, sia per il significato sia per il momento di vita in cui lo si fa. Infatti, il primo sarà una sfida avvincente ed affascinante, bellissima anche se scomoda; il secondo invece diventa decisamente più complesso perché il momento di vita in cui lo si affronta avrà un carico emotivo, identitario molto maggiore. Da adulti abbiamo molto di più la necessità di portarci un bel pezzo del nostro vissuto nella nostra nuova casa, invece quando si è più giovani questa esigenza è limitata a pochissime cose su cui ci si può costruire la propria futura identità in divenire.

In casi estremi di persone fragili e molto attaccate al luogo in cui sono vissuti, un trasloco forzato può addirittura portare a processi di depersonalizzazione. Il trasloco per alcune persone è quindi un’esperienza alienante perché la nostra psiche elabora lentamente i cambiamenti e tende ad evitarli se è possibile.

Ci sono addirittura casi in cui per alcune persone è traumatico anche far visitare la propria casa (in vendita) ai futuri inquilini. Queste visite sono infatti spesso percepita come una vera e propria invasione.

Ovviamente questo tipo di esperienza estraniante e alienante non è comune a tutte le persone, perché si possono incontrare anche persone che possono cambiare casa senza troppi problemi, anche diverse volte nella vita, legandosi e portando con se solo pochi oggetti significativi.

C’è qualche cosa che può aiutarci ad affrontare con più tranquillità un trasloco? Si.

Portiamo con noi i nostri piccoli rituali e le nostre tradizioni che ci fanno sentire “a casa” e stare bene. Ascoltiamo la nostra musica, esponiamo oggetti nostri, che ci caratterizzano. Evitiamo ridefinizioni asettiche e impersonali delle nostre nuove case. La casa ha un significato simbolico profondo e può essere considerata proprio una “seconda pelle”, non rinunciamo alla sua protezione e alla sua “comodità” psichica. Mettiamo una nostra impronta e rendiamo quella nuova casa, la “nostra casa” e ci sentiremo presto a “casa nostra”.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Gli anni della “lotta”

“Un giorno, guardandoti indietro, gli anni di lotta ti sembreranno sorprendentemente i più belli.“

Sigmund Freud
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Spesso gli anni della “lotta” sono i più importanti (adolescenza – primi anni della gioventù), per confermare la propria individualità e per determinare il proprio posto nel mondo . Sono quelli gli anni a cui guardiamo con un pizzico di nostalgia per il fermento emotivo e ideologico che portavano con sé.

Nonostante tutto, non dobbiamo mai smettere di lottare, coltiviamo quel fermento e scopriremo quella bellezza anche negli anni che ci aspettano.

Nel video un omaggio ai 30 anni dei 99 Posse.

dott. Gennaro Rinaldi

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“I’m my own extension”

Immagine Personale.

Oggi vi propongo la lettura di un piccolo pezzo preso da un lavoro scritto da me nel 2011. All’epoca ancora poco (anzi direi nulla) si parlava in ambito psicoanalitico del mondo internet e delle psicopatologie ad esso correlate. Decisi quindi di approfondire l’argomento incontrando notevoli difficoltà proprio perchè la letteratura in merito era carente. Nonostante ciò riuscii nel mio intento ed oggi, rileggendo, mi sono reso conto di come questo lavoro a cui tengo molto, sia a tutti gli effetti ancora (forse di più) profondamente attuale.

“Se si chiedesse oggi ad un giovane adolescente o ad un bambino nativo digitale di rispondere alla domanda chi sei?, probabilmente la risposta non escluderebbe in nessun caso il riferimento ad un oggetto digitale che permetta l’interconnessione al mondo del virtuale. L’identità dipenderà necessariamente dai mezzi che il ragazzo ha a disposizione per esprimere sperimentare le molteplici identità nei vari contesti virtuali che frequenta.

La Turkle osservò, già a ridosso del 2000, il fatto che la gente fosse convinta che il computer potesse estendere la propria presenza fisica. Oggi più di prima la domanda che la Turkle si pone nelle prime pagine del suo libro – La vita sullo schermo- è di fondamentale importanza – stiamo vivendo una vita sullo schermo o piuttosto nello schermo?-.

Ella definisce lo schermo del computer come la nuova dimora delle nostre fantasie erotiche e intellettuali. Insomma, dopo un ventennio di assimilazione informatica e digitale, ci stiamo (come direbbe Piaget) accomodando, plasmandoci e uniformandoci a livello cognitivo ai nuovi modi di considerare l’evoluzione delle relazioni, dell’identità, della sessualità, della politica.

E’ molto interessante la metafora che la Turkle usa per rendere l’idea della potente stretta del computer (ciò che prima io descrivevo come dipendenza). Siamo sedotti da quell’Altro fittizio, proviamo una infatuazione per ciò che ci manca, quello di cui abbiamo bisogno per considerarci completi. Il computer, considerandolo in tutte le sue potenzialità, ci dà la possibilità di interagire con gli altri e con noi stessi. Ci dona l’illusione di essere con gli altri. Con il computer e con internet – si può essere solitari senza mai sentirsi soli-.”

La digitalizzazione dell’identità: un approccio psicoanalitico alla strutturazione della personalità nell’era del digitale.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott. Gennaro Rinaldi.

Il processo di identificazione

Cos’è l’identificazione? Qual è il processo che porta all’identificazione?

L’identificazione è un termine che indica il processo attraverso cui una persona assimila uno o più tratti di un’altra persona, modellandosi su questa.

(Premetto che ci sono diverse disquisizioni in psicologia e molte teorie che trattano quest’argomento. Ci sono inoltre teorie più recenti che parlano dell’evoluzione del processo di identificazione. Io personalmente qualche anno fa (2012) trattai quest’argomento in un mio lavoro di tesi intitolato “La digitalizzazione dell’identità: un approccio psicoanalitico alla strutturazione della personalità nell’era del digitale” ).

L’identificazione può essere inoltre considerata come il normale processo di acquisizione di un ruolo sociale che caratterizza l’infanzia, attraverso l’osservazione degli adulti di riferimento, che diventeranno quelli con cui ci si identifica. Può essere considerata come una forma di apprendimento attraverso l’esperienza altrui.

Secondo Freud, le prime identificazioni, quelle più primitive, generano effetti che risulteranno essere persistenti. La prima e più importante identificazione (che sembra, a detta di Freud non essere conseguenza di un investimento oggettuale) è infatti con i genitori, sarà poi questa la premessa alla formazione dell’ideale dell’Io. Questa prima forma di identificazione (primaria) con il “padre della preistoria personale” riguarda, secondo Freud, entrambi i sessi e riunisce nell’imago paterna entrambe le figure dei genitori al di là della loro differenza sessuale. Si tratta, insomma, di una identificazione di base con chi agli occhi dell’infante rappresenta la specie cui esso appartiene. Quasi contemporaneamente si instaura una relazione oggettuale con la madre, che origina dal seno materno. Tale relazione sarà alla base di una scelta oggettuale “per appoggio” futura.

L’identificazione reciproca è la base per la formazione del noi.

https://ilpensierononlineare.com/2020/11/22/lidentita/

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi